Attualità

Intervista a Tao Lin

Autore di Richard Yates (Il Saggiatore). In cui si parla di minimalismo, noia, post moderno e panini

di Timothy Small

Sandwiches è una nuova rubrica aperiodica curata da Tim Small e ospiterà interviste lunghe e medio-lunghe con scrittori, sceneggiatori e altre persone interessanti.

Introduzione

Per la prima puntata della mia rubrica su Studio, ho deciso di intervistare Tao Lin, giovane scrittore di Brooklyn. Nel 2007, la casa editrice indipendente Melville House ha pubblicato i suoi primi due libri: una collezione di racconti, Bed, e un romanzo, Eeeee Eee Eeee. Lin divenne rapidamente uno scrittore di culto per tutta una serie di persone giovani e molto del-momento. Per “gli hipster”, volendo proprio usare un termine pessimo. Cosa voglia dire “hipster” è uno degli argomenti di discussione dell’intervista, come lo è il suo splendido saggio sulla contrapposizione tra letteratura “minimalista” e “post-moderna” uscito qualche mese fa sul New York Observer e la pubblicazione del suo ultimo sforzo, in traduzione italiana, per Il Saggiatore – uno splendido romanzo intitolato Richard Yates che narra della storia d’amore tra una giovane ragazza di nome Dakota Fanning e uno scrittore di Brooklyn dal nome Haley Joel Osment. Dato che Tao Lin è anche noto per aver scritto svariati capitoli della sua novella, Shoplifting from American Apparel, in formato Gmailchat, ho pensato di intervistarlo in Gmailchat anche io.

Disclaimer

Prima che ve ne lamentiate, sì, è vero, Richard Yates è un romanzo in cui non succede quasi niente. Ma è un po’ quello, il punto. Proprio come The Pale King di David Foster Wallace, esplora il concetto di noia facendoti annoiare, i lavori di Tao Lin esplorano la depressione e l’alienazione rendendoti depresso e alienato.

Tim: Ciao Tao. Stai scrivendo molto in questi giorni?

Tao: Sì, tutti i giorni. Il mio nuovo libro uscirà a luglio 2012, mi sto concentrando su quello. Uscirà per la Vintage. Sarà più o meno 55,000 parole. Circa 160 cartelle.

Vintage? Se non esci più per Melville House vuol dire che “sei un venduto”.

Esattamente.

Cos’altro mi puoi raccontare del romanzo?

Non penso di aver avuto droghe nei miei altri romanzi, ma questo ne sarà pieno. È scritto più nello stile di Bed che di Richard Yates.

Che ne dici dell’uscita di Richard Yates in Italia?

Sono felice. Ma non ne so molto. Mi piace moltissimo la copertina. Tu ne sai qualcosa? Faranno una festa di lancio? Conosci l’editore, Il Saggiatore?

Sì, sono una casa editrice molto istituzionale di sinistra snob, ma sono bravi. Peccato che non vieni.

Beh, il mio editore francese mi farà volare in Europa a dicembre. Magari passo. Non sono mai stato in Italia.

Come ci si sente ad essere la celebrità letteraria numero uno per i giovani di Brooklyn?

Non lo sono! La celebrità letteraria numero uno per i giovani di Brooklyn è Carles di Hipster Runoff.

Da una parte dello spettro, sì. E, dall’altra parte dello spettro ci sono i Jonathan.

Jonathan Lethem è probabilmente 50x più noto di me, Jonathan Safran Foer 500x, Franzen 10000x.

Ma sulla copertina di The Stranger ci stavi meglio tu.

Grazie. Sono stati molto gentili.

Volevo chiederti una cosa sulla tua partecipazione a The Milan Review. Presente quella libreria molto hipster su Bedford Ave., a Williamsburg, Spoonbill & Sugartown? Beh, mi hanno comprato una decina di copie, ma hanno aggiunto uno sticker sulla copertina con su scritto TAO LIN INSIDE.

Sì… l’ho visto. Mi spiace. Non me l’hanno nemmeno chiesto.

Stavano cercando di salire sul carrozzone Tao Lin.

Haha. Beh, una volta hanno provato a vendere delle shopping bag con su scritto “Shoplifting from American Apparel” e Melville House gli ha chiesto di girarmi una percentuale su ogni borsa venduta. Non mi pare l’abbiano fatto. Non ricordo.

Quello che volevo dire prima è che sei super famoso a Brooklyn. Non ho mai ricevuto così tanti commenti alla, “Bel libro” da ragazze carine in metropolitana come quando leggevo Richard Yates sulla linea L.

Cosa? Non ci credo. Penso che la maggior parte della gente mi odi, in realtà. Se gli piacciono i miei libri non lo ammettono nemmeno. Probabilmente a quelle ragazze piacevi tu.

In effetti, a essere onesti non ho anche mai ricevuto così tante sopracciglia alzate alla «Guarda quel cazzo di hipster» da ragazzi hipster in metropolitana come quando leggevo Richard Yates sulla linea L.

Haha. Pensa che ho letto un sacco di tweet in cui la gente dice apertamente «imbarazzato che la gente mi veda leggere @tao_lin in metropolitana».

Perché pensi che la gente ti odi?

Io non lo credo, io lo so che la gente mi odia. L’ho letto sulla rete. Ma penso che sia normale. Penso che il mio lavoro non sarebbe stato letto, in una situazione normale, da così tante persone—anche se comunque non lo è. Penso che, dato che ho ricevuto così tanta attenzione mediatica, il mio lavoro sia finito in mano a gente che non avrebbe altrimenti nessun interesse nel leggere la mia roba. E quindi hanno reagito negativamente.

Oltre ad averti permesso di guadagnare migliaia di lettori disgustati, ci sono altri modi, secondo te, in cui internet ha cambiato il modo in cui leggiamo e scriviamo?

Beh, mi stai intervistando su Google Chat.

Già.

Ho internet da quando avevo 10 anni, quindi non saprei dirti com’erano le cose prima. Però penso che Twitter abbia cambiato il mio modo di pensare. Mi trovo a narrare la mia vita in tweet, nella mia testa. Magari apro la porta del frigo e guardo dentro e penso qualcosa come, «oggi pensavo “Oprah [qualcosa qualcosa]” mentre fissavo la mela nel frigo». Mi sento ulteriormente rimosso dalle cose da quando ho iniziato a scrivere così tanti tweet.

Ti piace quella sensazione?

Non lo so. Penso che, quando sono felice, mi piace, e quando sono triste non mi piace. Penso sia una sensazione neutra, quindi.

Cosa ne pensi della parola “emo”? Il tuo lavoro è stato descritto così, ma non penso che sia vero. Anzi. Penso che il tuo lavoro sia il contrario dell’emo. È proprio come hai descritto quella sensazione: distaccato, neutrale.

Penso che ci sono tante definizioni di “emo”. C’è un tipo di “emo”, esemplificato dalla band I Hate Myself, che è accurato per descrivere il mio lavoro. Ma sì, il mio stile è distaccato e neutrale. Il problema è che non so più cosa voglia dire la parola “emo” quando la gente ne parla. Penso che sia diventato principalmente un termine dispregiativo che accomuna tante cose diverse.

È una di quelle parole che non ha più senso. Come “hipster”. Ma parliamo un po’ del tuo articolo sul New York Observer sul “Futuro del romanzo”? Mi è piaciuto molto. Mi pare che tu voglia contrastare quella stupidità popolare che separa i tipi di scrittura in “due scuole” e le mette “in opposizione”—un “Gruppo A”, in cui ci sono Raymond Carver, Amy Hempel, Mary Robison, Frederick Barthelme, Jean Rhys, ecc., e un “Gruppo B”, in cui sono Thomas Pynchon, William H. Gass, David Foster Wallace, Donald Barthelme, ecc.

La verità è che molto prima che mi chiedessero di scriverlo sapevo già dei discorsi che si facevano sull’argomento. Al posto di continuare quel “discorso”, volevo più che altro esprimere il mio disappunto alle due “fazioni”. Volevo semplicemente spezzare una lancia a favore del parlare d’arte in termini di gusto personale, piuttosto che in termini assoluti come “migliore” o “peggiore”.

Mi piace molto la parte in cui sottolinei che, alla fine, “sia il gruppo A che il Gruppo B — sebbene molto diversi, possiamo dire, in termini del loro stile — hanno costantemente espresso supporto e apprezzamento l’uno per l’altro.”

Penso che sia assolutamente illogico dire a qualcuno che la sua arte non sia valida, piuttosto che dire semplicemente, “Non mi piace la tua arte”. La differenza tra le due frasi, per me, è immensa. Ma gli scrittori che denigrano gli altri ricevono più attenzione, e diventano parte di quel “discorso” di cui parlavamo, perché quel “discorso” è infinito (dire “A è meglio di B”), mentre se io dico semplicemente che un libro mi è o non mi è piaciuto, la conversazione finsice lì, e l’unica cosa che rimane è produrre altra arte. Se io dico a una persona, “Non mi è piaciuto il tuo libro”, e lei risponde, “OK”, la conversazione è finita.

In termini di gusto, possiamo dire che preferisci il gruppo minimalista a quello postmoderno.

Non mi reputo parte di nessun gruppo. Sono convinto che a persone diverse piacciano libri diversi e ogni persona ha il diritto di avere un suo gusto, e per me sono tutti legittimi. Però, sì, personalmente preferisco lo stile alla Carver-Beattie-Robison.

Anche io adoro quel tipo di scrittura. Ma mi piacciono anche i romanzoni ciccioni e succosi e super-ambiziosi con dentro mille personaggi e mille stilemi, come Albero di fumo, metti. Mi piace anche la letteratura Western. Mi piacciono tante cose, in modo diverso. Perché non metterla così? Nel senso, c’è anche un livello ulteriore, che sta dietro al “discorso” che “oppone” i due gruppi, un livello al quale posso dire, ad esempio, che mi piacciono sia Ho perso la testa per un cervello di Steve Martin, che Niente da nascondere di Michael Haneke, per ragioni completamente diverse.

Anche a me piacciono molti romanzi che stanno quasi all’opposto dello stile di quel gruppo. Penso che quando ho iniziato a scrivere e a leggere seriamente ero in una fase molto depressa della mia vita, e quindi in quel periodo mi ha attratto di più la freddezza di Amy Hempel piuttosto che la giocosità di Donald Barthelme. Ma mi piace come ragioni. Penso che, in fondo, sia una regola semplice: “non pensare che i tuoi gusti siano giusti e quelli degli altri sbagliati”. Ma quel “livello ulteriore” di cui parli tu non va di moda, e genera molto meno interesse verso giornali e riviste e siti, che cercano sempre di aumentare il loro numero di lettori. La gente ama litigare.

Un’ultima domanda, Tao.

Ok.

È molto profonda.

Ok.

Cosa ne pensi del fatto che Rick Moody abbia scritto un romanzo sotto forma di tweet?

Hahaha. Non lo so. Non penso nulla. Anzi, penso solo “buon per lui”.

OK, ora la mia vera ultima domanda. Qual è il panino perfetto?

Hmm. Fammici pensare. Non amo i panini. Direi forse un panino-gelato, con del gelato organico buonissimo.

OK, dimmi che varietà di cibo preferisci.

Mi piace l’acqua di cocco. E la frutta.

Amo l’acqua di cocco. Aiuta miracolosamente il ripiglio post-sbronza. Tu bevi?

Poco. Se voglio quegli effetti, preferisco ottenerli con lo xanax. L’alcol mi fa venire la faccia rossa.