Attualità

Tor Sapienza, Roma, Europa

Cosa sta succedendo alla periferia della Capitale? Di chi (o cosa) è la colpa? Ci sono "due" Roma? E le aggressioni ai migranti sono state premeditate? Un giro di opinioni e commenti sulle proteste di questi giorni.

di Redazione

Povertà, frustrazione, “guerra fra poveri”, “cittadini esasperati”. Per spiegare, o anche soltanto raccontare, i fatti di Tor Sapienza, dove buona parte degli abitanti locali da qualche giorno protesta anche violentemente contro le condizioni del quartiere, i media negli ultimi giorni sono ricorsi a queste espressioni e altre più o meno corrispondenti. Qualcuno parla di un coinvolgimento diretto di ambienti di estrema destra, che avrebbero aizzato i residenti contro il centro di accoglienza di viale Giorgio Morandi, obiettivo dei manifestanti. Altri rispondono che si tratta del frutto spontaneo della rabbia di persone che non ce la fanno più. E, nel frattempo, tra le telecamere e andirivieni di politici, la situazione nei pressi del Grande raccordo anulare non è migliorata. Abbiamo chiesto a giornalisti, scrittori e persone che hanno seguito la vicenda in prima persona di raccontarci che idea si sono fatti, quanto possono aver influito questioni socio-culturali antecedenti, cosa si può fare adesso.

 

Nicola Mirenzi – Giornalista di Europa

Sono stato due giorni e una notte a Tor Sapienza e dei fascisti ho visto solo l’ombra. Ho incontrato disoccupati, pensionati con la minima, persone che guadagnano a malapena ciò che gli serve per sfangarla. Ho guardato i denti rosicchiati dall’eroina in bocca agli avventori del bar Lory, lo spaccio nel cortile del palazzone in cemento armato di Viale Morandi, le macchine che corrono in preda al desiderio a caricare trans in piazzale Pino Pascali. Ma i fascisti, no: non li ho visti.

L’assalto al centro richiedenti asilo del quartiere non è stato organizzato dagli estremisti di destra. È stato un moto spontaneo, sul quale Casapound e gli altri hanno cercato di lucrare. Certo, è più comodo mettere fuori dall’arco costituzionale una rivolta sinistra come questa. Serve a disinteressarsene meglio. La periferia di oggi non è la borgata romana degli anni cinquanta. Non è più, cioè, il luogo in cui si concentra, separato dal resto, il sottoproletariato e la povertà. Ma è il terminale dell’impoverimento di tutta la classe media.

Ho guardato i denti rosicchiati dall’eroina in bocca agli avventori del bar Lory, lo spaccio nel cortile del palazzone in cemento armato di Viale Morandi, le macchine che corrono in preda al desiderio a caricare trans in piazzale Pino Pascali. Ma i fascisti, no: non li ho visti.

Le persone che a Tor Sapienza dicono di voler bruciare i neri, cacciare zingari e rumeni, fare piazza pulita delle prostitute, hanno conosciuto un modesto benessere. L’hanno perso, e ora si sentono vigliaccamente derubate. La voglia di farsi giustizia da sé nasce da qui. Rappresentano a loro stessi l’immigrato come un privilegiato immune dalla legge, favorito nell’occupazione, assistito dalle istituzioni. In poche parole, colui che gli ha tolto ciò che avevano. Scacciandolo, credono di scacciare la loro condizione. Ed è questo l’inganno del populismo televisivo di cui si nutre la loro interpretazione della realtà.

A Roma, la studiata politica di concentrare un così alto numero di stranieri in un spazio tanto ridotto e segnato ha messo i penultimi della scala sociale in guerra contro gli ultimi. Il tappo è saltato alla notizia dell’ennesimo tentato stupro, innescando il terribile meccanismo del capro espiatorio. Il peso di tutte le angosce è precipitato sui più vulnerabili: i settanta richiedenti asilo, metà minorenni, a cui nessuno è in grado di far risalire un crimine specifico. È un sfogo, paranoide, di frustrazioni legittime. Arginarlo, è l’unica cosa che si può fare oggi. Per guarirlo, non basteranno le passerelle politiche.

 

Tommaso Giagni – Scrittore

La mia idea è che su una base preesistente di tensione, sottotraccia, un impoverimento congiunturale faccia saltare gli equilibri. I fatti di Tor Sapienza raccontano di un’esasperazione che esonda e se la prende con gli immigrati di Viale Morandi, le prostitute di Piazzale Pascali, il campo rom di Via Salviati. Dai lo schiaffo a quello che hai più vicino, perché la politica è lontana e non ci arrivi.

Il punto è capire se la politica sia in grado di canalizzare l’esasperazione, offrendo risposte e trovando soluzioni. E mi sembra che le forze antisistema di destra intercettino quell’impulso (e lo cavalcano) che invece il partito erede del Pci (che nelle periferie sapeva starci) trascura limitandosi al disprezzo. In tutto questo Marino risulta goffo, fa andare e venire i minori del centro, perché non ha gli strumenti conoscitivi e va a casaccio. D’altronde Veltroni credeva di avere un rapporto con le periferie perché ci metteva i teatri di cintura…

Il territorio che accoglie una consistente immigrazione metropolitana, che in questa città ancora non abbiamo visto davvero, ha bisogno di un equilibrio di partenza. E dire “No all’immigrazione” è prima di tutto sterile. Siamo in ritardo, rispetto alle capitali europee; dovremmo studiare e per esempio ragionare sulle rivolte a Parigi nel 2005 o a Stoccolma nel 2013, per trovare una strategia che non si basi sull’isolamento mascherato da integrazione. Personalmente non mi piace proprio la parola – “integrazione” – come non mi piace la parola “tolleranza”. Preferirei si conoscessero e riconoscessero le differenze, e si lasciasse loro pari cittadinanza.

Ci sono due Roma, e in molti dell’una non vanno a conoscere l’altra, e la politica non costruisce un ponte. La prima responsabilità è delle amministrazioni comunali che non hanno ridotto quella distanza. Si cominci a rendere meno netto lo scarto, per esempio rivoluzionando il trasporto pubblico – che avrebbe anche un valore simbolico. Si trattino i margini come e quanto si tratta quel museo che è diventato il centro storico.

Un servizio dell’ultima puntata di Piazzapulita dedicato ai fatti di Tor Sapienza.

Stefano Ciavatta – Giornalista freelance

Tor Sapienza dal Campidoglio dista 13,7 km, mezz’ora piena di traffico. Non è una cattedrale nel deserto, c’è Roma anche oltre Tor Sapienza. La canzone popolare dice che non è romano chi non sale il gradino del carcere di Regina Coeli. Ma l’amministrazione della capitale più che il gradino di un penitenziario dovrebbe salire sul mappamondo romano ed essere capace di guardare ovunque. Gli estremi della metropolitana parlano chiaro ma pur sempre in maniera parziale: Conca d’Oro dista 10 km, Laurentina 11,3. Anagnina circa 15. Il Gra dista 13 km verso ovest, e 14,7 verso est direzione Tor Sapienza. Sono distanze naturali, da decenni. A Roma ogni distanza del genere aggancia altre distanze, rilancia gli spazi, concede insomma ad altri spazi il diritto di cittadinanza.

Il Gra ha reso possibile che zone più lontane dal centro di Tor Sapienza diventassero Roma e non più dintorni. Tra le tante mappe non istituzionali c’è quella I Have a Dream della TicEdizioni. È volutamente finta, cioè rappresenta i desiderata della metropolitana romana che è ancora lontana abissi di rotaie dall’essere il Tube di Londra. Eppure è una mappa verissima perché le stazioni potenzialmente ci sono tutte. Anzi, persino sulla mappa dei desideri mancano zone enormi. Tor Sapienza c’è, non è neanche un capolinea e neanche allo sprofondo. Mancano però Torre Angela e Tor Bella Monaca, che sono zone grandi e anche già pratiche di problemi in cronaca.

Il diktat è che lì non passa Roma. Ma di che Roma stiamo parlando? Basterebbe una banale pianta dei campi di calcetto a stracciare il concetto di periferie isolate, idem quella degli attraversamenti per i grandi centri commerciali.

Le mappe ufficiali e commerciali della Roma misura Grande Bellezza coltivano questa grande distrazione verso tutto ciò che non sia il centro storico. Sono mappe psico-geografiche, allucinazioni con un fondo di pericolosa indulgenza che vengono smentite ogni giorno in cronaca e dalla vita quotidiana della città, non necessariamente dal degrado: il diktat è che lì non passa Roma. Ma di che Roma stiamo parlando? Basterebbe una banale pianta dei campi di calcetto a stracciare il concetto di periferie isolate, idem quella degli attraversamenti per i grandi centri commerciali. La visione di Roma deve ricominciare dall’abc. Qualsiasi cosa accada nelle varie Tor Sapienza, l’amministrazione arriva ufficialmente in ritardo perché le tante Tor Sapienza sono ossa non contemplate nello scheletro della capitale. Poi si alza il sipario sulla Questione di turno, ma la falla nel Titanic chiamato Roma è già aperta. Un milione e mezzo di romani non ha votato alle comunali ma a disertare Roma è l’immaginario dell’amministrazione.

 
Laura Eduati – Giornalista dell’Huffington Post

Basterebbe scorrere a ritroso le cronache romane degli ultimi anni per inciampare continuamente nei cortei e nelle proteste di Tor Sapienza contro la prostituzione a cielo aperto e contro i roghi tossici (è vero, nessuna mobilitazione contro lo spaccio – osservano alcuni col ditino alzato – ma è chiaro che in tempi di crisi economica smerciare droga diventa una forma di sostentamento, e dunque perché le famiglie dovrebbero chiedere di interrompere il proprio reddito seppur illegale?).

I comitati di quartiere, quelli che oggi sono invitati ai confronti televisivi con Ignazio Marino, hanno intrecciato con infinita pazienza innumerevoli tavoli tecnici con il Municipio, il Campidoglio e con la Prefettura chiedendo lo zoning, e cioè la delimitazione del mercato del sesso per evitare che clienti e prostitute si accoppiassero sotto le finestre delle scuole e dei palazzi. Lo zoning sta per debuttare davvero ma in un altro quartiere, e le nubi puzzolenti continuano a invadere le vie della Rustica e di Tor Sapienza, e quando sono cominciate le aggressioni e le rapine una manciata di violenti ha tirato le pietre e le bombe carta contro il centro di accoglienza per minori non accompagnati perché – raccontano – quei diciassettenni egiziani si mostrano nudi alla finestra e, non avendo quasi nulla da fare tutto il giorno, si inventano sberleffi e proposte indecenti alle signore del quartiere.

Solo con le pietre sono arrivate le telecamere, soltanto con la guerriglia il sindaco si è convinto a inserire in agenda “Tor Sapienza”. Il messaggio è che quando nessuno ti ascolta, non servono le mediazioni e il dialogo pacifico con chi ti amministra: scendi in piazza e fai l’Intifada. Hanno scritto che avrebbero dovuto marciare coi forconi contro i veri responsabili (lo Stato, il Comune di Roma, etc), e nel loro piccolo lo hanno fatto: la guerriglia di martedì e mercoledì notte è stata fatta anche contro la polizia, che dello Stato è sempre il primo avamposto.

Il messaggio è che quando nessuno ti ascolta, non servono le mediazioni e il dialogo pacifico con chi ti amministra: scendi in piazza e fai l’Intifada.

C’è chi ha detto che nessuno dovrebbe difendere un assalto razzista, eppure soltanto facendo un assalto razzista nel giro di 24 ore sono partiti gli ordini (immediatamente eseguiti) di pulire il parco di viale Giorgio Morandi e riparare i lampioni rotti da settimane. Oggi i dibattiti sociologici e politici sulla periferia umana e sulla vicenda di Tor Sapienza hanno lo stesso effetto di portare un ragazzo di strada cresciuto a botte e ingiustizie a teatro, perché la cultura è importante e gli farà bene. E se non l’apprezza, allora è proprio un selvatico (di tutte le ingiustizie subite dai residenti di quella zona, l’epiteto “razzisti” è forse il peggiore. Perché coglie soltanto una sfumatura del comportamento, quella che serve alla sinistra meticcia per sentirsi a posto con la coscienza perché con quei buzzurri non ci deve avere a che fare, sebbene tra quei buzzurri ci sia Marina Brasiello, il cui marito faceva parte della scorta a Enrico Berlinguer ma che ora ha chiesto aiuto a Matteo Salvini).

Allo stesso modo nelle zone marginali nessun progetto di accoglienza multietnica può avere successo se non si comincia dalla gestione ordinaria: i tombini, le scuole, le riparazioni delle case popolari («c’ho i topi in cucina!» mi gridava un’anziana l’altro giorno), le linee dell’autobus funzionanti, la raccolta vera della spazzatura, la copertura delle buche e l’illuminazione dei parchi. Non c’è niente di più politico e giusto di un quartiere ben amministrato, purtroppo per la destra è sempre colpa degli immigrati e per la sinistra la buona amministrazione è data per scontata, anche quando non c’è. Tra poco meno di 24 ore Tor Sapienza uscirà dalle cronache nazionali e locali, e tutto sarà come prima. In mezzo, appesi al vuoto, rimangono gli ultimi degli ultimi. Il vero atto di eroismo, a Tor Sapienza, è riallacciare i fili dell’Acea.