Attualità

Roma Sorrentina (pt. 3)

L'ultima parte del reportage masneriano che ha come centro l'Esquilino, il quartiere del regista premio Oscar: Merulana, l'ala mazzoniana, i vialoni irredimibili, i delusi per i prezzi bassi rispetto al nord.

di Michele Masneri

Terza e ultima parte della guida di Studio al quartiere (romano) Esquilino, il quartiere soprattutto del regista de La Grande Bellezza. La prima puntata qui, e la seconda qui.

Il ministro della Cultura, che nel momento fatale del trasferimento esquilino si è anche fatto crescere la barba, per sottolineare il cambiamento geopolitico, è anche scrittore, autore di romanzi come Nelle vene quell’acqua d’argento e La follia improvvisa di Ignazio Rando, e il suo essere uomo di lettere ma anche di governo e la sua natura anfibia sono riflessi dalla residenza in una delle vie dedicate ai poeti (Leopardi, Alfieri, Foscolo), però traverse di via Merulana, proprio in faccia ai palazzi “degli ori e dei pescecani” ormai inflazionati gaddiani, con vocazione viaria commerciale (Franceschini è anche molto stimato da femministe merulane perché spesso avvistato al Conad aspirazionale della via, a far la spesa in proprio, senza scorte, e poco casta).

E Merulana, come spiega un’importante agente immobiliare che pare quella di Wall Street (quella che dice a Bud Fox: “cos’ha l’upper west da offrire? Sean Penn e Madonna”) è un’altra cosa, e “prova, se ci riesci, a trovare un appartamento col due davanti”, cioè sotto i trecentomila euro, e insomma la fettuccia tra Monti e Esquilino, terra di nessuno con il bar-pasticceria carissimo e l’Apple store e i chirurghi delle dive e il teatro Brancaccio neoclassico dove è in scena in questi giorni Christian De Sica col suo “Cinecittà” è un’altra cosa, sorta di stato-cuscinetto anche tra il colle Oppio – regno d’eleganze novecentesche, palazzine e pergole, Parioli esquilini, lusso e ordine come in una Zubrowka (lo stato immaginario austriaco di Wes Anderson in Grand Budapest Hotel, in uscita in Italia il 10 aprile) – e la sede dell’inconscio e del rimosso romano: l’Esquilino. E qui, scissioni tra la vita e l’arte, come nel caso già citato di Willem Dafoe, borghese nella vita e abitante di un ex monastero a Colle Oppio, e killer spietato e ipertiroideo proprio in Grand Budapest Hotel; oltre che protagonista di un prossimo biopic su Pasolini, girato nell’Esquilino più profondo, nella parte più nera, a cavallo della stazione Termini, sotto l’ala mazzoniana, trionfo del good design in travertino anni Trenta, e oggi del degrado. Qui, per Dafoe, abbigliamenti bori-chic d’epoca con cinture (in romano, “cinte”) Gucci, e pantaloni a vita molto alta, e molto stretti, e occhialoni, pronto a impersonare il Poeta in gite periferiche verso periferie non ancora sfruttate col suo mito postumo.

E se oggi, al Pigneto, PPP ci sarebbe andato forse con berline Uber, per far colpo su pischelli prenestini con carte Ambassador, oggi la sua Alfa Romeo Gt Veloce 2000, euro zero, in copia, è in mostra al museo Maxxi, opera di Elisabetta Benassi, con fari accesi e scarichi di batterie, mentre al bar Necci da tempo il ritratto pasoliniano alla cassa è stato sostituito con quello di Beppe Grillo. Invece, sotto l’ala mazzoniana (dall’architetto Angiolo Mazzoni, un Michele De Lucchi littorio, gran progettatore di uffici postali anni Trenta tra cui Grosseto, Sabaudia, Latina, Ostia, Palermo e Trento) oggi una palestra, la cappella multireligiosa della stazione, tapis roulant spesso infiltrati e fermi, e l’incubatore di startup della Luiss.

Qualche giorno fa si è svolta una festa per Sorrentino e per la Grande Bellezza, con esclusione di paparazzi, e vista non sul Colosseo ma sui treni Alta Velocità e sul mercato coperto, che piace molto agli etnologi ed etologi in cerca di curcuma e coriandolo

Fuori, il tram, e sui vialoni irredimibili (Napoleone III, principe Eugenio), romanità residuali ma significative (la sede di Casa Pound, discoteche per pischelli apolitici Popslut) oppure invece mainstream, con il Palazzo del Freddo Fassi, con alti atrii e colonne solenni, e il piacere del gelato ecumenico a Roma, con prodotti locali filologici come i Sanpietrini (precursori della Bomboniera Algida, però squadrati, con rimandi al manto stradale del primo municipio), e reazioni contraddittorie di avventori settentrionali, prima felici per la location e la qualità e il kitsch site-specific (storiche insegne e ricca varietà di tartufi semifreddi bisquit zuccotti caterinette cassate, in cartongesso o vetroresina, da esposizione, su fondo porfido, con antichi diplomi di fornitori della Real Casa); e poi invece delusi per i prezzi bassi rispetto al nord, dove il gelato è bene di lusso, dunque deve costare molto, quindi delusioni e crisi e ripensamenti alla luce di interiorizzati “lavoro guadagno pago pretendo”.  (Più giù, l’hotel Radisson, in forma di nave, già moderno, un tempo lussuoso, poi forse decaduto, poi forse rinato come luogo di Eventi e Apericene, aggettante sui binari, qui qualche giorno fa si è svolta una festa per Sorrentino e per la Grande Bellezza, con esclusione di paparazzi, e vista non sul Colosseo ma sui treni Alta Velocità e sul mercato coperto, che piace molto agli etnologi ed etologi in cerca di curcuma e coriandolo).

Un po’ spostata, invece, la piazza Dante ad alta velocità di gentrificazione, con bar-salotto tardo-hipster per quarantenni, scure pareti e divani fondi, e spesso un Lucio Dalla del più dolente in sottofondo, come memento mori, e mamme bionde alcoliste con passeggini costosi. E poi studi architettonici di coworking e crowdfunding e loft misterici, e la nuova sede dei Servizi Segreti al posto del glorioso Palazzo del Risparmio Postale. Poco più giù, scavallando via Labicana, e verso San Giovanni, altri luoghi simbolici: l’Istituto Santa Maria, enorme scuola cristiana poco nota e poco ambìta rispetto a collegi più prestigiosi e araldici, e famosa solo per un tentato rapimento, ai tempi, della costruttrice Angiola Armellini, “signora del mattone romana”, come ha raccontato sul Foglio Marianna Rizzini. E oggi ormai invece esclusiva e consolidata Eton per classi affluenti cinesi, con rampolli di dinastie sino-esquiline in uniforme blu e stemma oro, formati da preti e allenatori romani come in Attimi fuggenti per future classe dirigenti e civil servants (ma in Cina? in Italia? boh).