Attualità

Streaming, canzoni e soldi

Le cifre del settore discografico online non fanno ben sperare ma tra quattro anni tutto potrebbe cambiare

di Pietro Minto

Tra crisi delle vendite, è opinione comune che il futuro del mercato discografico sarà online, da qualche parte tra i negozi virtuali come l’iTunes Store o servizi ad abbonamento come Spotify e Rhapsody. Spotify, per esempio, ha tra i suoi investitori Sean Parker, giovane prodigio noto per aver co-fondato Napster, diventando il Robespierre della rivoluzione del settore. C’è un problema, però: ad oggi le cifre dello streaming musicale non fanno ben sperare.

Pare infatti che l’impalpabilità di questo tipo di fruizione, delle canzoni non acquistate fisicamente ma solo ascoltate di passaggio in base a un abbonamento abbia piuttosto peso quando si parla di vil denaro. In poche parole: un artista che volesse bypassare l’industria discografica “classica” affidandosi a Rhapsody & Co., farebbe la fame. L’anno scorso, per esempio, la band britannica Uniform Motion ha confessato al sito tecnologico Gizmodo la mole dei suoi guadagni dal web, illuminando un angolo buio e poco rassicurante. Ecco i numeri: con Spotify, ogni ascolto di una canzone corrisponde a un guadagno di 0,0041 dollari; l’ascolto dell’album per intero “vale” 4 centesimi di dollaro; cento ascolti dell’album valgono 4,05 dollari. E se qualcuno dovesse ascoltare lo stesso album 1000 volte («una volta al giorno per 3 anni» precisa la band) gli Uniform Motion intascherebbero 40,50 euro. Deezer sembra essere di manica un po’ più larga: 0,0072 dollari per la riproduzione dell’album per intero; quindi, in caso di 1000 ascolti (i soliti tre anni) la band guadagnerebbe 71,73 dollari.

Non esattamente una pioggia di denaro. E se questa è la situazione per un’artista di nicchia, ecco come se la passano le case discografiche indie, che più di tutte devono puntare sul web. Vediamo il caso di una piccola etichetta che ha caricato online 87 album per un totale di 1870 canzoni: su Spotify ha avuto 798.783 ascolti per un guadagno totale di circa 4200 dollari (0,05 dollari per brano); su Rhapsody, 50.822 ascolti sono valsi 668.57 dollari (0.13 dollari); su Zune, 15.159 ascolti corrispondono a 437 dollari. Particolare importante: sono tutte cifre lorde. E in tutti i casi i guadagni legati allo streaming di una singola canzone impallidiscono rispetto al loro prezzo su iTunes Store, dove si possono acquistare brani.

Per chiuedere il cerchio, pochi giorni fa Matthew Panzarino di The Next Web ha chiesto su Twitter ulteriori informazioni ad alcuni musicisti sul peso dello streaming nei loro profitti artistici. Scott Buscemi ha risposto pubblicando online i proventi dei suoi brani sui vari social musicali.

 

 

Come si vede, c’è baratro tra i servizi a pagamento e quelli gratuiti con pubblicità (vedi Spotify); inoltre Rhapsody sembra quello che ripaga di più per brano, anche se non è assolutamente in grado di pagare da mangiare a una band che suoni per lavoro. Il quadro è quindi piuttosto chiaro: oggi siamo in grado di ascoltare e scoprire musica facilmente ed è tutto bellissimo – e culturalmente stimolante, per non parlare di come l’enorme archivio musicale al quale possiamo attingere a piene mani cambierà la nostra cultura. Il problema riguarda piuttosto la sostenibilità del settore musicale: come si possono fare belle canzoni, sperimentare, sbagliare e poi riuscire a fare qualcosa di bello se nel frattempo si fa la fame?

Per alcuni questo dilemma riguarda l’oggi, e domani sarà facilmente risolto. Lo scorso maggio il gigante tecnologico Cisco ha pubblicato uno studio secondo il quale entro il 2016 la Rete quadruplicherà di dimensioni. «A livello globale,» si legge nel paper, «la musica online avrà penetrato in profondità l’utilizzo domestico di Internet – nel 2011 c’erano 1,1 miliardi di utenti Internet (il 63% dei quali lo usavano da casa); nel 2016 si prevede saranno 1,8 miliardi (il 79% dei quali da casa)». Il sito Tunecore ha fatto quindi un po’ di calcoli (basati su queste previsioni e un po’ di ottimismo), che fanno ben sperare. Poniamo che nel 2016 ogni utente ascolterà 10 canzoni al giorno, per esempio, e avremmo 18.000.000.000 (18 miliardi) di canzoni ascoltate quotidianamente. Ovvero, 6.570000.000.000 (6,75 trilioni) di ascolti all’anno. Un mercato milionario che potrebbe trarre giovamento anche dalla sempre più profonda fusione tra servizi à la Spotify e social network, fusione che potrebbe modificare per sempre le nostre abitudini musicali, convincendoci a pagare volentieri un abbonamento mensile per accedere alla più grande collezione di dischi del mondo. Probabilmente andrà così, se nemmeno le case discografiche ormai non oppongono più resistenza all’andazzo.