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Che cosa sono i predatory journal, riviste pseudo-accademiche disposte a pubblicare qualsiasi studio o articolo, senza controllo né filtro, e perché sono un enorme rischio per il mondo scientifico.

di Pietro Minto

“Rooter: A Methodology for the Typical Unification of Access Points and Redundancy” è il titolo di uno studio scientifico scritto nel 2005 da tre giovani studenti del Mit di Boston, Jeremy Stribling, Dan Aguayo e Maxwell Krohn. Il paper (pdf) non costò loro molto tempo: tutto il loro impegno si diresse piuttosto nella creazione di SCIgen, un generatore automatico di studi scientifici che realizzarono per dimostrare lo stato pietoso in cui versavano le riviste scientifiche e accademiche. Ben lungi dall’inseguire un’intuizione per mesi o anni, accumulando dati e dimostrazioni, SCIgen è un software in grado di fare tutto quello che la ricerca scientifica esige dagli scienziati: creare paper da pubblicare.  “Rooter: A Methodology for the Typical Unification of Access Points and Redundancy” è quindi un insieme di pezzi casuali assemblati automaticamente dal bot, un miscuglio di paroloni e numeri senza senso in grado di «massimizzare il divertimento più che la coerenza», come scrissero i suoi autori. Nonostante questo, lo “studio”, se così possiamo chiamarlo, fu accettato dagli organizzatori della World Multiconference on Systemics, Cybernetics and Informatics di Orlando, che li invitarono a esporre la loro scoperta.

Nel corso di quest’ultimo anno, per esempio, è esploso il caso dei predatory journal, riviste scientifiche fasulle disposte a pubblicare qualsiasi cosa, persino uno studio intitolato “Get me off Your Fucking Mailing List”.

Il misfatto, che all’epoca scosse il mondo scientifico, anche se forse non troppo, fu presto dimenticato, forse perché l’assenza di controllo scientifico nel mondo accademico è un problema noto da tempo, così come le mille imperfezioni della revisione paritaria (peer review), che prevede il controllo dei documenti da altri membri del mondo scientifico. Ma la diffusione di internet ha peggiorato le cose, da una parte aprendo al mondo enormi archivi scientifici (si pensi a JStor) e dall’altra sfocando la barriera tra autorevole e menzognero. Un fenomeno che ricorda quello che sta scuotendo il mondo dell’informazione, con il boom virale di siti di news dediti alle bufale strabilianti per racimolare click ma che è forse più preoccupante perché, nonostante il vigile controllo di una parte della comunità scientifica, la cosa sta sfuggendo di controllo, infettando librerie scientifiche considerate autorevoli. Nel corso di quest’ultimo anno, per esempio, è esploso il caso dei predatory journal, riviste scientifiche fasulle disposte a pubblicare qualsiasi cosa – qualsiasi cosa: e lo vedremo. Non che le hoax nel mondo accademico siano un prodotto di internet, sia ben chiaro: già negli anni Novanta il matematico Alan Sokal riuscì a farsi pubblicare uno studio nonsense sulla rivista Social Text utilizzando un linguaggio pseudoscientifico che risultò credibile. Ennesima conferma del teorema Nanni Moretti secondo cui le parole sono importanti: a volte talmente importanti da spazzare via il contenuto.

Se le bufale scientifiche sono ataviche, i predatory journal non potevano esistere nel mondo pre-internet: il Journal of Computational Intelligence and Electronic Systems è probabilmente il più noto e rispettato, se per un attimo siete disposti a rivedere drasticamente la definizione della parola “rispetto”. Tra i grandi successi del Journal c’è sicuramente la pubblicazione di un paper come “‘Fuzzy’, Homogeneous Configurations” (pdf), compilato utilizzando SCIgen e firmato da «Margaret Simpson, Kim Jong Fun and Edna Krabappel». A proporlo, l’ingenere Alex Smolyanitsky, che è riuscito così a dimostrare la voracità del Journal, il cui vero capolavoro è però la pubblicazione di un altro studio che conteneva un parolaccia nel titolo. “Get me off Your Fucking Mailing List” (pdf) è un caso particolare, estremo, artistico potremmo dire. Scritto dai professori David Mazières e Eddie Kohler, è in realtà una richiesta ben precisa (quella espressa dal titolo: “Toglietemi dalla vostra cazzo di mailing list”) scaturita dall’ennesima mail ricevuta dalla sedicente rivista scientifica. Uno scherzo, una provocazione che i due non potevano immaginare venisse accettata e pubblicata. Una cosa grave, molto grave. Quanto di preciso? Ecco quanto:

 

L’unico valido concorrente di Journal of Computational Intelligence and Electronic Systems è probabilmente Aperito Journal of NanoScience Technology, un sito leggermente meno credibile, con qualche tocco di Comic Sans a rendere il tutto poco accademico, ma che ha costruito un enorme archivio di panzane a-scientifiche. Il citato “‘Fuzzy’, Homogeneous Configurations” firmato da due personaggi dei Simpson e «Kim Jong Fun», è stato pubblicato anche da Aperito, nonostante il sito prometta «revisioni paritarie di qualità per gli articoli originali proposti».

Le due testate sono due realtà appartenenti a un’ampia galassia di pirati accademici in grado di incrociare l’ubiquità della spam a un aspetto grafico familiare, credibile, grazie all’utilizzo dello stesso template delle vere ricerche scientifiche. Come fare a riconoscere un predatory journal da una rivista seria e autorevole, quando l’articolo trattato non è così palesemente assurdo come quelli precedenti? Il blog Schorarly Open Access ha stilato una guida per riconoscere un sito predatory in cui si capisce quanto è difficile combattere contro queste testate: bisogna innanzitutto studiare l’offerta editoriale, «leggere dichiarazioni degli autori riguardo le loro esperienze con l’editore»; ma ci sono alcuni pattern in grado di segnalare la presenza di una rivista bufala: quando il nome dell’editore coincide con quello del direttore di tutte le riviste pubblicate, oppure è del tutto assente; quando il giornale non ha un colophon chiaro né dettagli sulle loro tecniche di revisione; quando direzione ed editore sono fantasmi di cui non esistono informazioni online o di cui è attestata la loro estraneità all’ambiente accademico. E così via.

Ovviamente, in molti casi alcune informazioni preziose possono essere contraffatte dalle pubblicazioni nel tentativo di spacciarsi come autorevoli. Anche per questo hanno così successo. Ed è proprio la loro natura inquinante a renderle pericolose per il mondo accademico: sono tante e pubblicano moltissimo, mimetizzando grovigli insensati di parole a sudate riflessioni e analisi. Al già roboante rumore di internet ne aggiungono altro, volontariamente, con il rischio di mettere in difficoltà il vero discorso scientifico, accerchiato da bufale e articoli che sembrano voler partecipare al dibattito accademico e invece lo sfruttano, colpendolo dall’interno. Come parassiti. O, meglio, come il loro corrispettivo nel mondo dell’informazione: lo spam.

 

Immagini: un estratto da “Get me off Your Fucking Mailing List”