Attualità

Romanzo di una strage

Al di là di Piazza Fontana, tentiamo un'analisi puramente tecnica del film di M. T. Giordana

di Federico Bernocchi

Venerdì 30 marzo vedrà il buio delle sale cinematografiche il nuovo film di Marco Tullia Giordana, intitolato Romanzo di una Strage, visto da chi scrive in anteprima.

Pasolini

Per parlare di questa pellicola partiamo dal passato. Partiamo per l’esattezza dal 14 novembre del 1974, giorno in cui Pier Paolo Pasolini, un anno prima del suo omicidio, scriveva su Il Corriere della Sera un lungo articolo dal titolo: “Cos’è questo Golpe? Il Romanzo delle Stragi”. La citazione è lunga e particolarmente nota, se volete scontata, ma merita ovviamente di essere qui riproposta. «Io so. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974. Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti. Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974). Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”. Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi».

Partiamo da Pier Paolo Pasolini perché questa citazione è stata inserita dallo stesso regista nella cartella stampa e quindi non si può, nel bene e nel male, non tenerne conto parlando del film di Marco Tullio Giordana.
Con ordine: Romanzo di una Strage rilegge tre anni caldissimi della Storia e della politica italiana. Tre anni cruciali che, come sappiamo, hanno profondamente influenzato il nostro Paese. Si parte dai giorni subito precedenti all’attentato di Piazza Fontana, avvenuto poi il 12 dicembre del 1969, per poi fermarsi all’uccisione del Commissario Luigi Calabresi, avvenuta il 17 maggio del 1972. Aiutato in sceneggiatura da Sandro Petraglia e da Stefano Rulli, Giordana fa quello che fino ad oggi nessuno aveva fatto sullo schermo: fa i nomi.
Attenzione: anche se guardando alla filmografia di Marco Tullio Giordana non è difficile capire quale sia la sua inclinazione politica, in questo caso si sceglie di non pendere da una parte o dall’altra.
Quello che vuole provare a fare il film è ricostruire quello che è realmente accaduto stando alla verità processuale, unendo finalmente tutti quei punti, riuscendo a vedere finalmente tutti quei collegamenti, che fino a poco tempo fa sembravano sfuggire ai più.

Un film per da questo punto di vista utilissimo e importante.

La cosa interessante per noi però è un’altra. Non vogliamo sembravi poveri di spirito o, peggio, immuni all’importanza delle implicazioni politiche di un film del genere, ma in questa rubrica si parla di cinema.

Docu-fiction e supercast

La cosa interessante di Romanzo di una Strage, dal punto di vista filmico, è il suo essere a metà strada tra il documentaristico e la fiction. La ricchissima sceneggiatura, divisa per capitoli, ricostruisce con una certa precisione fatti realmente accaduti, ma trova anche il tempo di ampliare i rapporti tra i vari personaggi, approfondendo le loro personalità.
Per fare questo, ovviamente, ci si abbandona alla fiction, a una ricostruzione fantasiosa dei fatti. Lo scopo è lo stesso del dittico La Meglio Gioventù, ma il risultato è a mio avviso ben più esaltante. Il motivo è presto detto: quest’ultimo film di Giordana si concentra solo su tre anni, mentre nel caso precedente l’attenzione del regista e dei “soliti” Rulli e Petraglia era spalmata su ben 37 anni anni di Storia. La concentrazione quindi aiuta, e le tante forze in campo si disperdono meno.
Altro fattore vincente di questo Romanzo di una Strage, è la parsimonia con cui vengono sparsi gli elementi di fiction all’interno del film. Qui si vola meno di fantasia e certe scelte discutibili (ricordo l’apparizione del fantasma di Alessio Boni alla fine de La Meglio Gioventù) vengono qui smorzate o, nel caso delle presenza fantasmatiche, trattate in modo nettamente più delicato. Insomma, ciò che vediamo sullo schermo è tutto vero, e quello che non è corrispondente esattamente alla realtà, è molto verosimile. Interessante sotto questo punto di vista il lavoro degli attori.
Anzi, apriamo prima una parentesi: questo film vanta uno dei cast più incredibili di sempre per il nostro Cinema. Sembra quasi di essere di fronte a un vecchio disaster movie di quelli prodotti da Irwin Allen nei gloriosi Settanta americani, in cui c’erano le star del momento che dividevano lo schermo con vecchie glorie e altri attori ripescati da meandri televisivi o da anfratti cinematografici. Ci sono gli ormai onnipresenti Valerio Mastandrea (Calabresi) e Pierfrancesco Favino (Pinelli), ma anche i ritrovati Fabrizio Gifuni (Aldo Moro) e Luigi Lo Cascio (il Giudice Paolillo), un grandissimo come Omero Antonutti (il Presidente Saragat) e ancora piccole parti per Laura Chiatti, Giorgio Tirabassi, Denis Fasolo, Michela Cescon e un’apparizione per Francesco Salvi. Un’aria quasi da vecchio kolossal, rispettata anche nella cura della ricostruzione storica e soprattutto nella bella sequenza dell’esplosione della bomba a Piazza Fontana in cui si sceglie di evitare il più possibile il digitale.

I personaggi Moro e Calabresi

Si diceva del lavoro degli attori. Sembra che la famiglia Calabresi non abbia gradito il lavoro di Mastandrea che, a quanto pare, ha dato un’interpretazione troppo sofferta e seriosa del Commissario, uomo invece molto più solare e “leggero”. Opinione rispettabile e condivisibile; non possiamo non notare, stando al dato cinematografico, come il personaggio filmico Calabresi, nella sua estrema serietà, sia funzionale alla storia narrata e come si contrapponga (ma al tempo stesso si avvicini) perfettamente al suo opposto, l’anarchico Pinelli. Trascurando forse per un momento la verità storica, si offre probabilmente un miglior servizio alla finzione cinematografica, aiutando lo spettatore a immergersi maggiormente nel film.
Discorso opposto per un’altra interpretazione discussa: quella di Aldo Moro offerta da Fabrizio Gifuni. L’attore romano ha fatto un lavoro realmente impressionante di mimetismo e porta sullo schermo un Moro più vero del vero. Gifuni non è nuovo a queste interpretazioni: lo abbiamo già visto fare lo stesso in De Gasperi: L’Uomo della Speranza di Liliana Cavani, in Paolo VI diretto da Fabrizio Costa e in C’era una Volta la Città dei Matti di Marco Turco in cui vestiva i panni di Franco Basaglia. Gifuni ha studiato a fondo Aldo Moro: ne imita la parlata, i gesti e l’andatura. A differenza di Calabresi, Moro era un personaggio pubblico, pop, televisivo, conosciuto da tutti gli italiani. Farlo in maniera differente in un film con un taglio del genere, sarebbe stata una scelta ben più coraggiosa forse, ma anche rischiosa. Per questo l’interpretazione di Gifuni ci pare azzeccata. Certo, forse fin troppo calligrafica e spesso fuori registro (soprattutto se paragonata a quelli degli attori con cui duetta), ma oltre a evidenziare una tecnica stupefacente, ha un suo preciso senso se pensiamo al discorso sul rapporto con la Storia fatto in precedenza. Concludiamo dicendo quindi che Romanzo di una Strage è l’ennesimo film che vuole rileggere la Storia italiana. È l’ennesimo film di cui possiamo dire che “non vuole prendere una direzione politica, ma alla fine io l’ho capito il regista”.
È l’ennesimo film di Rulli & Petraglia e con quel cast lì. Certo, nulla di nuovo, ma questa volta è fatto tutto esattamente come andrebbe fatto. Insomma, un bel film. Che alla fine è quello che conta.