Stili di vita | Estate

Le scarpe estive delle donne

Dai sandali alle espadrillas, dai sabot alle infradito: ogni modello fa soffrire in modo diverso.

di Teresa Bellemo

Questo articolo fa parte di “Studio estate”, una serie di pezzi dedicati ai simboli e ai luoghi dell’estate. Potete leggerli tutti qui.

 

A leggere i romanzi con gli eroi o a vedere quei film con il personaggio principale dalla vita complessa e piena di avventure capita, prima o poi, che qualcuno parli delle sue cicatrici. Ogni cicatrice una battaglia, ogni segno sulla pelle il ricordo di un nemico sconfitto, di una lotta a mani nude, di una lite a tarda ora davanti qualche localaccio per dei futili motivi. A guardare i nostri piedi, e per nostri intendo quelli di noi donne, la situazione è molto simile. Nessun bar malfamato, nessuna singolar tenzone, però. I nostri piedi sono segnati dal futile motivo delle scarpe estive.

Verrebbe da pensare che a complicarci la vita dovrebbero essere piuttosto quegli occlusivi anfibi, quei claustrofobici stivaletti invernali, e invece no, lo spettacolo d’arte varia delle molteplici fogge delle calzature aperte sono la vera dannazione femminile. Certo, si potrebbe risolvere tutto grazie a delle Birkenstock, epitome del comodo arrivato ad essere di moda, ma si tratta di una conquista recente che in ogni caso non può andare a sostituire tutte le infinite soluzioni che compaiono nella nostra scarpiera una volta che – in una di quelle domeniche piovose di aprile – ci decidiamo che è arrivata l’ora di fare il cambio di stagione anche all’armadio delle nostre scarpe. Il primo pensiero che si palesa, quasi sempre, è una sorta di ammissione di colpa: «quando li ho comprati tutti questi sandaletti? Quale mancanza stavo cercando di sublimare?». Ma è un qualcosa di passeggero, che già nel primo giorno di sole tiepido fa spazio al secondo pensiero: «non ho proprio nulla da mettere ai piedi».

L’estate – e più in generale la bella stagione – è un tripudio di scarpette e ciabattine, con tacco e senza tacco, di pelle o di corda (e oggi, nell’era del fast fashion, di ecopelle trinciatrice e assassina). Le prendi perché credi che durino una stagione e invece resistono e si accumulano, malconce e slabbrate, nelle scatole di cartone del nostro senso di colpa o del nostro affetto per quel paio preferito, carezzato e usato sempre meno per allontanare il momento in cui ti abbandonerà per sempre. Finiscono più spesso dal calzolaio delle ciabattine rasoterra prese da Zara che delle Prada tacco 12. E questo mica solo per la qualità, piuttosto perché dovremmo farcene tutte una ragione: le scarpe bellissime le mettiamo tre volte in croce, i passe-partout presi con nonchalance in saldo durante la pausa pranzo, tutti i giorni per tre mesi. E finiamo per affezionarci. Potrebbe suonare come una metafora dell’amore o della vita stessa l’immagine di me che mi affanno a rattoppare delle espadrillas con su stampato il muso di un gatto siamese nonostante sia palese non serva a nulla. Sono da buttare.

D’estate le proviamo tutte e ognuna marca il suo territorio in un punto diverso. Le ballerine attaccano i talloni, le espadrillas, con quel tessuto di tela spartana, i lati del dorso. I sandali, a seconda siano più o meno affibbiati, più o meno allacciati, siano da schiava o da monaco, fanno come i piranha e azzannano su più punti, perché sanno che possono far leva sul gioco di squadra. Le maiorchine sembrano innocue, ma lì il problema è che anche gli occhi vogliono la loro parte. Le zeppe e i sabot spesso sono pesanti e trascinarli non lascia segni evidenti, provoca subdole tendiniti che, complice la circolazione mai ottimale d’estate, chissà poi quando passeranno. Ogni tanto verrebbe da mettere tutto in pausa per una liberatoria infradito, ma ci hanno detto che non si possono utilizzare nemmeno al mare, che non sono belle, non sono eleganti. Che ora sono da preferire le ciabatte da piscina di quando avevamo sette anni, nostra madre ci portava ai corsi di nuoto e non volevamo andare nell’acqua alta, ma soprattutto non volevamo farci vedere in giro conciati come Fracchia. I tempi cambiano, per cui nascondiamo le nostre Havaianas nei cassetti più bui per un po’, tanto anche quelle ci avrebbero logorato nell’infido incavo tra alluce e secondo dito. La vulgata quanto a infradito non è però chiara sul che fare con le mitiche capresi adorate da Jacqueline Kennedy, che in uno dei suoi frequenti viaggi tra Capri, Sorrento e Positano ne acquistò addirittura 30 paia (credo possa funzionare da indulgenza plenaria per noi comuni mortali) tanto che gli artigiani della zona le dedicarono il modello “K”. Saranno pur icona di quello stile sobrio e al contempo impeccabile, ma pur sempre di infradito si tratta. Dunque, il dubbio è atroce.

Sono tempi grami per i tacchi. Se già da numerose stagioni sono stritolati tra le sneakers ad ogni ora del giorno e il nuovo femminismo che non ci vuole più schiave dello sguardo macho, in estate le scarpe col tacco vivono momenti ancora più complicati. Ogni tanto guardo certi sandali (ve li ricordate i “sandali gioiello”? Che pericolante momento di imbarazzo collettivo da letterine), sempre lì, nella mia scarpiera, e mi chiedo dove me ne andassi – e soprattutto come – sopra certe pertiche, per fortuna mai troppo gioielle. Ma oggi è d’obbligo la comodità, cari miei, e mettetevi il cuore in pace voi che scrivete strali contro chi non viaggia comunemente sopra 12 centimetri e preferisce le orride ballerine. Siamo nell’era dei tacchi comodi, quindi. Più larghi, più solidi ma soprattutto, finalmente, dei mezzi tacchi. Quelle altezze che solitamente venivano additate come poco sexy, poco femminili, “peggio di mia zia Lina alla mia comunione” e via di questi paragoni insensibili, vengono vendicate da questo momento magico in cui il mezzo tacco ritrova finalmente il suo posto nel mondo. Ci fa camminare agili, è perfetto per tutto il giorno, ci dà quella sorta di slancio che – c’è da ammetterlo – una ballerina non può dare. Ci fa pure correre per prendere il bus, se necessario. È arrivato il tempo di quelle altezze (attorno ai 5-8 centimetri) che ti fanno vedere tutto da un’altitudine più elegante ma senza farti perdere la presa (sarà forse merito di questa ondata di #selfconfidence). Tanto anche i mezzi tacchi fanno come tutte le altre scarpe estive, tracciano indelebili segni sulla pelle, compongono l’acciaccato collage del nostro caparbio desiderio di non capitolare alla calzatura unica. Comoda, ma noiosa e banalmente prevedibile. Alla fine, queste scarpe estive sono tutte uguali, ti fanno tutte soffrire. E metaforicamente le amiamo per questo.

 

Foto dalla collezione SS 2016 di Mansur Gavriel