Attualità

Tunisia, riflessioni post-voto

Il successo di Ennahda, a ciglio asciutto, e l'abc da cui i laici dovrebbero ricominciare a fare politica

di Francesco De Remigis

Tunisi – Poniamo che sia vero: i voti, o buona parte di essi, il partito islamico Ennahda li ha ottenuti dispensando dinari in tutto il Paese. Cellulari e Blackberry. Domanda: l’entusiasmo che ha inondato Tunisi nella notte di lunedì, e ancora all’alba di stamani, anche quello è frutto di prezzo? Gruppi di ragazzi appesi ai finestrini di automobili e camioncini, da cui spuntavano bandiere del partito; nessuno pensava che Ghannouchi avrebbe potuto raggiungere consensi così evidenti anche a Tunisi. Almeno fino allo scrutinio che ha affermato burocraticamente la realtà: Rachid Ghannouchi ha ottenuto più voti di tutti gli altri candidati. E’ vero, Ennahda ha utilizzato forme di moral suasion al limite della scorrettezza politica, dell’illecito, ma ha ottenuto un percentuale talmente alta che bisogna sforzarsi di affondare l’analisi più in là di un semplice cadeau come strumento di propaganda. Capire come si è arrivati a questo punto.

Gli episodi di cui si parla ancora – la manifestazione post scrutinio organizzata da militanti del Polo progressista, davanti alla sede dell’organismo di controllo (Isie), non è stata la prima e non sarà l’ultima. Di presunta compra dei voti si può dire, certo. Ma poi si deve chiedere alla gente perché ha votato Ennahda, perché i laici più laici (quelli riuniti nel Polo democratico modernista e i progressisti del Pdp) sono andati così male e perché, proprio questi ultimi, sembrano far fatica a inquadrare la portata della sconfitta, distratti da situazioni di corredo che francamente si vedono spesso anche in altre campagne elettorali. Magari europee. E allora le ragioni sono due. Ennahada ha iniziato la sua campagna elettorale il 1° febbraio. “Non abbiamo mai smesso e non abbiamo intenzione di smettere”, dicono alla sede del partito. “Non abbiamo vinto con i carri armati, ma con la democrazia”. Perché, prima ancora di un programma di governo, hanno lanciato alla gente un messaggio: dobbiamo tornare a contare nel mondo e, l’unico modo per farlo, è quello di sentirci più forti attraverso l’introduzione dell’insegnamento islamico nella nostra stessa Costituzione, ciò che di più caro ha un Paese, le fondamenta su cui si sviluppa.

Non possiamo più essere un Paese diviso, libero tra virgolette, in cui ognuno la pensa come vuole. Veste come sente e frequenta locali notturni senza soluzione di continuità. Dobbiamo essere laici, ma “sottomessi”. Questo significa essere musulmano. Mentalmente dipendenti da qualcosa di più grande di noi che ci darà la forza di risorgere dopo la Rivoluzione araba. I politici laici, sentendo discorsi del genere, conditi via via da sano pragmatismo programmatico – dalla creazione di posti di lavoro ad un’economia da rilanciare attraverso accordi nell’area islamica – dopo la caduta di Ben Ali si sono trastullati. Come quei bambini che nell’ora di ricreazione fanno bisboccia, anziché ripassare e preparasi per il compito in classe. Non hanno avuto dieci minuti, ma nove mesi. E quando il giorno di verifica è arrivato, si sono dovuti confrontare con un altro gruppo di bambini meticolosi, che non ha lasciato al caso neppure il colore della penna, gli abiti, lo zainetto. Il necessaire di una ribalta che ha portato al potere gli islamici in un Paese tradizionalmente laico.

La tendenza dei partiti che hanno perso questa elezione è di minimizzare l’accaduto: ci saranno altre verifiche, dicono, e vinceremo noi. Se ne può fortemente dubitare. E anche se fosse, dovranno faticare talmente tanto, solo per raggiungere un quarto delle persone a cui sono arrivati i politici di Ennahda in questi nove mesi, che gli altri avranno già fatto passi in avanti. Perché Ennahda non sono islamisti dalla barba curata, non solo. Sono politici che affilano la lingua. Gente che conosce il mestiere. L’unico gruppo che dopo la caduta di Ben Ali ha capito che in Tunisia c’era una tabula rasa su cui scrivere un pensiero inedito per questo Paese: quello dei Fratelli musulmani che – democraticamente – ora si apprestano a governare una terra così vicina a noi. Guai lamentarsi se non si ha studiato. Mai dire che il nostro 4 in pagella è colpa di qualcun altro. Si insegna alle medie, al massimo alle superiori. Ma qui la democrazia è una cosa talmente nuova che si deve partire dall’abc. Mentre Ghannouchi, su come si fa politica, ha scritto libri e vanta master all’estero.