Attualità

Uomini veri

"Riprendetevi la mascolinità", recita uno spot semiserio per l'uscita di Die Hard. Viaggio femminile nell'universo degli action movie.

di Violetta Bellocchio

L’uscita di Die Hard – Un buon giorno per morire, quinto capitolo di una saga iniziata nel 1988, si accompagna sul mercato inglese a uno spot pubblicitario dal titolo “Take Back Manhood“, “riprendetevi la mascolinità”. Stando alla voce fuori campo, gli uomini di oggi sono dei mollaccioni: a distruggerli sono stati lo yoga, i video buffi su YouTube e i caramel lattes, tutte cose contrarie all’uno-due usare il cervello / picchiare più forte dell’avversario di cui viene considerato portavoce l’eroe della saga John McClane. Gli spettatori sono quindi esortati a man the fuck up, “tirare fuori i coglioni”, e andare a vedere Die Hard.

Ora, l’intenzione comica dello spot non potrebbe essere più evidente. Lo stesso. Io ci penso e mi accorgo che a mascolinità non sto messa bene, questa settimana. Perché non è solo una cosa di uomini: è un tratto della personalità. E lo si può risvegliare a comando. Basta evitare i passatempi assimilabili alla sfera del “futile” (o del “femminile”) e il cibo zuccheroso, e guardare film d’azione con eroi anni ’80, che ci risultino già familiari. Per 24 ore è fattibilissimo.

Devo solo togliermi una curiosità, prima.

– Papà, cos’è la mascolinità?
– Prendersi del tempo prima di arrivare a una decisione.
– Tutto qui?
– A volte, fare dello sport.

Ripeto la stessa domanda a un amico programmatore. Per lui, la mascolinità è «sapere cosa si vuole e sapere come muoversi per ottenerlo». Un altro amico, che vende piastrelle, dice che la mascolinità è «provare un dolore pazzesco e sforzarsi perché da fuori non si noti nulla». Li ringrazio, e ci salutiamo cantando Berserker.

Via.

 

10:00 Dovevo svegliarmi alle otto.

10:30 Caffè.

10:38 Alba Rossa. Lo guardo con la giacca da neve e le finestre spalancate.

12:00 Se non contiamo il fatto che Alba Rossa mette in scena, con implacabile serietà, l’invasione degli Stati Uniti da parte dell’Unione Sovietica e di Cuba, e il fatto che l’unico midollo spinale del circondario appartenga ai ragazzini scappati sulle montagne a fare la Resistenza, questo è un classico del filone «provare un dolore pazzesco e sforzarsi perché da fuori non si noti nulla». E poi: non riesco a recuperarla ora, ma in un’intervista di alcuni anni fa al co-protagonista Charlie Sheen veniva fuori che John Milius prima di girare le scene più faticose lo motivava così, il giovane Sheen: «senti, ragazzo, ti ho voluto io nel mio film, lo so che non sei una fighetta». Secondo me, nella scena del cervo, Milius il sangue di cervo agli attori l’ha fatto bere sul serio. Ha fatto bene.

12:38 Caffé.

13:00 Sorpresa! Pranzo di lavoro. Sorpresa doppia: non sapevo che fosse oggi, e la donna con cui pranzo non sa che dobbiamo parlare di lavoro.

14:30 Allora, una certa dose di mascolinità risolve. Non mi sono sbilanciata su nulla, ho pensato prima di parlare, ho trattenuto il sorriso, e alla fine è stata lei a chiedermi se per caso avevo delle idee. Boom, nailed it.

15:00 Dovrei recuperare il mio rapporto con le armi da fuoco. Purtroppo l’unico poligono di tiro a Milano, secondo Google, chiede quasi 200 euro di iscrizione all’anno. Dubito che mi lascino entrare a dare un’occhiata gratis. Ripenso al cugino medico di pronto soccorso, che mi mise in mano una Beretta quando avevo diciott’anni, invitandomi a soppesarla con calma. Credo fosse scarica.

15:15 Caffé.

15:30 Schwarzenegger time. La scelta è tra Predator e Danko. (Commando non vale: l’ho visto trenta volte, come tutti gli italiani della mia età.) Danko me lo ricordo abbastanza bene. Specie la scena dove lui va in albergo, accende la TV, ci trova un porno, fa una smorfia e grugnisce, «capitalismo».

15:35 Predator.

16:00. Penso a Hans e Franz, una vecchia gag del Saturday Night Live debuttata quasi in contemporanea a questo film, dove due bodybuilder austriaci deficienti accusavano i loro detrattori di essere dei girlie men (signorine, fighette). Ecco, Schwarzenegger, con immensa furbizia, adottò quella gag, se ne fece orgoglioso portavoce, e usò spesso la battuta durante i suoi anni nel partito Repubblicano, chiamando girlie men tutti quelli che non la pensavano come lui. A rivedere il film oggi, tra lui e Jesse Ventura, sembra che il cast al completo abbia poi ricoperto posti di responsabilità nelle istituzioni del proprio paese.

16:35 Predator non funziona. Mi distraggo, e rifletto sul problema dei lupi mannari che si sentono pronti a mettere su famiglia, ma non trovano un compagno affidabile. Aiuto.

16:37. Il pubblico su Twitter mi suggerisce A testa alta. E’ un film del 2004, però gira intorno a The Rock che riporta La Legge nella sua città impugnando un ciocco di legno e dandolo in testa ai cattivi neo-liberisti.

16:43 Mi tolgo la giacca da neve.

17:25 Scambio di battute cruciale: «Dove hai imparato queste cose?» «Guardando Cops.» «E’ un bel programma.» Sorrido, ma se i personaggi di una fiction virile hanno imparato a essere uomini da altre fiction virili, vuol dire che la mascolinità è solo un labirinto di specchi. Il liberismo selvaggio, comunque, è il nemico ricorrente: qui la chiusura dell’industria locale, e la conseguente apertura di un casinò, ha trasformato un’intera città in una massa di disoccupati dediti al gioco d’azzardo. Purtroppo, va detto, il ciocco di legno ha poco peso nell’azione. E quando The Rock bacia la sua amichetta d’infanzia parte una cover acustica di Blue Monday.

18:06. Senza titoli di coda, A testa alta dura 70′. Sono esausta.

18:10 Esco a comprare l’Economist.

18:20 In realtà, di uomini a cui ho chiesto una definizione di “mascolinità”, ce ne sono molti di più rispetto ai tre che citavo all’inizio. E’ solo che io non ho spiegato perché gli stavo facendo quella domanda, quindi loro hanno tutti dato per scontato che fosse uno scherzo. E le loro risposte erano di due tipi: cose che hanno visto fare nei film («spaccare legna», ad esempio), e cose che non mi racconterebbero, se le facessero davvero («giocare a Call of Duty insultando le mamme degli avversari», «cercare parole sconce su Google»). Se non contiamo alcune cose dette quasi chiedendo scusa, come «avere la febbre a 37 e chiedere di poter morire da eroi sul divano». La mascolinità non è un argomento di cui si parli, quindi.

18.45 Caffè.

19.05 Aliens – Scontro finale.

19:30 Contrazioni uterine, fortissime, non provocate da nulla. E razionalmente io lo so che ho fatto la doccia ieri sera, ma i miei capelli hanno la consistenza del fango.

 

Tra le nove e le dieci di sera deve esserci stato di mezzo YouTube, e dev’essere stato orribile, se stamattina tra i video consigliati per me ho trovato uno, due e tre. (Li ho trovati.) Era comunque evidente che, dopo un breve “esperimento sociale sulla mascolinità” atrocemente malinteso, per tirarmi fuori da casa e portarmi a vedere Die Hard – Un buon giorno per morire dovevano arrivare le locuste.

Però mi sono addormentata col portatile sulla pancia e il Die Hard originale in sottofondo. E quando lui strisciava nel condotto dell’aerazione, e per farsi coraggio ripeteva «vieni in California, ci divertiremo…», ho apprezzato molto. Brav’uomo.