Attualità

Vita vs letteratura

Che succede se la foto della Holland Library è un falso? E che succede se si scopre che la letteratura, di fronte alla spietatezza della vita, non serve a niente?

di Stefano Ciavatta

L’autore dello scatto è ancora anonimo ma dall’inizio della storia se ne conosce il luogo: è la Holland House Library di Londra, fotografata dopo uno dei blitz della Luftwaffe nel settembre 1940. Anche la prestigiosa biblioteca di Kensington finì sotto i bombardamenti della battaglia d’Inghilterra voluta da Hitler. Il novembre successivo toccò alla città di Coventry (definita “la Dresda inglese” da Sebald nella Storia naturale della distruzione, Adelphi). La guerra finirà dopo lunghi cinque anni e anche per questo l’immagine divenne subito nel bene e nel male uno dei simboli dell’isolamento inglese. Il muro di libri guarda le macerie come l’Inghilterra faceva argine secondo Churchill contro “l’abisso di una nuova epoca buia”. Ed è un’immagine che vale più del cartello scritto a mano, “business as usual” di quel di barbiere aperto tra le macerie di uno dei tanti bombardamenti di Londra, negozio in cui s’imbatté per strada Churchill e di cui lodò tempra e coraggio come simbolo delle virtù del popolo inglese. Salvo poi scoprire successivamente che si trattava di un emigrato napoletano.

Oggi in Italia questa foto è distribuita come poster dalla casa editrice Lindau, diecimila esemplari venduti con lo slogan “Libri per vivere”, ed è adottata dalle librerie Arion come “un simbolo dell’amore per i libri e per la loro capacità di illuminazione”. Quel muro inglese di libri chiusi e ordinati si è trasformato nel tempo in un feticcio. La migliore didascalia al mito moderno della Holland House la fornisce Il Sole 24 Ore che un anno fa è tornato a parlare della foto sottolineando “il contegno dei tre visitatori, assorti e del tutto indifferenti, anche nella postura del corpo, al contesto di distruzione”, personaggi che si comportano “come se si trovassero in un giorno qualsiasi all’interno di una delle tante librerie londinesi, niente li può distrarre da questo rapporto magico con i libri […]. Insomma: dai libri la vita riparte; lì c’è la salvezza”.

Cosa succederebbe però se quei tre uomini chiusi nei loro soprabiti non fossero tenaci e imperterriti lettori ma impiegati dei Lloyd’s a certificare l’entità dei danni?

Un mito (i libri salvano la vita) che nel caso della foto della Holland House gode del privilegio della Storia, vantaggio che non hanno le centinaia di immagini che sfruttano i libri come fossero mattoni per farne mobili, letti, sedute, tavoli, case, archi, colonne, alberi di natale, cabine. Ma non importa: ovunque il libro, qualunque libro, a patto di restare chiuso, possa trovare una collocazione, la vita è salva. La Holland House Library è l’archetipo concettuale del successo del sito Bookshelfporn. Non più la storia e la tradizione inglese simboleggiata dagli scaffali che fanno muro contro la barbarie nazista, ma delle nuove moderne finte librerie, composte da scaffali impossibili e da soluzioni di arredamento il cui obiettivo non è organizzare lo spazio di una libreria ma valorizzare la presenza del libro nell’ambiente di casa o in ufficio.

Cosa succederebbe però se quei tre uomini chiusi nei loro soprabiti non fossero tenaci e imperterriti lettori che resistono alla barbarie dei bombardamenti nazisti ma dei solerti periti assicurativi chiamati a verificare i danni della Holland House Library? Se insomma questa foto mitica fosse banalmente un’immagine scattata da un impiegato dei Lloyd’s per testimoniare l’ampiezza dei danni? Sono illazioni, certo, voci raccolte in rete ma senza verifica ed è difficile 70 anni dopo intaccare il muro d’orgoglio anglosassone. Però nella chiarezza del mito arriva un’ombra di ambiguità. Che ne sarebbe allora del “contegno impassibile dei lettori” e del muro di libri? Che fine farebbe il senso etico di non rassegnazione, quanto verrebbe intaccata l’utopia di riuscire a rimanere impassibili, grazie alla cultura, davanti alla distruzione e all’oblio? E se i libri di questa foto, scalfiti dalle macerie e dai dorsi bruciacchiati, non salvassero da nulla?

 

L’ipotesi del mito intaccato del potere salvifico dei libri ritorna in un libro che si intitola La Fine del Giorno (Rizzoli), l’autore è Pierluigi Battista (editorialista del Corriere della Sera), ed è una via di mezzo tra appunti privati per un saggio letterario mai finito e un diario sugli ultimi mesi della malattia della moglie Silvia Provera. Anche La Fine del Giorno è vulnerabile come i libri bruciacchiati della Holland, perché è un testo non concluso e ancora squadernato dagli eventi che lo hanno originato. È anche un libro che contiene dentro di sé molti altri libri ma che non è riuscito a diventare l’argine contro l’oblio a cui si riferiva Churchill. All’inizio doveva essere un saggio sull’eccesso di salute chimica di vecchi patetici e infogliati di Viagra (politici, finanzieri, personaggi pubblici) ma il progetto naufraga a metà perché con la tragedia in corso l’autore non sa più dove andare se non verso il bivio assurdo di una medicina che assicura erezioni a corpi esausti e non riesce a promettere la vecchiaia a una donna di cinquant’anni.

Ma proprio quando la letteratura viene richiamata a dire qualcosa di salvifico da contrapporre alla vita che ha preso un sentiero fatale, si rivela inadeguata al grande scandalo della morte.

È un diario che non vuole raccontare favole, perché arriva tardi, a tragedia imminente. Non è nemmeno un romanzo di formazione perché non c’è tempo per un apprendistato e la vocazione è brusca; non è un memoir, né l’autore si vuole attrezzare per dare una struttura simile a quella della collega newyorchese Joan Didion che nel 2005 scrisse da vedova “L’anno del pensiero magico”. Semplicemente non c’è tempo affinché La Fine del Giorno possa coltivare per sé ambizioni di stile. Però il contatto con il mondo dei libro c’è sempre: restano infatti intorno al diario quei libri scelti in origine per il pamphlet dissacrante sulla virilità dopata, così come restano pure i testi preferiti di una vita di lettore.

Ma proprio quando la letteratura, con le sue armi più affilate e rigorose, cioè quelle su cui Battista per anni si è esercitato da lettore appassionato e solitario, viene richiamata nella stesura de La Fine del Giorno per una qualche utilità, come ultimo appello a essere non più fuori luogo, a dire insomma qualcosa di giusto e salvifico da contrapporre alla vita che ha preso un sentiero fatale, essa stessa si rivela inadeguata al grande scandalo della morte.

Per contrappasso Battista si ritrova in imbarazzata compagnia dei suoi scrittori preferiti, Philip Roth, Martin Amis e Ian McEwan che al confronto della tragedia in atto vivono però “drammi di carta”, con cui diventa difficile immedesimarsi. E così l’egoismo di Philip Roth che nel finale dell’Animale morente salva lo scrittore e sacrifica l’amante più giovane diventa palesemente un escamotage furbo, appunto di carta, mentre la realtà racconta ben altri destini.

Battista si ritrova in imbarazzata compagnia dei suoi scrittori preferiti, Philip Roth, Martin Amis e Ian McEwan che al confronto della tragedia in atto vivono però “drammi di carta”, con cui diventa difficile immedesimarsi.

Nel muro di carta de La Fine del Giorno si accumulano romanzi moderni, classici, saggi, manuali: la Guida rapida agli addii di Anne Tyler, Il Dottor Zivago di Boris Pasternak, Caduto fuori dal tempo di David Grossman, Italo Svevo, la Ballata di Isa di Magda Szabò, L’imperatore del Male dell’oncologo Mukherjee, Vergogna di J.M. Coetzee, La vedova incinta di Martin Amis, Solar di Ian McEwan, Un amore di Dino Buzzati, La forza del carattere di James Hillman, Con le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno, La controvita di Philip Roth, Mortalità di Christopher Hitchens, A parte il cancro tutto bene di Corrado Sannucci, La novella del buon vecchio e della fanciulla di Italo Svevo.

Molti di essi si rivelano puntuali nell’alimentare nell’autore il senso beffardo delle coincidenze e delle premonizioni, l’impotenza del destino, il pensiero fisso della morte. La tanto declamata virtù dei libri diventa un boomerang, altro che il mondo di http://www.libreriamo.it/, social network di promozione alla lettura, dove i libri trasmettono un senso di costruzione delle cose senza il minimo accenno alla fatica della lettura e della scrittura, dove a contrasto con una umanità folgorata dai drammi regnano invece la spensieratezza e il senso di sospensione dal mondo, dove i libri sono intrisi di “profumo di carta e magia” e “parlano anche se chiusi” a tal punto che si deve considerare “beato chi sa ascoltarne l’ostinato sussurro”.

Neanche il muro di libri (aperti) e citazioni (a memoria, senza posa) basta a La Fine del Giorno per ricevere idealmente la visita imperterrita e salvifica dei tre lettori in bombetta della Holland House Library. Battista a precisa domanda di Alessandro Piperno (con cui ha condiviso a Roma una presentazione molto intima del libro), ha risposto prima con garbo, “forse la letteratura salva…forse non salva”, poi con franchezza: “ma a me ora non serve un granché”.

Oggi della Holland House non rimangono che resti suggestivi e un enorme parco aperto al pubblico. Per molti è la dimostrazione che quei tre imperturbabili lettori del settembre 1940 avevano ragione: la vita continua nonostante il Male. Continua sì ma non esiste più la biblioteca con i suoi poderosi scaffali, quel muro di libri chiusi è scomparso con la sua promessa di farsi bastione contro l’oscurità. Alla fine gli unici libri che contano sono quelli aperti, ma non sempre di fronte alla morte si deve fare “grande” letteratura.