Attualità

Wonder Woman: femminismo, propaganda e bondage

Le interpretazioni femministe, quelle anti-imperialiste, la vita erotica del suo creatore e una parentesi personale sul film di cui più si parla in questi giorni.

di Cristiano de Majo

Si sta parlando moltissimo e ovunque di Wonder Woman, ultimo capitolo delle saghe supereroistiche e nuovo tentativo per la DC di mettersi in pari – in termini di rilevanza ma soprattutto di biglietti staccati al botteghino – con le trasposizioni Marvel. Se ne parla perché nel weekend di apertura ha realizzato diversi record, compreso quello di debutto nelle sale più redditizio per una regista donna – superato il 50 sfumature di grigio di Sam Taylor-Johnson, 100 milioni di dollari incassati nel weekend di apertura contro 82 – che poi è quella Patty Jenkins, cioè la regista con una delle più strane carriere che si siano viste a Hollywood: un solo film e pure di grande successo come Monster, nel 2003, e poi più nulla (a parte il lavoro per la tv), fino a questo Wonder Woman.

Il film è stato interpretato praticamente ovunque come una parabola femminista. Solo una donna – è uno dei ragionamenti possibili – poteva incarnare al tempo stesso un ideale di forza sovrumana ma anche un messaggio di amore per l’umanità; forza e amore calati da una mitologica e senza tempo isola greca nel mezzo del conflitto della Prima guerra mondiale (Belgio). Diana/Wonder Woman viene descritta dai critici come «altruista», come una «persona che prende in mano il suo destino», Brody sul New Yorker la definisce «una guerriera che ci mette in guardia dalle guerre». L’atmosfera che si è creata intorno al film è in definitiva quella del “film necessario” in un’epoca in cui si sente molto l’esigenza di un nuovo femminismo e di nuovi simboli che lo rappresentino.

È interessante su The Verge guardare (e leggere il relativo commento) lo screen test del 1967 di un pilota per una serie tv su Wonder Woman mai andata in onda e prodotta, va detto, da William Dozier, l’uomo dietro Batman, il telefilm di supereroi più bizzarro di tutti i tempi. Diana Prince appare come una specie di Mary Poppins goffa e ridicola; la distanza con l’immagine della nuova Diana Prince – potentissima e carismatica, per quanto naive – è abissale. Ci dice qualcosa questo su come sia cambiata l’immagine della donna (e la sua rappresentazione) nella società? Personalmente non ne sono convintissimo. Quel video ci racconta soprattutto il modo in cui è cambiato il modo di rappresentare i supereroi: la loro essenza mitica viene oggi pennellata con tinte drammatiche e cupe; gli aspetti ironici e buffi (a parte alcuni casi specifici, Deadpool, Guardiani della Galassia) non servono allo scopo.

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Tra chi ne ha scritto, c’è anche chi poi, come New Republic, la cui critica è spesso fondata su aspetti ideologici, ha visto in Wonder Woman, il classico film manicheista di propaganda imperialista, in cui gli americani sono i buoni e gli altri (i tedeschi) i cattivi, e i buoni sono anche i belli (Gal Gadot), mentre i cattivi sono malati e deformi (la chimica tedesca che sta sperimentando l’arma finale, ha la faccia deturpata e coperta con una maschera).

Molti sono anche gli articoli che ricordano le origini del personaggio nei fumetti e, tra questi, il più interessante e, per me, rivelatorio è uno uscito su Broadly, in cui viene raccontata la parabola del suo creatore, William Moulton Marston. Marston fu un personaggio brillante e decisamente eccentrico. Di origini nobili e con tre lauree, fu autore di otto libri di non fiction e di una fan fiction erotica su Cesare, nonché inventore di macchinari, più o meno fantasiosi, tra cui una specie di strumento della verità, che con tutta evidenza lo ispirò per la creazione del lazo di Wonder Woman, che stretto intorno al corpo del nemico le permette di estorcerne la verità. Ma il lazo è un riferimento anche per un’altra grande passione di Marston: la pratica del bondage.

La vita sentimentale e sessuale del creatore di Diana Prince, che viene ripercorsa anche in un lungo pezzo uscito nel 2014 sul New Yorker a firma Jill Lepore, fu come minimo fuori dagli schemi. L’autore si sposò con la sua fidanzatina del liceo, ma visse in una forma di poligamia con una terza donna, che era ufficialmente la tata dei suoi figli e che gli diede altri figli (per i quali ci si inventò, come giustificazione, un padre morto). Nella vita del trio, entrò poi una quarta donna, con cui si realizzavano incontri di sesso di gruppo, caratterizzati da giochi di ruolo, sottomissione e bondage. (Broadly fa notare che nelle prime storie Wonder Woman deve spesso liberarsi da situazioni in cui l’hanno legata). Marston fu affascinato dalla forza femminile fin dalla giovane età e fu un convinto sostenitore del matriarcato fino a spingersi nella previsione che questa forma di ordine sociale sarebbe prevalso in America nel giro di mille anni.

Tutto questo, nelle mia esperienza di spettatore delle ultime versioni del personaggio, mi sembra sia rimasto anche solo come piccola traccia involontaria, una specie di fossile dell’inconscio autoriale. Un uomo che guarda il Wonder Woman di Patty Jenkins oggi, o che l’ha vista apparire nel Batman v. Superman di Zack Snyder, più che essere influenzato da un “messaggio femminista”, può sentirsi chiamato a partecipare a una fantasia di inversione di ruolo, di sottomissione (ed è qualcosa che ha molto più a che fare con il sesso che con la politica). Non voglio dire che sia un aspetto preponderante della visione, è solo un vapore secondario, ma secondo me esiste.

Per il resto, e più innocentemente, ho guardato Wonder Woman al cinema, coi miei figli, due seienni maschi, ed è stato  un esperimento interessante rispetto alle idee sul genere che già in due bambini di quell’età iniziano a consolidarsi. Mi è sembrato un personaggio molto bello, costruito esteticamente in modo impeccabile, i cui combattimenti sono tra i migliori visti in questi anni in film dello stesso genere e con un tema musicale che esalta e resta in mente. Solo uno dei due ha dubitato, prima di entrare al cinema, che potesse trattarsi di un film «per femmine». Poi all’uscita, mentre tornavamo a casa in metro, l’altro mi ha detto, quasi timoroso, come se avesse paura a dirmelo, che adesso Wonder Woman sarebbe stata una dei suoi tre supereroi preferiti.