Attualità

Voti da Berlino

Alla vigilia di elezioni caldissime, abbiamo incontrato alcuni giovani italiani espatriati nella capitale tedesca per capire cos'è l'Italia vista da lì.

di Cesare Alemanni

«Ma davvero Berlusconi potrebbe tornare al governo?». Il mio amico Philip scioglie l’interrogativo sulla chitarra surf che passa la radio del Dave Lombardo bar e non capisco se sia più preoccupato o divertito da questa eventualità. Philip ha 36 anni ed è un giornalista bavarese che scrive per la Taz e vive nel Brandeburgo dalla fine dei Novanta «Ma davvero Berlusconi potrebbe tornare al governo?». Personalmente ho perso il conto delle volte che mi hanno rivolto questa domanda, gli amici e conoscenti stranieri che frequento a Berlino. In realtà, salvo rari casi, la “Berlusconi question” non è neppure un’autentica interrogativa. È una barzelletta sugli italiani, il cui finale prevede che il postulante di turno si sfreghi una mano sul volto, esclami con una risatina ambigua «Oh shit, what’s the matter with Italy?» e infine torni a sorseggiare la sua birra guardando altrove. È il costume con cui i tedeschi implicano che provieni da un paese per loro assurdo e incomprensibile.

Secondo i dati diffusi dall’Ufficio di Statistica del Berlino Brandeburgo, gli italiani che risiedevano a Berlino alla fine del 2012 erano quasi 20.000 con un incremento del 13% rispetto all’anno precedente. In realtà siamo molti di più. Il “sommerso” è una delle condizioni più comuni che ho incontrato nella mia esperienza qui fino a questo momento e almeno un 40% degli italiani, giovani e nemmeno più così giovani, che ho conosciuto sopravvivono in una doppia opacità, tanto rispetto allo stato italiano quanto a quello tedesco, e in un regime di sussistenza e poco più.  A volte mi chiedo cosa li porti qui, nella capitale più povera dello stato più influente d’Europa , e immancabilmente avverto i primi sintomi della labirintite. In fondo Berlino, per molti, è un ponte di corda sopra una vertigine chiamata Italia.

«Se Berlusconi venisse eletto nuovamente, per gli italiani che vivono in Germania sarebbe un disastro»

Non per tutti comunque è così. Irene per esempio risiede qui serenamente da anni, lavora in ambito accademico alla Humboldt University e quando il direttore di Studio mi ha chiesto un giro informale di pareri sulle elezioni di domenica, osservate dal punto di vista di alcuni italo-berlinesi lei è stata la prima persona a cui ho scritto. La sera prima del suo aereo per l’Italia ci incontriamo in un ottimo ristorante vietnamita di Prenzlauer Berg dove mi spiega che: «Se Berlusconi venisse eletto nuovamente, per gli italiani che vivono in Germania sarebbe un disastro e non soltanto per quello che il suo esecutivo potrebbe fare nel nostro paese. Ognuno di noi ha almeno uno o più colleghi tedeschi che, per quanto preoccupati di quello che un nuovo governo Berlusconi comporterebbe per l’Europa, non aspettano altro di vedere confermati alcuni dei loro peggiori stereotipi sugli italiani. Pura Schadenfreude». La Schadenfreude è l’opposto della mudita Buddhista. È una forma di piacere derivata dalla constatazione della disgrazia altrui che nella cultura tedesca ha un peso e delle sottigliezze prive di equivalenti altrove. Al suo peggio è un sentimento intriso di senso di colpa per il fatto stesso di provarlo ma di fronte alla reiterazione dei governi Berlusconi in Italia, negli anni il senso di colpa è venuto sempre meno e la Schadenfreude da sentimento privato ha assunto la dimensione pubblica e palese dell’Hohn, che non si può tradurre altrimenti che con disprezzo. Schadenfreude a parte, Irene non ha ancora un’idea precisa di chi votare e oscilla tra due orientamenti difficilmente conciliabili, dal momento che le proposte politiche maggioritarie la convincono molto poco.

Quando lo raggiungo con un paio di Augustiner nella sua nuova casa di Neukölln, Vincenzo, scrittore 28enne tornato a vivere stabilmente in città da qualche mese dopo averci passato un paio d’anni sul finire dello scorso decennio, è freschissimo di trasloco e la notizia del momento sono le dimissioni di Oscar Giannino dalla guida di Fare, annunciate solo poche ore prima del nostro incontro. Dato che entrambi guardiamo a questo movimento con curiosità partecipe, non possiamo astenerci da un commento sull’assurda vicenda delle falsi credenziali. La teoria di Vincenzo è interessante: «Credo che fossero ormai entrate a far parte di una memoria inconsciamente contraffatta senza che Giannino stesso se ne rendesse conto, un po’ come quando abbellisci un aneddoto adolescenziale così ripetutamente da convincerti che le cose siano andate davvero nel modo in cui continui a raccontarle». Dopo aver fatto un po’ di dietrologia spicciola sui motivi che hanno spinto Zingales a denunciare il fatto a meno di una settimana dalle elezioni – nessuno dei due riesce a convincersi che davvero lo abbia saputo solo ora – scopriamo che entrambi condividiamo la sensazione che in questo momento la situazione italiana pone un’intera generazione con le spalle al muro e che non si riesce a intravedere un plausibile orizzonte di uscita dal cul-de-sac. Quando scendo nuovamente in strada non so se sia più raggelante la temperatura sotto zero o l’impressione che una delle frasi che più ci siamo ripetuti sia stata: «C’è da aver paura».

«Credo che uno dei principali problemi dell’Italia sia da sempre la mancanza di continuità nell’azione dei governi»

Mezz’ora dopo sono seduto in un vecchio bar anarchico sulla circonvallazione tra Mitte e Prenzlauer Berg in compagnia di Chiara e Nadir. Chiara è assunta a Plinga, una società che realizza giochi online, una delle principali economie emergenti in città mentre Nadir opera da creativo freelance e i suoi clienti sono principalmente italiani. Anni fa, per un periodo siamo stati colleghi, dopodiché le nostre strade si sono divise fino a ritrovarci, ognuno per le proprie ragioni, a Berlino. Nadir è omosessuale e mi sorprende confidandomi che se votasse probabilmente sceglierebbe Monti ben consapevole che è uno dei candidati più conservatori sul tema dei diritti civili. «Lo voterei perché ritengo che uno dei principali problemi dell’Italia sia da sempre la mancanza di continuità nell’azione dei governi e il continuo gioco del fare per poi disfare e poi comunque, in tema di omosessualità, nessuna delle proposte mi sembra convincente, nemmeno quella di SEL. È una questione culturale ampia, radicata e forse irrisolvibile finché la Chiesa continuerà a pesare così tanto sulla nostra politica». Chiara invece è ormai disorientata e disillusa al punto che: «Negli ultimi due anni, pur provenendo da un background solidamente antifascista, sono quasi arrivata a rivalutare Fini e con questo credo di averti detto tutto».

«Le politiche economiche dei partiti sembrano ignorare  la realtà per ragionare ancora in termini di garanzie»

In virtù dello stesso disorientamento Matteo, ristoratore 35enne, voterà, anzi ha già votato essendo iscritto all’AIRE, Grillo: «Alcune delle proposte del suo Movimento non mi convincono ed è strano votare qualcuno che venti anni fa guardavo in televisione perché mi faceva ridere, però credo sia anche l’unica scelta per mandare un messaggio di rottura ai politici visto che non ho mai creduto nell’astensionismo». Lorenzo che viene da Genova, la città di Grillo, non è affatto dello stesso parere. Lavora come junior manager in una web company che mette in contatto progetti e progettisti ed essendo di madre tedesco padroneggia perfettamente l’idioma locale, una rarità. Quando parliamo di Grillo si scalda: «Trovo assurdo chi giustifica il voto a Grillo come un voto di protesta. Non si rendono conto che poi finita la protesta questi andranno in Parlamento? La cosa forse più ridicola è che la visione utopica di Internet che vende M5S quando parla di democrazia diretta attraverso il web in realtà è già preistorica. È un calco della cultura televisiva applicato alla rete. Roba da Scientology». Anche Lorenzo ha già votato da qui e fa appello alla segretezza dell’urna ma guardandosi intorno osserva comunque un panorama desolante sedimentato su equivoci storici a cui sembra un’impresa ormai titanica porre rimedio. «I due maggiori problemi dell’Italia sono l’impoverimento progressivo del ceto medio e un’intera generazione che non ha strumenti flessibili per rapportarsi al mondo del lavoro indipendente, eppure le politiche economiche dei partiti maggiori sembrano ignorare del tutto la realtà per ragionare ancora in termini di garanzie che è evidente che le casse dello Stato non sono più in grado di supportare».

Alla mia destra Danila ascolta con attenzione sorseggiando la sua bevanda. Lavora come product designer in una piccola start-up e quindi è molto sensibile ai temi dell’innovazione specie per quanto riguarda l’economia digitale. In Italia è stato fatto pochissimo per facilitare questo tipo d’impresa che in altri paesi sta diventando una percentuale consistente del Pil – lo raccontava poche settimane fa l’Economist parlando della Finlandia – mentre da noi continua a essere guardato come una bolla infantile popolata di nerd che programmano “giochini”, come conferma il linguaggio dei principali TG ogniqualvolta se ne occupano. Le chiedo quale tra i candidati la convinca maggiormente da questo punto di vista. Mi risponde Monti senza alcuna esitazione. «È stato il primo a fare un decreto che offre agevolazioni fiscali a chi intraprende nel settore dell’innovazione, a chi fa start-up. Inoltre all’interno del suo team di governo c’erano persone giovani, molto valide e competenti su questi temi, alcune delle quali sono persino venute a Berlino per incontrare noi italiani che lavoriamo nel settore e capire come funzionano le cose da queste parti. Peccato che ora Monti si sia alleato con personaggi come Fini e Casini che puntano su modelli di sviluppo economico molto più tradizionali».