Attualità

Vendicatori un corno

Is Anyone Up, una storia raccontata male apposta. Indignazione da tinello e scrivere di web

di Violetta Bellocchio

A 25 anni mi sono svegliata al pronto soccorso del Policlinico di Milano, senza sapere come ci ero arrivata e senza ricordare nulla della notte precedente. A 27 ho smesso di uscire con uno perché gli avevo detto che poteva sodomizzarmi in cambio di una Barbie con la faccia di Christina Aguilera e si stava avvicinando il momento di riscuotere: questo non mi ha impedito, lo stesso anno, di fare sesso in cambio di beni e servizi. A 31, poi, ho avuto un attacco di panico talmente forte che temevo mi si sarebbe scheggiato un dente.

E queste sono cose che mi sono successe davvero. Ne conservo ricordi fisici; memoria emotiva. Posso parlarne, se voglio, perché so come ci si sente.

A mancarmi sono le prove materiali. (A parte il Policlinico, dove c’è la cartella del ricovero.) Nel delirio senza spiegazione in cui ho vissuto per anni, il male minore – no; la certezza – è l’esistenza di foto o video dove sono catturata in quella che una settimana fa chiamavo l’estasi del fuori onda; se foto e video non sono finiti online è perché qualcuno ha avuto pietà, o perché io sono gonfia, mostruosa, sfigurata oltre ogni possibilità di riconoscimento. La fortuna sorride agli impunibili.

Ecco, il mio di queste cose me ne intendo, bambola, si deve al fatto che oggi parliamo di revenge porn.

Non è una novità. Si favoleggia intorno al revenge porn da almeno cinque anni, da quando un sogno di vendetta o ricatto esemplare – rendere pubbliche immagini private di una persona che conosci; tattica assai diffusa tra i romance scammer, infatti – è stato concretizzato dalla nascita di YouTube e derivati, e da un mercato zeppo di videocamere digitali, cellulari che scattano foto, eccetera. In Italia fino al mese scorso non ne parlavamo. Cos’è cambiato? In America si sta parlando moltissimo di un sito di questa natura. Is Anyone Up.

Innanzitutto: Is Anyone Up è un prodotto di successo, non perché abbia inventato un genere, ma perché qui uomini e donne vengono sputtanati col nome completo. La loro identità è verificata tramite link ai rispettivi profili su Facebook, Twitter, e così via. Il sito è stato creato da un giovane uomo, Hunter Moore, che guadagna da un’impresa moralmente discutibile, ma si cautela contro le rappresaglie più immediate – niente minorenni, avvocati sempre a portata di mano, grandi dichiarazioni alla «ehi! sono un esibizionista anch’io! ecco una foto dove mi smanetto!». Pe-rò. La stampa italiana ci va a nozze. Sul serio. In tre settimane ho letto sette articoli (forse di più) che parlavano di Hunter Moore e del suo sito.

Dalla quasi totalità di questi articoli, entro cinque righe, è chiaro che il sito in questione non è stato nemmeno aperto. Eh già. Un sito gratuito, facilissimo da navigare e pienamente accessibile dall’Europa non è stato visitato da chi ne scrive. Lo capite da alcuni tratti-chiave. Is Anyone Up vi viene raccontato come un incubo misogino dove le ragazze che hanno spedito un ritratto in costume da bagno al fidanzatino del liceo sono messe alla gogna da stronzi anonimi che urlano «togliti tutto!». Bene: il sito è pieno di maschi. Ci sono più girls, sì, ma sulla sezione guys potete passarci la notte. E solo in parte il materiale è stato offerto da vecchie fiamme vendicative, ambosessi. Molte foto arrivano dai protagonisti, maschi e femmine; persone a cui piace l’atmosfera del sito o l’attenzione che può derivarne loro. (Tanto che c’è una sezione – band -dedicata ai gruppi musicali.) Un prodotto simile, The Dirty, quattro milioni di visite mensili e quello sì soltanto a base di femmine derise, non viene mai citato.

Io non so perché succede, bambola. So solo che questa storia viene raccontata male apposta. Altrimenti non potrebbero esserci i seguenti vantaggi:

1. slut-shaming come se piovesse; uomo o donna che sia l’autore, la sua voce fuori campo commisera sempre queste pooooovere ragaaaaaazze (come nei finti documentari tipo Il mio grosso grasso matrimonio zingaro), perché sono tanto ingenue ma anche tanto zozze, loro, le troiette delle foto, quelle da tenere lontane con un bastone di sei metri. (E giù di carità morbosa ai danni delle bimbe sabotate dallo Sporco Maschio Etero, vedi alla voce Whitney Houston.) Tre anni fa l’unico argomento degno di dibattito in questo paese erano le Veline  e come avessero stravolto l’immaginario maschile ponendo le basi per una cultura di stupri e saccheggi dei monasteri: un meccanismo per cui, dopo, mezza Italia stava lì col fiato tronco in attesa di vedere quale sciagurata per prima sarebbe uscita dal condominio dell’Olgettina a viso scoperto;

2. trionfo del metodo 8MM, per cui chiunque maneggi pornografia di qualunque tipo e a qualunque livello è ugualmente colpevole agli occhi di Dio e deve morire infilzato da un tridente; ecco l’alibi culturale che viene creato per poter mettere nero su bianco il sintagma “ragazzine arrapate”, magari condito da “l’ultima follia dei giovani oltreoceano”;

3. se racconti questa storia come l’ennesima birbonata anti-donna, ci guadagni un minuto di indignazione da tinello digitale. Se la racconti per quello che è davvero, un cambiamento forte e vicino a tutti noi, nel cosa eccita un’altra persona, nel concetto di privacy e di questo non si può fare, devi passare un po’ di tempo a guardarlo negli occhi. E il tempo è fatica;

4. «se qualcosa è successo sei mesi fa, non è successo», per cui puoi ignorare il precedente culturale più netto, la serie Girls Gone Wild, dove una troupe americana pattugliava club e spiagge a caccia di donne over-18 che mostrassero le tette alla telecamera in cambio di una maglietta. (Ma se volevano, potevano toccarsi, mimare atti sessuali, baciare o toccare una loro amica.) Girls Gone Wild è andato nei guai solo quando alcune ragazze sono risultate minorenni al momento delle riprese. Intanto il suo patron aveva varato una collana a tema maschi, Guys Gone Wild. Ma un precedente morale ce l’abbiamo in casa nostra: Forza Chiara (da Perugia), il video hard girato quando la protagonista andava al liceo, stella danzante di eMule nel 2002, buttato lì forse da un ex ragazzo in vena di rappresaglia. Se ne ricordasse qualcuno, a parte Giornalettismo;

5. Is Anyone Up viene paragonato a Facemash, la prima creatura di Mark Zuckerberg, quel mitico crogiolo di rancore verso le compagne di scuola. BENE BENE BENE: come sta scritto anche su Wikipedia, che Facemash fosse un’impresa anti-donna è solo la storia offerta dal film The Social Network. Il vero Facemash era un giochetto che prendeva in giro maschi e femmine insieme, come un sito popolare in quel periodo, Hot Or Not. E The Social Network è un film meraviglioso, ci ha dato Finto Eduardo Saverin e la scena dove lui arriva a Palo Alto e gli apre la porta Justin Timberlake con la faccia della segretaria beccata in groppa al capufficio, però non è una storia vera. E allora? Stampa la leggenda, purché sia misogina e degradante;

6. non solo la realtà è trooooppo sopravvalutata, ma non viene più considerato necessario stabilire alcun contatto con quello che racconti. “Esperienza mediata” e “nessuna esperienza” sono messi sullo stesso piano. Per cui o sei un super-inviato in prima linea, passi otto mesi sotto tripla copertura nell’inferno di questo e quello, o almeno un mese a reggere il secchio a James Deen, oppure tanto vale scopiazzare pezzulli del Guardian alla meno peggio, alla fine è la stessa cosa.

Ho l’obbligo legale di concedere tre attenuanti a chi lo sta raccontando sbagliato (ti hanno chiesto l’articolo alle cinque di pomeriggio / quel giorno volevi solo bere caffé e leggere Il Punitore / spesso ti chiedi se le ambulanze della Croce Verde sono tutte una scopata come dicono), però quando ho scritto su James Deen, io prima li ho guardati, i suoi porno. Come era ovvio. Non perché dovessi sovrapporre la mia testa a un altro corpo, ma perché senza mettermi davanti a quello che lui fa davvero non potevo parlarne con cognizione né formarmi uno straccio di impressione emotiva sul principino dell’hard mano-intorno-alla-gola. La stessa ragione per cui non scrivo di anoressia senza prima vedere personalmente il «fenomeno thinspiration», e non parlo di censura senza prima passare corroboranti mezz’orette spulciando gli archivi di You Fucking Whore.

Lo so, lo so. Si comincia così e si finisce con «scrivi solo quello che conosci». E’ un rischio. Se scrivessi solo quello di cui ho memoria fisica, scriverei solo di ospedali e blackout. (Ma neanche: riempirei 145 pagine con la frase “mi chiamo Violetta Bellocchio e sono una puttana”.) Certo però che dieci anni fa nessuno si azzardava a parlare male di fenomeni simili, per non passare da sessuofobo e moralista. Adesso, vale tutto. In fondo nessuno ti ci ha obbligato, e in fondo è tutta questione di scelte, capito come, e in fondo se non ti scattavi la fotina con la maglietta tirata su e due dita nella passera non ti succedeva niente. Poverina! Dove hai fatto il liceo?