Attualità

Vivere senza mangiare

Un californiano ha inventato Soylent, beverone che promette una vita senza cibo. Una dieta minimale che sta producendo entusiasmi e scetticismo.

di Nicola Bozzi

Dev’esserci qualcosa nell’aria di San Francisco che ispira la gente a voler cambiare il mondo. Saranno tutti quei barboni che si trascinano per il Tenderloin a dare questo slancio emancipatorio alla popolazione di accademici e programmatori locali, ma se lo spirito individualista foraggiato dall’LSD ci ha dato telefoni con i bordi arrotondati e lucidi tablet (sui quali aggiornarci sui nuovi modelli di tablet), la rivoluzione che da qualche mese sta venendo portata avanti dall’ennesimo ingegnere informatico con sede nella capitale morale californiana è ben più profonda. Invece di inventarsi una nuova app o un computer più piccolo, Rob Rhinehart ha hackato il corpo umano. Rob – uno di quelli che si è fatto decodificare il genoma da 23andme, venture di consumer genomics della moglie di Sergey Brin (quello di Google, dai) della quale scrivevo qui – un bel giorno ha deciso che, se così tante malattie e scompensi fisici sono dovuti a una cattiva o insufficiente alimentazione, forse il vero problema della nutrizione va oltre il cibo.

In seguito a quest’illuminazione, il ventiquattrenne ha smesso di ingozzarsi di burritos e ramen e s’è messo a fare il piccolo chimico. Ha letto libri, fatto test (insomma, si è documentato) e ha compilato una lista di quelle sostanze chimiche nutritive di cui proprio il corpo umano non può fare a meno. Non solo il minimo indispensabile per non avvizzire come una foglia secca, ma la base biologica di sostentamento che mantiene quel nodoso aggrumarsi di ossigeno e sangue che siamo un essere pensante e in forze, al pieno delle proprie potenzialità. Rhinehart ha fatto la spola tra vari fornitori e, basandosi su reiterati esperimenti su se stesso, è riuscito a trovare il mix di elementi che, disciolti nell’acqua, sembrano costituire il beverone definitivo. O, perlomeno, quello che funziona per lui. Per tre mesi ormai, infatti, Rob ha quasi esclusivamente pasteggiato con questo denso liquido lattiginoso che ha battezzato Soylent. Il nome viene dall’alimento sintetico a base di soia e lenticchie usato per sfamare la sovrappopolata New York nel romanzo di fantascienza Make Room! Make Room! di Harry Harrison, una distopia poi diventata un film con Charlton Heston dal titolo Soylent Green, nel quale l’alimento anonimo è però ricavato dalle salme raccolte tramite suicidi istituzionalizzati. Magari come scelta di marketing non si tratta della più felice (ad oggi il film è il primo risultato se si cerca “soylent” su Google), ma considerata la potenziale portata di una dieta del genere l’interesse per la ricerca di Rhinehart è molto alto.

Già intervistato da Vice America, Rob dice di non essere mai stato meglio: la sua pelle è più sana, corre di più, programmare gli è diventato più semplice, e quasi ha smesso di andare al bagno (sembra triviale menzionarlo, ma in contesti dove il rapporto cessi/persone sta a 1/1000 o peggio si tratta di un fattore vitale). Mangia ancora, ma solo in compagnia, e quando lo fa – siccome ordinare le sostanze per il beverone gli costa molto meno che comprare il cibo vero – si può permettere di farlo meglio. Dice addirittura di essere in uno stato iperenergetico, anche se personalmente sospetto questo possa essere dovuto ad altri fattori (onestamente pure io, se fossi lì lì per scoprire un mix che a) salva ¾ di mondo dalla fame e b) mi rende miliardario, camminerei per la città a un palmo da terra scorrendo senza frizione come un personaggio di un film di Spike Lee ).

Le reazioni all’esperimento, descritto nel dettaglio con tanto di tabelle sul blog di Rhinehart, sono state prevedibilmente varie. Da un lato ci sono gli entusiasti, quelli che si registrano sul sito soylent.me per fare i tester e non vedono l’ora che Rob lanci l’annunciata campagna su KickStarter per allargare lo studio in vista di una produzione in scala. Dall’altro, prevedibilmente, troviamo gli scettici: i nutrizionisti spaventati dalla pericolosa amatorialità dell’esperimento e quelli che, più semplicemente, vedono la prospettiva di un mondo senza cibo come uno stupro mentale. Volendo fare un esercizio di cinismo (è facile quando si è paranoici), ho già pronta la distopia perfetta: Rhinehart fa un brevetto miliardario, poi ovviamente Google se lo compra e si mette a produrre versioni personalizzate del prodotto su scala globale in base ai bisogni individuali, chiaramente predetti dal test genomico fornito da 23andme. L’intero pianeta è così assoggettato al monopolio illuminato della corporation californiana, informata non solo sulle nostre ricerche online (che noia) ma anche sui nostri mattoncini genetici. Visto che si parla di diete, basta questa visione a far passare l’appetito.

Distopie a parte, una rivoluzione alimentare come quella suggerita dal soylent potrebbe essere una svolta epocale, ma anche no. Alla fine c’è già gente che si è curata l’obesità vivendo di succo di frutta, anche se con dottori nutrizionisti a seguito. Inoltre procurarsi gli ingredienti per il frullato perfetto non è proprio banale, soprattutto considerando che tutti abbiamo corpi diversi: la formula di Rhinehart non vale allo stesso modo per le donne, ad esempio, ed essendo in continuo sviluppo anche i bambini sarebbero soggetti difficili. Senza contare che sbagliare i dosaggi quando si parla di elementi chimici puri è più rischioso che farlo con cibi solidi.

Ovviamente se il succo di Rob si evolverà un monopolio malefico oppure diventerà la soluzione ai problemi nutrizionali del pianeta non sta a me dirlo, che cucino a malapena. Un risultato però l’ha raggiunto senz’altro.

Come tutti coloro che convivono da anni sono anch’io da tempo ostaggio di programmi di cucina vari e sbavo impotente di fronte ad alchemiche e sbrodolanti creazioni culinarie. Ma se di food porn scrivevo già qui, è vero anche che (come Louis CK ripete da tempo) non esiste un vero e proprio equivalente gastronomico alla masturbazione, qualcosa che calmi la fame compulsiva. Insomma, a livello fisico resta grossa la differenza tra il guardare una fetta di bacon arricciata e imperlata di unto e mangiarsela. Ecco, se non altro il soylent è più o meno l’equivalente culinario di una sega. Né più né meno: un veloce rimedio ai preliminari della cucina che allevia immediatamente lo stress da fame, fa risparmiare soldi e, in termini umanitari, è anche uno dei rimedi più efficaci alla sovrappopolazione. In tutti i sensi, mica bruscolini.