Attualità

Tyrannosaur

Il primo film dell'eccezionale attore Paddy Considine con Peter Mullan nei panni di un dropped out

di Federico Bernocchi

Ci sono alcuni attori talmente fighi, talmente bravi a fare quello che fanno che noi poveri spettatori non possiamo fare altro che attendere ogni loro film come una benedizione, come un dono divino. Uno di questi è sicuramente Paddy Considine. Se il nome non vi dice niente, ringraziate, invece di fare quella faccia: avete ancora la possibilità di scoprire un grande, grandissimo talento. Paddy Considine non solo ha una faccia a ventisette dimensioni, ma ha anche quel plus, quel quid che lo rende un personaggio estremamente affascinante. Se oggi è tra i nostri attori preferiti lo dobbiamo a uno dei nostri registi di culto, ovvero Shane Meadows, per renderla semplice, quello di This Is England. Paddy e Shane, entrambi nativi delle Midlands Occidentali, si incontrano e diventano superamiconi durante gli anni della loro formazione. Per la precisione si incontrano al Burton College alla fine degli anni Ottanta. La loro prima avventura è il gruppo She Talks to Angels. Shane Meadows canta, mentre Considine  mena i tamburi con il soprannome di Bam Bam, il figlio adottivo di Barney e Betty de I Flinstones. È bello immaginare i due, completamente sbronzi, suonare in orribili pub, circondati da personaggi cui nessuno di noi darebbe mai fastidio, soprattutto dopo la quarta pinta. Shane mette in cantiere A Room for Romeo Brass, il suo primo cortometraggio  e sceglie ovviamente Paddy come attore. È la perfetta alchimia.

La perfezione arriva dopo qualche anno. Nel frattempo Shane Meadows continua a farsi le ossa con qualche cortometraggio, mentre Considine ha già fatto vedere a tutti che è un attore estremamente versatile e talentuoso. Non solo i corti del suo amico, ma anche un “piccolo” film come In America – Il Sogno che Non C’era dell’irlandese Jim Sheridan. C’è poco da fare: Considine buca lo schermo e la sequenza del luna park rimane assolutamente memorabile. Tornato a casa dopo questa breve esperienza americana, l’attore nel 2004 scrive insieme all’amico di sempre quel culto che è Dead Man’s Shoes – Cinque Giorni di Vendetta. Per chi l’ha visto è impossibile non ricordarsi del suo personaggio: Richard. Un fascio di nervi in giacca militare, maschera antigas e accetta in mano,  pronto ad esplodere e annientare nel peggiore dei modi possibili un piccolo esercito di balordi e spacciatori della provincia inglese più triste e dolente che si sia mai vista al cinema. Il cinema di Considine e Meadows è esattamente così. Nel frattempo Considine ha partecipato allo spoof Hot Fuzz con la coppia Simon Pegg & Nick Frost, ha recitato al fianco di Matt Damon in The Bourne Ultimatum – Il Ritorno dello Sciacallo, ha fatto anche il poliziotto gay insieme a Jason Statham nell’interlocutorio Blitz, ma il suo cuore é lì. E per “lì” si vuole intendere in quelle storie che sanno di stereotipo lontano un miglio; quelle fatte da vecchi ubriaconi che passano le loro tristi giornate al pub, che bestemmiano e fanno le peggio cose tutto il giorno, ma che hanno un brutto quadro di Gesù Cristio appeso nell’ingresso della loro squallida casetta a due piani, coi murti ingialliti dal tempo e le tendine un po’ sdrucite. Un mondo fatto di piccole ma profonde violenze, in cui non esistono santi, non esiste redenzione e la perdizione è sempre dietro l’angolo. Che, ok, è un mondo stereotipico e lo abbiamo già visto un milione di volte e tutto quello che volete, ma vi sfido a non trovare interessanti delle storie così. Certo, bisogna saperle raccontare, ma questo non è un problema per Paddy Considine.

Nel 2007, proprio dopo aver girato il suo film forse più ricco, il già citato The Bourne Ultimatum, presenta il suo cortometraggio d’esordio come regista al Festival di Venezia. Il titolo è Dog Altogheter e si porta a casa il Leone d’Argento come Miglior Cortometraggio. La storia è quella di Joseph, interpretato dal grande Peter Mullan (un altro che di pub ce ne ha mostrati a bizzeffe nella sua vita) e ispirato al padre di Paddy. L’uomo è vecchio, stanco e consumato da una rabbia e da un nervosismo che lo stanno lentamente portando verso l’orlo della pazzia e dell’autodistruzione. In questo quadro non proprio piacevolissimo, Joseph incontra Anita, portata sullo schermo da Olivia Colman, attrice solitamente impegnata in ruoli comici  che qui da invece prova di avere nelle corde anche ruoli altamente drammatici. Considine ovviamente coccola questa sua vittoria per anni e finalmente, dopo un bel po’ di anni e un lungo processo di riscrittura, arriva al cinema con Tyrannosaur, il suo primo lungometraggio. La storia è fondamentalmente la stessa del suo cortometraggio: ritroviamo Mullan sempre nelle parte di Joseph e la Colman che cambia da Anita a Hannah. Ma la questione è sempre la stessa: gente sfasciata. Ma non sfasciata che poi verso la fine comunque parte un pezzo di un gruppo indie e magari poi splende il sole. No, sfasciata nel senso più deteriore del termine. Sfasciata nel senso che se alla fine vedi qualcuno che sorride, ti viene un magone che non ti abbandonerà più tanto tempo. Considine forse esagera, si fa prendere la mano, ma se pecca, pecca per entusiasmo e non certo per furbizia. Tyrannosaur è un film duro e tristone che non ha paura di avere un protagonista che si aggira per tre questi di film in tuta, un “cattivo” con la faccia più fastidiosa che il fastidiosissimo Eddie Marsan è in grado di fare, due o tre canzoni da lacrime da ubriacone nell’ultimo pub del mondo e una messa in scena secca, nervosa, cattiva come non se ne vedevano da anni. Si esce stanchi e tristi dalla visione di Tyrannosaur. Non si esce contenti per la sorpresa di ritrovare uno dei tuoi attori preferiti in gran forma anche come regista. Si esce con le ossa un po’ rotte e qualche livido che prima non c’era. Ma con la sicurezza che quello era l’obbiettivo di Paddy Considine.