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Come Sarkozy sta cambiando l’idea stessa di République

La vittoria di Sarkozy e la non-sconfitta di Marine Le Pen. Chiacchierata con Justin H. Smith, docente di filosofia alla Francois Diderot e commentatore per il New York Times, sulle elezioni francesi.

di Anna Momigliano

Nicolas Sarkozy Speaks

Ha vinto Sarkozy; la disfatta dei socialisti di Hollande è stata pressoché totale; il Front National di Marine Le Pen sale nei consensi generali ma non si aggiudica nessun distretto – insomma, è arrivato secondo da molte parti ma primo da nessuna. Questo è il bilancio del secondo turno elettorale, che si è svolto il Francia domenica 29 marzo.

Si è votato per eleggere le amministrazioni dei “dipartimenti” – grossomodo l’equivalente francese delle province italiane – e, come per le presidenziali, il sistema elettorale prevede un doppio turno. La domenica precedente, cioè al primo turno, il Front National aveva superato i socialisti, senza però battere l’Ump di Sarkozy (per la precisione, l’Ump aveva preso il 29 per cento dei voti, il Front National il 25, i socialisti poco meno del 22). Il secondo turno si è però concluso con 68 dipartimenti andati all’Ump, 33 ai socialisti e zero al Front National.

Sarkozy aveva rifiutato di allearsi per il secondo turno con i socialisti contro Le Pen. L’alleanza tra socialisti e destra moderata in funzione anti Front National è quasi una tradizione, in Francia, che si ripropone talvolta quando pare necessaria per arginare una vittoria della destra radicale: la chiamano talvolta “alleanza repubblicana,” in riferimento ai valori fondamentali della République cui, almeno secondo i suoi detrattori, il Front National non sarebbe conforme. Ne abbiamo parlato con Justin H. Smith, docente di filosofia alla Francois Diderot, commentatore di cose francesi e dicultura per il New York Times.

Ciao Justin, eravamo tutti qui ad aspettarci una stravittoria di Marine Le Pen… che però non c’è stata. Tiriamo un sospiro di sollievo?

Il risultato elettorale è stato davvero sorprendente. Ancora devo processare. Mi aspettavo, come molti altri, un grande successo del Fronte Nazionale, che negli ultimi anni, e cioè da quando c’è Marine Le Pen anziché Jean-Marie, ha giocato molto più sulla carta sicurezza che su quelle della razza e della nazione, secondo me prendendo qualche voto anche da elettori non necessariamente di destra. Quanto alla sconfitta dei socialisti, mi pare evidente che la sinistra in Francia stia diventando una cosa molto ambigua, i cui orizzonti non si spostano molto dall’interesse della comunità. Della tutela delle minoranze e degli immigrati mi pare gli interessi ben poco. Su questi temi, paradossalmente, tutti e tre i principali soggetti politici francesi sono “di destra” – se non altro in potenza.

«Tra i sostenitori dell’Ump c’è una sorta di mutazione: finiscono per avvicinarsi al Front National»

Però ha vinto l’Ump di Sarkozy. Che tra l’altro si è rifiutato di allearsi coi socialisti contro Le Pen in nome dei “valori repubblicani”, come invece era successo altre volte.

Questa storia dell’“alleanza repubblicana” va contestualizzata. In Francia l’eredità della Rivoluzione è molto sentita, da destra e sinistra, specialmente in termini di mettere la dignità e il valore del cittadino al di sopra degli interessi della comunità. Quello che sta succedendo, nel campo dell’Ump, è una sorta di mutazione… per cui da un lato i sostenitori di Sarkozy non rinnegano affatto i valori repubblicani, insomma il mettere l’individuo prima della comunità, ma partendo da questi valori finiscono per avvicinarsi alle posizioni del Front National.

È già qualche anno che Sarkozy su alcuni temi usa toni non lontani da quelli del Front National. Come per esempio quando ha detto che «in Francia ci sono troppi immigrati». Però tu dici che questi discorsi vengono fatti partendo dai valori repubblicani. Com’è possibile?

È un atteggiamento che vedo spesso nei sostenitori dell’Ump. Che in soldoni stanno dicendo: noi non facciamo differenze sulle basi etniche, ma riconosciamo una sola categoria, quella del cittadino, e di chi si trova al di fuori di questa categoria non mi interessa. È quello che io definisco “un utilizzo cinico della retorica repubblicana per delegittimizzare gli elementi esterni”: le minoranze, gli immigrati, gli esclusi della società. Il risultato è un avvicinamento, nel concreto, tra le posizioni dell’Umpe e quelle del Front National.

In pratica stai dicendo che questo porre l’idea di “cittadino” al di sopra di tutti può essere utilizzata, paradossalmente, per escludere e discriminare?

È un po’ più complesso di così. Diciamo che c’è un grave fallimento del modello di integrazione francese e che questo, nei fatti, dipende anche dal fatto che questo modello implica il fare finta che questioni come l’etnia, la religione o il colore della pelle non esistono… perché in teoria “siamo tutti uguali.” Prendiamo il Canada, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna: lì ci sono meno problemi di integrazione (non che siano del tutto assenti, ovviamente), eppure nei moduli ti chiedono di specificare la tua etnia o la tua razza. Che ovviamente è problematico di per sé, ma nei fatti aiuta a combattere le discriminazioni e le diseguaglianze sociali… o se non altro a prendere atto del fatto che esistano.

A me sinceramente questa storia che in America ti chiedono di che “razza” sei ha sempre messo un po’ a disagio. Mi stai dicendo che questa storia che noi europei continuiamo a ripeterci, e cioè che il colore della pelle non dovrebbe essere una questione, è sbagliata?

In astratto è un’idea molto bella, che trova le sue radici nell’Illuminismo e, non a caso, nella Rivoluzione Francese. Sotto alcuni aspetti, la ammiro anche, perché parte da un rifiuto di certe categorie naturalistiche. Però bisogna riconoscere che, nel concreto, ha fallito. In paesi come la Francia le autorità, non solo governative ma anche accademiche, fingono di ignorare che esistano delle questioni razziali… e dunque sottovalutano il razzismo. Basti pensare che non esistono statistiche, per dirne una, su che percentuale della popolazione carceraria francese sia costituita da persone di colore. In astratto ha senso, perché si parte appunto dal presupposto che “siamo tutti uguali”, ma poi nei fatti questo atteggiamento ti impedisce di prendere atto che un problema c’è.

Mi fai pensare a un pezzo apparso qualche mese fa su Quartz, intitolato “non credete a chi dice che i francesi non vedono la razza,” e dove si parlava appunto di una “cecità statistica.” Però è anche vero che in Francia il discorso xenofobico non sempre si sovrappone al discorso “razzista” nel senso più stretto del termine, di supremazia della razza. Tu stesso facevi notare che Dieudonné M’bala M’bala, il comico francese di origine africana noto per i suoi commenti antisemiti, ha avuto Jean-Marie Le Pen come padrino del figlio.

Il caso di Dieudonné incarna una certa tendenza di estremismo di destra, diciamo pure di fascismo, che trascende il discorso della purezza razziale. Dieudonné è chiaramente un fascista, pure apertamente antisemita, ma è anche un figlio di immigrati africani. Alcuni, nell’estrema destra, vedono una fusione black-blanc-beur [cioè l’unione delle forze tra “bianchi” autoctoni e i discendenti degli immigrati arabi e africani, NdR] come una condizione necessaria alla vittoria politica. In realtà non è poi una cosa così nuova. Basta pensare ai nazionalisti che non volevano concedere l’indipendenza all’Algeria, e che ancora oggi vivono male la ricorrenza dell’indipendenza, perché “l’Algeria è francese”. Ora, se l’Algeria è francese, questa visione è incompatibile con l’idea di Francia come un paese composto solo da bianchi, europei.

(Una versione precedente di questo articolo era stata pubblicata lunedì 23 marzo)

 

Nell’immagine: Nicolas Sarkozy (foto: Dominique Charriau/Getty Images)