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Il successo inaspettato di DMAX: la rete maschile che ha rinunciato al binomio donne&calcio a favore di avventurieri solitari, belve feroci e hooligan.

di Fabio Guarnaccia

Nel 2010 l’esploratore Ed Stafford, ex capitano dell’esercito inglese, è diventato il primo uomo a percorrere l’intero corso del Rio delle Amazzoni a piedi. Dalle sorgenti nelle Ande peruviane all’Oceano Atlantico. Un’impresa d’altri tempi, quando il mondo era ancora un posto misterioso e sconosciuto, che gli è valsa il titolo di avventuriero dell’anno del National Geographic. L’esplorazione ha richiesto due anni e mezzo di vita nella giungla con la sola compagnia di uno scout indio, dopo che Luke Collyer, l’amico con cui era partito nel 2008, lo ha abbandonato, stanco e depresso. Nel corso dell’esplorazione Ed, classe 1975, ha dovuto affrontare di tutto, compreso: bestie feroci e/o velenose, la fame, malattie virali, narcotrafficanti poco sensibili al fascino della sua impresa, indios armati che lo hanno accusato di essere un demone cannibale responsabile della morte di uno dei loro, la perdita dello sponsor travolto dalla crisi economica e quella dei denti. L’esplorazione, una delle più grandi del passato e del presente, è diventata il programma televisivo Walking the Amazon. Ed Stafford ha filmato tutto da solo. Recentemente ha tentato una nuova impresa al limite dell’umano: sopravvivere su un’isola deserta per sessanta giorni senza cibo, utensili, vestiti. L’unica attrezzatura disponibile era la sua videocamera. Il programma che ne è nato si intitola Duro a morire, trasmesso in Italia da DMAX.

«La nostra idea di lavoro contempla necessariamente una scrivania e un computer. Non ci sporchiamo le mani. Siamo sedentari. Viviamo costantemente all’interno di scatole, DMAX è nato per offrire una via di fuga a tutto questo, una specie di ritorno alle origini».

DMAX, nato nel 2012 all’interno dell’offerta del gruppo Discovery, nel giro di poco tempo è diventato il primo canale maschile nella classifica dei canali più visti dopo quelli generalisti. Una definitiva dimostrazione di quanto il panorama televisivo nazionale sia cambiato. La tv tradizionale non è morta ma la nuova tv abita dimensioni diverse: dove una volta c’era la massa ora ci sono nicchie dai gusti definiti e identità circoscritte. Per parafrasare un claim caro a questa rivista, lo spettatore medio non esiste. Duro a morire è solo uno dei tanti programmi di factual entertainment dedicati all’avventura e alla sopravvivenza che la rete offre al suo pubblico. Caratteristica tipica di questo genere è quella di affidare i suoi programmi a veri professionisti dei mondi messi in scena, come nel caso di Ed Stafford, gente che ci mette la faccia e talvolta ci rimette i denti, in un irresistibile mix di realtà e finzione. La cosa che rende interessante il canale è l’assoluta originalità del suo posizionamento: ­ Conoscendo un po’ la realtà televisiva nazionale non gli avrei dato due lire, invece funziona… e anche bene. Incuriosito e scopertomi parte di questa tribù di spettatori mi sono interrogato sul tipo di uomo inseguito da DMAX.

«Siamo cresciuti e viviamo nel terziario avanzato. Siamo, come qualcuno ci ha definiti, dei desk jockey», mi dicono i responsabili del canale. «La nostra idea di lavoro contempla necessariamente una scrivania e un computer. Non ci sporchiamo le mani. Siamo sedentari. Viviamo costantemente all’interno di scatole, DMAX è nato per offrire una via di fuga a tutto questo, una specie di ritorno alle origini».

Come esemplare di maschio contemporaneo posso affermare con assoluta certezza che vivere dentro scatole è confortevole e sicuro. La civiltà non è mai stata un posto tanto accogliente come in questi ultimi decenni della storia. Ma sono anche consapevole di possedere istinti e bisogni atavici che reclamano spazio e chiedono di essere riconosciuti. Mi viene in mente una citazione di Freud sentita per caso: «L’uomo civile ha scambiato una parte delle sue possibilità di felicità per un po’ di sicurezza» – è contenuta ne Il disagio della civiltà, opera del 1930. E penso che dev’essere stato davvero inebriante infilare una lancia di selce nel collo di un gigantesco mammut, fare a pezzi il suo corpo e tornare al villaggio trascinando con sé tonnellate di carne fresca… non poterlo sperimentare m’intristisce un po’.

Quello della sicurezza è un mito molto caro alla nostra società. Costruiamo macchine sempre più sicure, edifici sicuri, assicurazioni che proteggono i nostri progetti di vita e quelli dei nostri cari. Finché ci sarà una classe media la paura e il bisogno di sicurezza saranno il motore delle nostre vite. Ma là fuori, fuori da quella che gli psicologi chiamano zona di comfort, esiste un mondo di possibilità, un mondo spaventoso dove la vita è più vera ed eccitante.

Gli ultimi anni verranno ricordati dagli storici del futuro per averci tolto un paio di certezze da sotto il sedere. Come un ratto la storia sta rosicchiando le pareti delle nostre scatole. Gli spifferi si fanno sentire: attentati terroristici, disastri naturali inusitati, pandemie globalizzate e la più spaventosa crisi economica della storia. Ebbene, mai come oggi abbiamo bisogno di imparare a sopravvivere là fuori, ad accendere un fuoco con le pietre, procurarci il cibo, costruirci un giaciglio. La civiltà non è eterna e neanche noi, tanto vale cercare di riprenderci un po’ di quella felicità a cui abbiamo rinunciato.

 

Avventura, ironia, bizzarro.

Sprofondato nel divano di casa, lo spettatore di DMAX si allena a tutto questo. Si abbandona all’avventura come faceva da bambino con Jules Verne, Jack London e Indiana Jones. I suoi nuovi compagni sono per qualche ragione tutti britannici o quasi, spinti da rinnovati impeti imperialisti e dal bisogno estremo di cacciarsi nei guai. Tra questi: Jeremy Wade, del Suffolk, pescatore, biologo, antropologo, gira il mondo alla ricerca di pesci d’acqua dolce in grado di uccidere uomini (River Monster). Bear Grylls, cresciuto sull’isola di Wight, ex militare delle forze speciali e capitano nella Royal Naval Reserve, esperto in tecniche di sopravvivenza, è famoso per farsi paracadutare nelle regioni più inospitali del pianeta e per bere la propria urina ogni qual volta se ne presenta l’occasione (Bear Grylls: l’ultimo sopravvissuto). Dave Canterbury e Cody Lundin, sono altri due esperti di tecniche di sopravvivenza ma con approcci opposti. Il primo è un ex militare, il secondo una specie di antropologo hippie che vive in armonia con la natura e cammina a piedi nudi in qualsiasi condizione atmosferica, anche sulla neve. Il programma si intitola Dual Survivor e mette a confronto l’efficacia dei due diversi approcci.

L’avventuroso è «l’eroe, il trickster, il giovane ramingo, il pellegrino trasformato in vagabondo, il gipsy davy o semplicemente qualcuno che in un certo momento “stacca” dal tempo ripetitivo e coerente di una vita una “storia”».

Ci sono altre tipologie di factual che mettono tra parentesi la vita civile come noi la conosciamo. Per esempio quelli dove si indaga la violenza. In Ross Kemp: mondo criminale, il giornalista inglese racconta con i modi tipici del giornalismo investigativo la vita delle gang più pericolose sparse per il mondo; oppure Football Hoolygans, dove l’attore e tifoso del West Ham United Danny Dier si ritrova in mezzo alla violenza più estrema dei supporter delle squadre di calcio. Ce ne sono altri, ma credo basti per dare un’idea dei soggetti in campo. Come afferma l’antropologo Franco La Cecla, l’avventuroso è «l’eroe, il trickster, il giovane ramingo, il pellegrino trasformato in vagabondo, il gipsy davy o semplicemente qualcuno che in un certo momento “stacca” dal tempo ripetitivo e coerente di una vita una “storia”».

Le loro storie sono piuttosto ricorsive e artefatte, esibiscono i meccanismi della narrazione con nonchalance. La sospensione dell’incredulità è richiesta e ottenuta a costi contenuti. Il loro grande pregio è di resuscitare in un colpo solo il racconto di avventura, ormai del tutto negletto in letteratura, unendolo all’how to tipico del genere factual. Il risultato è una versione agli steroidi del Manuale delle giovani marmotte, con professionisti della sopravvivenza che mentre rischiano l’osso del collo riescono a trovare il tempo per parlare in camera con te, accidioso spettatore contemporaneo, insegnandoti tutti i loro trucchi. Trucchi che un giorno, si illude il fanciullino, potrebbero anche salvarti il culo. L’avventura ha questo potere speciale: rivela l’uomo a se stesso. Ma questo è solo lo strato superficiale del piacere che deriva dalla visione di DMAX. La realtà è molto meno eroica di così.

Ed Stafford, Duro a morire: non è quello che ti aspetteresti. Il tipo riesce ad accendere il fuoco solo al dodicesimo giorno. Andiamo! Mangia solo lumache vive e lucertole che lo fanno stare male.

Ognuno di questi show ha in sé una rassicurante ricompensa: il ritorno alla civiltà. Il mito del “Man Alone” è solo un pretesto. Non è Into the Wild, anzi, è la sua negazione. Del resto chi può prendere sul serio un’idea del genere? Più che il racconto epico a farla da padrone è un atteggiamento postmoderno, scafato e votato all’ironia e soprattutto alla sfida. Alla performance. L’abbandono della civiltà è sempre temporaneo e il ritorno nel suo seno caldo e nutriente una conquista.

Ed Stafford, Duro a morire: non è quello che ti aspetteresti. Il tipo riesce ad accendere il fuoco solo al dodicesimo giorno. Andiamo! Mangia solo lumache vive e lucertole che lo fanno stare male. Considerando le cose che ho imparato da spettatore di DMAX penso che potrei persino fare meglio di lui… Quando alla fine dei 60 giorni un elicottero atterra impacciato sulla battigia per riportarlo a casa, Ed non sta più nella pelle.

Dual Survivor: detto tra noi, se non fosse per il trickster Dave Canterbury l’unico contatto che Cody Lundin, l’avventuriero dai piedi nudi, avrebbe con la natura sarebbe con la nuda terra, per la precisione: sottoterra. Mentre l’ex militare sgozza un cinghiale per cena, Cody si nutre di formiche e radici. Sono una strana coppia, un duo comico e dinamico.

Dual Survivor: detto tra noi, se non fosse per il trickster Dave Canterbury l’unico contatto che Cody Lundin, l’avventuriero dai piedi nudi, avrebbe con la natura sarebbe con la nuda terra, per la precisione: sottoterra.

Gli eroi di DMAX sono tutti eroi fallibili e quotidiani, anche quando vengono abbandonati su un’isola deserta. Il registro più utilizzato è quello ironico. Il gusto più diffuso è quello del bizzarro e dell’esotico. Ognuno di noi può identificarsi in questa specie di eroi e ricordarsi che la vita è pericolosa sempre, anche in città (1000 modi per morire).

Il ritorno nella scatola della civiltà è ogni volta una festa. Come se la società fosse qualcosa da guadagnarsi e non dare per scontata. Non dobbiamo limitarci a usarla, dobbiamo alimentarla. Il piacere di tornare a casa ci ricorda che l’avventura è un gioco. Come quando eravamo bambini. Ha un che di infantile questo costante richiamo alla sfida. Facciamo finta che. Sapere che tutto è un gioco rende accettabile anche l’artefazione di quello che vediamo, come nel wrestling. Da spettatori torniamo a quel periodo della nostra infanzia quando eravamo sulla buona strada per diventare uomini, prima che la vita si mettesse di mezzo. Per certi aspetti primordiali siamo più maschi da bambini che da adulti. Abbiamo il dovere di ricordare a noi stessi come si stacca la coda a una lucertola. E mangiarla, se necessario. Perché la prima regola per diventare uomo è non tradire il bambino che sei stato.

 

Nell’immagine, Chef Rubio, protagonista di Uniti e bisunti

 

Dal numero 14 di Studio