Attualità

RZA e il cinema

L'ex Wu Tang Clan esce in Italia con L'uomo con i pugni di ferro, film orientaleggiante fuori tempo massimo che vuole fare Tarantino ma non riesce.

di Federico Bernocchi

Questo giovedì 9 maggio esce nella sale italiane il film L’Uomo con i Pugni di Ferro, prima regia di Robert Fitzgerald Diggs. Forse il suo vero nome vi dirà poco, visto che è decisamente più conosciuto con il suo nome d’arte, ovvero RZA. È con questo monicker infatti che nel lontano 1992 ha fondato uno dei più importanti collettivi rap della storia, i Wu-Tang Clan. Il loro primo disco, Enter The Wu-Tang Clan (36 Chambers), parla chiaro: oltre a contenere una serie di hit immortali come “C.R.E.A.M.” o “Protect Ya Neck”, si introduce il discorso legato alle filosofie orientali. Il titolo dell’album, si viene a scoprire in una serie di interviste rilasciate all’epoca, fa riferimento a un vecchio film di arti marziali, The 36th Chamber of Shaolin, diretto nel 1978 da Chia-Liang Liu. Tutto in loro rimanda a quel mondo: il loro logo, le canzoni che parlano di spade, scacchi e guerrieri, i dialoghi tratti dai film di arti marziali messi tra un brano e l’altro. Dal punto di vista dell’immaginario è una scelta potentissima: due mondi apparentemente distantissimi che si scontrano, mostrando degli effettivi tratti comuni. Dallo zoo di Brooklyn alla vecchia Cina il passo sembra essere più breve del previsto: i clan di guerrieri che in quei vecchi film si sfidano a colpi di Kung-Fu e hanno una vita regolata da una ferrea disciplina e filosofia, diventano i membri di un gruppo rap, ognuno con uno stile (o arma) differente che utilizza per farsi strada nella vita e nel ghetto. I Wu-Tang Clan cambiano le regole del gioco e creano un solido legame tra l’hip hop e il mondo delle arti marziali. Da allora all’interno del Wu-Tang Clan è successo un po’ di tutto: i numerosissimi componenti hanno perseguito le loro carriere soliste, qualcuno (il povero Ol’Dirty Bastards) è tragicamente morto, qualcun altro è entrato e uscito di prigione, si sono riformati, hanno pubblicato altri dischi, hanno creato una linea di abbigliamento, sono diventati personaggi dei videogiochi e hanno cominciato a flirtare con il mondo del cinema. Inutile contare il numero di film che possono vantare dei pezzi del gruppo o dei singoli membri nelle loro colonne sonore, ma è interessante notare come gran parte dei membri del gruppo abbia fatto almeno un piccolo cameo in qualche film. Addirittura Method Man vanta più di una trentina tra serie televisive e film in curriculum tra cui citiamo almeno la serie The Wire e la collaborazione con l’affiliato del clan Redman nel film Due Sballati al College trasformatosi poi nello show Method & Red. Ma quello che ha la carriera più interessante è sempre lui, RZA.

L’unione tra i due è semplicemente eccezionale. La sconfinata cultura musicale del regista si mescola con quella del leader del Wu-Tang Clan. La collaborazione con Tarantino porta ulteriore fama al musicista e soprattutto l’amicizia con Eli Roth, altro sodale di Quentin.

Nel 1999 esce nelle sale di tutto il mondo Ghost Dog – Il Codice del Samurai, diretto da Jim Jarmusch. La storia è quella di un sicario del New Jersey, interpretato da Forest Whitaker, che vive seguendo i precetti del Bushidō. Un ragazzo del ghetto che vive come un vecchio samurai, circondato da mafiosi italo americani e membri di altre gang. L’ispirazione fondamentale arriva da Frank Costello Faccia d’Angelo, il vecchio film di Melville con Alain Delon come protagonista, ma dietro c’è anche il lungo zampino del Wu-Tang Clan. Per sottolineare quel clash culturale di cui parlavamo precedentemente, il regista chiede proprio a RZA di comporre una colonna sonora e gli regala una piccola apparizione nel film. Nel 2003 è sempre Jarmusch a richiamarlo in veste di attore in Coffee & Cigarettes dove divide la scena (in uno dei pochi episodi riusciti, se chiedete a me) con il collega del clan The GZA e uno straordinario Bill Murray in Delirium, uno dei pochi episodi divertenti dell’intero film. Ma è nello stesso anno che le cose prendono una piega inattesa quanto insperata. Quentin  Tarantino chiama RZA per realizzare la colonna sonora di Kill Bill – Volume 1, l’omaggio del regista di Pulp Fiction ai film di arti marziali. L’unione tra i due è semplicemente eccezionale. La sconfinata cultura musicale del regista si mescola con quella del leader del Wu-Tang Clan riuscendo ancora una volta a unire culture, immaginari e universi distanti tra loro. La collaborazione con Tarantino porta ulteriore fama al musicista e soprattutto l’amicizia con Eli Roth, altro sodale di Quentin. Il regista di Hostel decide di aiutare RZA a portare a termine la sceneggiatura che il nostro ha nel cassetto da un bel po’ di anni a questa parte. Si tratta proprio di quella del film L’Uomo con i Pugni di Ferro, l’omaggio finale, definitivo del Wu-Tang Clan ai vecchi film di arti marziali. Dopo una lavorazione lunga e faticosa, il film arriva finalmente sui  nostri schermi. La storia è quella di Blacksmith (interpretato proprio da RZA) uno schiavo che, dopo essere stato liberato, finisce a Jungle Village, un piccolo villaggio della Cina feudale dove si mette a fare il fabbro. Innamorato di una prostituta del bordello locale, l’uomo finisce suo malgrado in mezzo a una faida tra Clan che lottano per il potere e per mettere le mani su un grosso quantitativo d’oro. Dopo l’arrivo di un emissario inglese dell’Imperatore (interpretato da un mai così gonfio Russell Crowe), le cose si mettono sempre peggio fino a quando un gigante in grado di trasformare il proprio corpo in ottone (l’enorme Batista, già stella della WWE) taglia le braccia al povero protagonista. Ma grazie alla sua ferrea volontà e alle protesi di ferro del titolo, il nostro riuscirà a vendicarsi. L’Uomo con i Pugni di Ferro, uscito a fine 2012 negli Stati Uniti, non ha però riscosso il successo che in molti si attendevano. E a questo punto è lecito farsi una semplice quanto immediata domanda: perché?

Se L’Uomo con i Pugni di Ferro fosse uscito  una decina di anni fa forse le cose sarebbero andate diversamente, ma il suo posto è stato preso da film come La Tigre e il Dragone,HeroLa Foresta dei Pugnali Volanti. Inutile dire che pochissimo tempo, il tutto finì nel dimenticatoio.

Le risposte possono essere molte. Andiamo con ordine: in primo luogo RZA non è Quentin Tarantino. Il suo film, omaggio sentito e colto, non ha però quella profondità e quella complessità che Tarantino riesce ad aggiungere ai suoi film. L’abbiamo già detto all’uscita di Django: Unchained. Non basta mettere insieme come se si stesse per completare un puzzle una serie di citazioni o di rimandi al proprio genere cinematografico per fare un buon film. Quello che manca a RZA è proprio quella caratteristica che l’ha reso il genio musicale che è: un pizzico di personalità. Nelle basi dei Wu-Tang Clan o nei suoi vari progetti solisti, RZA ha dato prova si sapere modellare la materia di base a suo piacimento, creando sempre qualcosa di unico ed estremamente riconoscibile. Lo stesso non si può dire per quanto riguarda il suo approccio cinematografico. A quanto pare quello si vedrà in sala è una versione molto tagliata del film (si vocifera di un cut di quattro ore. Che Dio ce ne scampi…), ma in un’ora e quaranta c’è già molta carne al fuoco, forse pure troppa. La storia è inutilmente complessa e ha qualche evidente limiti a livello di scrittura, come il lungo flashback centrale. Ma il problema principale è proprio la volontà del regista di dimostrare tutto il suo amore nei confronti del genere. Le citazioni e i riferimenti sono tanti, tantissimi. Qualcuno riconoscibile (The Blade di Tusi Hark, la canzone di The Killer di John Woo cantata da Sally Yeh, le coreografie che richiamano ala memoria i vari episodi di Once Upon A Time in China, i vecchi film degli Shaw Brothers , la presenza di Gordon Liu), altri probabilmente molto meno ma il problema è che sembra tutto messo lì apposta per soddisfare un proprio desiderio personale. Forse il film che si avvina di più a quello di RZA è il vecchio Interstella 5555, pellicola d’animazione del 2003 voluta dai Daft Punk per il loro album Discovery. I due musicisti hanno scritto un film che in qualche modo funzionasse da colonna sonora per tutte le canzoni del loro disco e l’hanno poi affidato al tratto di Leiji Matsumoto, autore di grandi classici come Galaxy Express 999 o Capitan Harlock. L’idea che ci si faceva guardando quel film era quella di due amici che, una volta trovati i soldi, si sono messi in testa di fare un film che in qualche modo rendesse concreto il loro immaginario nostalgico. Un passatempo divertente, non c’è che dire, ma anche forse destinato a rimanere tra le mura della propria casa. Qui il rischio è un po’ lo stesso: l’impegno è palese ma si fatica a notare quella facilità con cui un tempo si riusciva non solo a collegare l’estremo oriente con il ghetto, ma anche a farlo diventare appetibile per tutti.

Il problema è che in questi anni è anche venuto a mancare l’interesse da parte di Hollywood e conseguentemente anche da parte del pubblico nei confronti del cinema di arti marziali. Se L’Uomo con i Pugni di Ferro fosse uscito  una decina di anni fa forse le cose sarebbero andate diversamente, ma il suo posto è stato preso da film come La Tigre e il Dragone, Hero, La Foresta dei Pugnali Volanti, una serie di titoli che hanno saldato il debito che Hollywood aveva accumulato nei confronti dell’action di Hong Kong con il famoso Matrix. La carica eversiva del film dei fratelli Wachowski, che per primo riusciva a prendere in prestito l’assenza di gravità e logica spaziale tipica dei vecchi Wu Xia (questo il nome del genere originale cinese), s’è subito esaurita. Da una parte è esteticamente invecchiata alla velocità della luce nei vari epigoni a stelle e strisce (ricordate quel periodo in cui anche Shrek citava Matrix?), dall’altra ha dato il via non tanto alla riscoperta dei vecchi titoli cui i Wachowski (o RZA) facevano riferimento, quanto a una sorta di riproduzione da parte di registi esotici e turistici come Ang Lee o Zhang Ymou che hanno svuotato totalmente il genere: i loro film, estetizzanti fino alla leziosità, risultavano essere degli adattamenti ad uso e consumo del mercato occidentale delle pellicole che volevano omaggiare. In sintesi erano film con attori orientali che, rigorosamente al rallentì, correvano su degli alberi o si lanciavano dei piccoli pugnali molto decorati. Inutile dire che dopo poco, pochissimo tempo, il tutto finì nel dimenticatoio e l’approccio dello spettatore medio tornò ad essere: “Film orientali? Oddio, che noia!”. Il povero RZA ha molta più passione di un Ang Lee o di un  Zhang Ymou ma è arrivato fuori tempo massimo. Peccato.

 

Immagine: una scena de La tigre e il dragone (2000).