Attualità

Snack affair

Kellogg's acquista il marchio Pringles: il tubo di fiocchi di patate più potente del mondo

di Manuela Ravasio

Once you pop you can’t stop. Ovvero il claim che ha reso il tubo di patatine Pringles un gioiello da due miliardi di euro. Un trick dato dal suono prolungato e ossessivo di “stappatura” del cono di patatine deidratate, quelle che nascono astutamente a forma di lingua, perfette da posizionare multistrato e che creano dipendenza.

 

Quelle che nate negli anni Sessanta dall’americano Alexander Liepa sono arrivate in Italia in pieno down della San Carlo, la nostra-mini-multinazionale che è stata soppiantata dall’ aperitivo e dallo stuzzichio di olive e salumi dop. Il tubo magico di patatine in pochi anni diventò l’asso di Procter&Gamble, sponsor che riusciva a coprire qualsiasi evento mediatico. In breve tempo, poi, conquistò l’Europa, punto fermo di una pratica massiccia: la stagionalità del gusto di una patatina che aveva, ha, in sé gusti totalmente differenti, dal nauseabondo barbecue alla versione luxury con le special edition gourmand (come la Cinnamon Sweet Potato). E che per questo riusciva a rilanciarsi  ogni tre mesi.

 

Un impero che ora la Procter&Gamble è pronta a cedere per la cifra di 2 miliardi di euro alla Kellogg Company.  Come a dire: quotidianità alimentari che si passano il testimone. Forse. Perché il primo pensiero va a un’altra campagna massiccia che Kellogg’s ha lanciato (anche in Italia) in questi mesi: quella della linea Speciale K per la colazione con fiocchi d’avena intelligenti e sani. Non proprio, insomma, della stessa filosofia di patatine ergonomiche che nella loro composizione hanno solo uno scarso 50% di vere patate per quanto siano fiocchi di patate poi fritte. Ma molto più che un confronto tra sacro e profano, salute e junk food, quello che si prospetta da questa vendita -definita rivoluzionaria tanto quella di Nestlé quando acquistò le pizze di Kraft- è un’assoluzione totale dello snack.

 

Perché se prima i mercati europei si sono appoggiati alla patatina alla paprika della Balsen (praticamente identica in formato ma più light nel gusto) la rivoluzione americana ha cambiato la fruizione dello snack salato. Sul mercato europeo il boom lo si è avuto con le confezioni pocket di Pringles, quelle che altro non erano che un quarto del classico tubo, e che in breve hanno stracciato competitor da Autogrill (vedi Fonzies).  Nella neo famiglia Kellogg’s lo stesso effetto lo si aveva avuto con le barrette di cereali Special K. Compatte, incisive, stesso quantitativo di dipendenza energetica. Diminuire le dimensioni del packaging, diminuire le criticità del prodotto. Sacco matto per la maison del salutismo a basso costo, Kellogg’s, che così diventa la seconda produttrice mondiale di patatine&co.

Un marchio di fabbrica che nel suo essere pop anche nella dimensione amicale, si assicura un lasciapassare anche dal popolo del mangiare-sano. Perché salta all’occhio: un tubo di ordinate patatine dalla forma canonica contro anelli di pizza spugnosi troppo belli per essere veri. Quasi verrebbero da credere che ci sia del salutismo tout court anche nelle patatine industriali, “disciplinate” nell’immagine, apparentemente pulite anche nel gusto.

 

Cosa resta. Resta l’iconografia di un viso pop, uno baffuto e con papillon, che rende impossibile la chiusura del tappo fino a esaurimento scorte, la praticità di una patatina che non sbriciola e non unge, e le varianti infinite che si sono stagliate sui mercati mondiali con la moltiplicazione delle mode del food (gli anni della panna acida e l’inspiegabile caduta a picco della paprika). Ma soprattutto la più rivoluzionaria forma di packaging pensata nel ’66 da Fredric J Bauer from Cincinnati: un tubo che occupa poco spazio e che inscatola ordinatamente il desiderio di junk food. Basterà a competere, gentilmente, con la cresta di gallo rossa che sveglia il mondo da più di cento anni?