Attualità

Raccontare la realtà e vivere di racconti

Le cose che ci siamo detti a Studio in Triennale: nei talk dedicati all'intrattenimento ci siamo chiesti perché ci piacciono così tanto le storie vere, e perché vorremmo tutti raccontare storie (anche se è sempre più difficile farne un mestiere).

di Redazione

Non solo tecnologia, politica, moda e arte: a Studio in Triennale si è parlato anche di intrattenimento – e, soprattutto, dei processi creativi che esso richiede. Nel corso della tre giorni, gli incontri dedicati al tema sono stati due. Venerdì sera abbiamo trattato del “racconto della realtà” al cinema, in Tv e nei libri – insomma, del perché ci piacciono così tanto le storie vere e del complesso rapporto tra fiction e non fiction – con Aldo Grasso, il critico televisivo del Corriere della Sera, con il produttore Lorenzo Mieli (fondatore della società Wildeside), con lo scrittore Cristiano de Majo (il cui ultimo libro, Guarigione, è infatti un quasi-romanzo nonfiction), con l’editor Mondadori Francesco Anzelmo e con Niccolò Contessa, cantautore meglio noto come “I Cani” e redattore di Nuovi Argomenti. Domenica sera invece abbiamo chiuso il festival con una riflessione semiseria sul futuro della classe creativa: che fine hanno fatto i mestieri che molti sognavano di fare da piccoli? Se lo sono chiesti l’attore e conduttore Francesco Mandelli e la critica televisiva Stefania Carini, mentre il conduttore di Tiki Taka Pierluigi Pardo era in collegamento Skype, il direttore di Link – idee per la televisione Fabio Guarnaccia ha presentato un breve documentario sulla nascita di Telemilano 58, che avrebbe posto le basi per le reti Mediaset, e lo scrittore Michele Masneri ha letto un articolo autobiografico sulla sua vita da freelance.

Partiamo dal panel di venerdì. Sebbene la fascinazione della televisione per la realtà sia tutt’altro che nuova, ha fatto notare Aldo Grasso, è cambiato radicalmente il modo di raccontarla, con un’attenzione particolare alla struttura della narrazione che è iniziato con un’opera assolutamente di fiction: Twin Peaks. Attualmente in televisione c’è uno scontro tra fiction e realtà, ha aggiunto Lorenzo Mieli, che ha portato come esempi lampanti i successi di Game of Thrones da un lato e dei documentari brevi dall’altro. Francesco Anzelmo e Cristiano de Majo si sono soffermati entrambi sulla distinzione tra nonfiction letteraria e saggistica (o racconto giornalistico), sul come il primo genere sia in ascesa, mentre il secondo sia in crisi e sul come tutto questo dipenda anche dall’innalzamento della soglia dell’incredulità nel pubblico: le storie inventate convincono sempre meno; il pubblico ha fame di realtà ma contemporaneamente nutre molti dubbi sulla possibilità di rappresentare la realtà in modo oggettivo (come vorrebbe la saggistica), mentre avverte sempre più l’esigenza del racconto della realtà da parte di testimoni che si mettono in gioco, con tutta la loro parzialità, da cui la popolarità dei romanzi non-fiction, dei memoir, dei documentari. «Viviamo un livello di narrativizzazione della nostra vita mostruoso: il nostro livello di credulità è minimo e dunque, per funzionare, la fiction deve essere costruita benissimo», ha fatto notare de Majo. «Non crediamo nella possibilità di cambiare la realtà e anche per questo ci fidiamo poco di chi ha la pretesa di raccontarla in modo oggettivo, in compenso avvertiamo il bisogno di testimoni», ha spiegato Anzelmo. Partendo dalla sua esperienza di cantautore, Niccolò Contessa ha chiuso il discorso con una nota di scetticismo: è vero, c’è fame di realtà e il successo del rap rispetto alla forma cantautorale ne è la dimostrazione. Però il rischio è che che il racconto della realtà si trasformi in una convenzione, lontana da essa: «È possibile raccontare qualcosa prima che diventi il racconto di se stessa?»

Posto che raccontare storie è da sempre una delle attività più ambite, come se la passa oggi chi ha deciso di farne un mestiere? Non tanto bene, ha ironizzato Stefania Carini, aprendo l’ultimo panel del festival, domenica sera: «Mia madre mi dice sempre che, come giornalista, si sarebbe aspettata che guadagnassi di più». Dello stesso avviso Francesco Mandelli: «Quando ho iniziato su Mtv non c’erano problemi di audience e si cresceva. Se avessi 18 anni oggi non farei questo lavoro». Che ha aggiunto che, anche per chi ha raggiunto il successo, divertirsi e reinventarsi di continuo resta fondamentale: «con I Soliti Idioti ci siamo detti di rinnovarci prima di diventare ripetitivi. Vedrete presto il risultato». Eppure questo è un momento buono per la creatività televisiva, ha aggiunto Fabio Guarnaccia: «Ci sono pochi soldi ma molti canali e idee». Michele Masneri ha chiuso la discussione con la lettura di un articolo tragicomico sulla dura vita dei freelance, ovvero «la fascia alta dei morti di fame», uscito su Il Foglio il 10 novembre scorso.

 

Fotografie: Studio fotografico Lops