Attualità

Su Batman e Prometheus

Due filmoni che condividono una pretesa di profondità che di certo non aiuta la coerenza delle loro trame

di Cesare Alemanni

Qualcosa mi sembra accomunare i due filmoni forse più attesi dell’anno, Dark Knight Rises (DKR)Prometheus, ed è quanto segue: spogliati di tutto l’hype, la spettacolarità di alcune scene e la bravura di certi attori sono sostanzialmente delle prese in giro delle intelligenze degli spettatori.

Ecco l’ho scritto.

Ora non correte subito a tirare conclusioni circa il mio eventuale snobismo. Non appartengo dogmaticamente a quelli che “da Kaurismaki in su è uno schifo, qui una volta era tutto buon cinema e invece guarda ora come siamo conciati”, anzi. Sono letteralmente cresciuto con la tetralogia di Alien (il quarto non era poi così terribile, dai), considero la prima ora e mezza di Dark Knight (2008) uno degli apici cinematografici dello scorso decennio e se una sera c’è da guardare Expendables 2 non mi tiro indietro. Per  queste ragioni nella mia testa è subito sbocciato un conto alla rovescia, innescato dalla comparsa del teaser del nuovo Batman di Nolan e accellerato poi dalla notizia che Ridley Scott tornava a occuparsi di Alien, addirittura, addirittura, addirittura… per spiegarne le origini in un prequel! Un po’ come ricevere i regali di Natale e Compleanno nello stesso giorno. Purtroppo quando sono passato a scartare i pacchi non ho trovato un granché all’interno.

Intendiamoci, il cinema davvero pessimo è altro e preferirei una Cura Ludovico a base di DKR ad altri cinque minuti di Marcus Nispel nella mia vita, ed è inoltre possibile che avessi aspettative troppo elevate in partenza tuttavia, non so se ci avete fatto caso, ma un difetto clamoroso affligge entrambi questi film: le sceneggiature sono state scritte tirando i dadi. E non dei dadi qualunque ma dei dadi pretenziosi. Quelli con le metaforone e le allegorie su cinque delle sei facce mentre sulla sesta si legge “LOL, non ci avrai mica preso sul serio?”.

C’è stato un tempo in cui i registi sapevano portare a casa un blockbuster d’azione seguendo la saggia ricetta di realizzare semplicemente il film più godibile e logicamente coerente possibile. Non era un tempo malvagio e ha sfornato una serie di grandi successi che erano al contempo opere cinematograficamente accettabili sotto tutti i punti di vista, dagli effetti visivi alla storia raccontata. Poi sono arrivati i Wachowski e la svolta new age di James Cameron da un lato, Michael Bay dall’altro e hanno messo in disordine la cucina. I primi hanno insinuato i grandi temi dell’esistenza nel cinema spettacolare, il secondo ha infilato il cinema spettacolare nel cassetto degli intrattenimenti per subnormali. In periodi recenti Christopher Nolan è parso il più abile a muoversi tra questi due piani, dosando sapientemente i grandi temi senza scadere nel ridicolo e i super-effetti visivi senza sprofondare nel grottesco. L’intera prima parte di Dark Knight (2008) è praticamente un saggio sullo stato dell’arte di questa omeostasi. Ridley Scott invece… Beh Ridley Scott ha diretto I DuellantiAlienBlade Runner nel primo lustro di carriera e poi è finito a fare il Soldato Jane 15 anni dopo, quindi ogni volta è davvero difficile prevedere cosa aspettarsi da lui.

Nel basket quando un tiro dalla distanza nemmeno lambisce il canestro si dice: «Guarda quello, ha tirato un mattone». Nel cinema quando un film è così inutilmente lungo e complesso da risultare noioso si dice: «Guarda quello, ha girato un mattone». È un’omonimia che torna utile in questo caso, perché ritengo che DKR e Prometheus siano dei mattoni in entrambi i sensi di marcia. Aldilà  dei diversi stili dei registi ciò che più di tutto inficia entrambe le opere è proprio l’eccesso di ambizione mancata (il tiro dalla distanza che non tocca il canestro) che li rende così arzigogolati e confusi da risultare indigesti. L’ultima volta che ho controllato, Batman era un miliardario-pipistrello con una psiche tormentata che in genere fa a botte con dei pazzi truccati pesantemente che covano complicatissimi piani per distruggere la sua città, e questo era esattamente ciò che faceva anche in DK e che – unito alla suddetta, apparentemente perduta, maestria di Nolan nel calibrare mazzate e dialoghi brillanti – rendeva quel film uno spettacolo godibile senza farti necessariamente sentire il subnormale che Michael Bay vorrebbe tu fossi.

Batman è già uno dei character più interessanti in circolazione, e lo è da quasi 75 anni ormai. L’operazione di restyling avviata sette anni fa da Batman Begins era ottima proprio perché lo aggiornava, senza togliere o aggiungere troppo a un materiale narrativo già eccellente. Poi però, purtroppo, in DKR Nolan si è fatto prendere la mano (gli era già successo, secondo me, con Inception) e ha deciso di ingombrare la sua ultima fatica con una sfilza di metaforone dei nostri tempi, pescate dozzinalmente dal mucchio dei grandi temi e con un occhio di riguardo per la retorica del 99%, di OWS etc. E non si può nemmeno ignorare tutta la faccenda della risalita dal sottosuolo/inconscio collettivo (da lì viene Bane, lì si nascondono i terroristi, da lì dovrà risalire la china Bruce Wayne) che infesta di allegorie una buona metà del film. Non ci sarebbe nulla di male se questi elementi si armonizzassero tra loro e con la storia, rendendo la visione e la narrazione ancora più coinvolgenti ma non è questo il caso, perché qui l’amore per la metafora e il tentativo di dirigere un film d’azione “profondo” finiscono col trasformare la trama in una groviera di buchi logici e colpi di scena ben oltre il limite dell’insensato. (A questo link c’è una parodia del plot molto divertente che li evidenzia tutti ma spoilera anche un po’). Prima di pensare alle ciliegine bisognerebbe controllare come è venuta la torta.

Il discorso su Prometheus è molto simile anche se l’opera ha un presupposto diverso (e raggiunge un risultato diverso = è decisamente più brutta). Quel presupposto dovrebbe essere: «Ora vi spieghiamo come è nata una delle creature di maggior successo nella storia del cinema e non lo facciamo fare a uno qualunque ma proprio allo stesso regista che ha diretto il primo Alien, 33 anni fa». Wow. Succede però che, per il 75% della sua durata, la pellicola si perde in un pedestre esercizio stilistico del regista (che tenta di tornare al bel tempo che fu, quando giocava col kit del piccolo Kubrick) e in una serie di rivoli narrativi e domandismi (domandismo, hai letto giusto) esistenziali così flebili che a un certo punto ti viene il dubbio di aver guardato male l’ora. E invece no, l’hai guardata bene: ti trovi a due terzi del film e letteralmente non è successo niente di degno di nota (a parte, ovviamente, la visione di Fassbender stranamente vestito. E con le infradito ai piedi). Dovendo andare a parare da qualche parte e utilizzando un vecchio stratagemma hollywoodiano anche noto dalle nostre parti come supercazzola, Scott decide di fare succedere tutto, ma proprio tutto (un cesareo auto-praticato ad esempio, che è la seconda cosa più interessante della pellicola) nell’ultima mezz’ora di film, ignorando qualunque principio di ragione sufficiente per l’accellerazione narrativa appena impressa, dopo un’ora e mezza di domandismi colossali a cui non si prova a dare una risposta che sia una, sperando forse che lo spettatore non ci badi troppo.

Trentatre anni fa, lo stesso regista al lavoro sullo stesso universo narrativo aveva prodotto uno dei film più rigorosi, secchi e riusciti nella storia della fantascienza e dell’horror, praticamente una rivisitazione di Dieci piccoli indiani con un mostro galattico. Nella sua semplicità quel film ti portava, per mezzo dell’inquietudine, a porti spontaneamente delle domande sullo spazio, la vita, la solitudine, la morale etc. A suo modo era profondo e intelligente senza sforzarsi troppo di esserlo. A quanto pare oggi stiamo andando esattamente nella direzione opposta: lo sforzo di apparire profondi e intelligenti che ha contagiato Nolan, Scott e molti altri prima di loro produce grandi filmoni sempre più piatti e banalizzanti, al limite del truffaldino. Nello spazio nessuno può sentirti urlare ma al cinema le imprecazioni si sentono benissimo.