Attualità

Come si diventa poeti dell’Internet?

Steve Roggenbuck è un 26enne che fa video in cui strilla agli alberi e ci ricorda che la vita è bella. Si è anche autoproclamato il bardo dell'era digitale.

di Pietro Minto

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Corre su un prato gridando agli alberi e al cielo; guarda il panorama dietro di sé, poi a casa indossa un copricapo leopardato e parla degli abbracci, una sua grande passione, e del Pinterest di sua nonna; indica un albero morto, urla che tutti moriremo. Sorride. Ha uno sfogo assurdo sotto il labbro inferiore ma non se ne cura e anzi fa in modo che la telecamera lo inquadri per bene. Poi ride sotto la pioggia perché la vita è meravigliosa.

Make something beautiful before you are dead” può sembrare un video motivazionale prodotto da un pazzo – e in un certo senso lo è: il pazzo in questione è Steve Roggenbuck, 26enne del Michigan oggi residente nel Maine, diventato negli ultimi anni una delle icone dell’alt-lit (letteratura alternativa fuoriuscita e ispirata da Internet): poeta, blogger e videoblogger, è difficile incasallarne la carriera utilizzando le antiche categorie artistiche. Nuota unto e scivoloso nella letteratura moderna e le sue macerie, sorridendo. Nato come un poeta “tradizionale” – di quelli che scrivono testi in versi, diciamo – Roggenbuck è il classico college dropout che ha deciso di abbandonare gli studi artistici accademici perché ottusi e lontani dalla sua realtà. Quando un professore del Columbia College di Chicago commentò un suo lavoro suggerendogli di «tenere questa roba per il tuo blog», lui lo prese alla lettera, mollando gli studi e concentrandosi su SteveRoggenbuck.com, il suo blog, dove era libero di parlare d’amore e Internet Explorer facendo tutti gli errori grammaticali (voluti) del caso.

Dal 2010, anno dei pubblicazione del suo primo libro, i am like october when i am dead (2010, pdf), a oggi è stato profilato da Gawker, New Yorker e il magazine “T” del New York Times, tra gli altri – testate che l’hanno definito «un profeta», «Walt Whitman se avesse avuto un videoblog», e «l’uomo che potrebbe salvare l’Internet». Roggenbuck non è solo un “giovane poeta”: è un poeta dell’Internet; anzi è «il Bardo di Internet», come si è autodefinito, un artista del XXI secolo che sfrutta mezzi disponibili nel XXI secolo. Gli antichi usavano calamaio, penna e papiro, certo. Ma gli antichi avevano solo quello. Steve Roggenbuck invece si muove come un elettrone, rimbalzando da Tumblr a Twitter, da YouTube alla vita reale, in una delle letture pubbliche che tiene negli Usa, finendo alla Duke University a dire la sua sulla poesia-oggi. Scrive su tutti i medium possibili: un tweet è poesia, una image macro (immagine con un testo tipica dei meme virali del web) è poesia, una cosa fatta da un computer è poesia, come ha insegnato @horse_ebooks (anche se…).

Ma che cosa vuol dire essere poeta di Internet e, per i più scettici, è davvero possibile essere poeti di Internet? Cominciamo dalla seconda domanda – risposta: sì, certo, è possibile – per passare al cuore della questione: a fare di Roggenbuck un poeta di Internet non è la sua usa connessione Adsl; egli è parte di una cultura da anni abituata ad allacciare e mantenere relazioni online e dove gli altri vedono una finestra di Messenger, lui vede una parte della sua vita che può ripercorrere scrollando verso l’alto: il suo secondo libro, DOWNLOAD HELVETICA FOR FREE.COM (2011, pdf) è proprio questo, una collezione di estratti dalla chat che teneva con la sua ragazza dell’epoca, tutte ovviamente riportate in Helvetica Neue Bold a 80 punti. Ma è nei suoi video che il Bardo sembra esprimersi meglio: qui è libero di declamare versi, gridare (vedi sopra), produrre stupende parodie delle conferenze Ted, indagare la propria inadeguatezza mentre miscela spezzoni di altri video. Come ha notato l’artista d’avanguardia Kenneth Goldsmith, i suoi «sono degli infomercial per la poesia realizzati meticolosamente, scimmiottando di proposito lo stile dei video amatoriali diffusi su YouTube».

Non è solo questo, però: è anche questo. A incastonare Steve il Bardo nella cultura digitale è il suo essere un meme, oltreché un produttore di immagini ispirate alla viralità nel web, un territorio che conosce così bene da poter pilotare a piacere verso altri territori. Non è un caso che sia stato il primo poeta ad essere trasformato in lemma da Know Your Meme, un sito che si occupa di catalogare il confuso mondo della cultura digitale: vive in un mondo a parte e il suo ruolo è cantare le gesta della gente del luogo. Come fanno i bardi, appunto.

Ma non esistono meme senza gli altri, le persone, quindi attorno a questo stilnovo è nata una robusta comunità di artisti e appassionati, che Roggenbuck ha raccolto in INTERNET POETRY, un sito che è un po’ la quintessenza di Tumblr e un presagio della prossima Apocalisse per i puristi della poesia: qui la fusione tra verso e linguaggio virale di Internet sembra non solo completata ma passata a un’altra fase, più matura. Da qui i trombonissimi del “su Twitter non si può scrivere nulla di intelligente” sembra un lamento lontano – e in effetti è di quello che si tratta: un lamento.

È un mondo lontano ed esotico che chiamano weird Internet, anche se la “stramberia” a cui accenna il nome è animata da una creatività collettiva che forse è uno dei migliori prodotti di questi anni. Il weird Internet è il meglio della subcultura digitale, un luogo dove le lamentele di Franzen su Twitter sono state sbriciolate e superate da un genere artistico se non letterario; è difficile descriverlo (questa mega-intervista di BuzzFeed ai protagonisti del weird twitter può essere un valido punto di partenza) ma esiste e da poco ha anche la prima antologia ufficiale. Si intitola The Yolo Pages ed è una raccolta di tweet, image macro, Snapchat, poesie e altri tweet curata da… Steve Roggenbuck. Che nell’introduzione a più mani, spiega l’importanza del concetto di Yolo (acronimo di You Only Live Once, Si vive una volta sola):

il termine “yolo” del titolo del libro vuole richiamare l’impulso del “carpe diem” che risale a più di 2000 anni fa. nel 23 a.C. il poeta latino Orazio scrisse, «carpe diem, quam minimum credula postero” (…). nel 2011 drake ha scritto “yolo” (…) un acronimo che è spesso considerato un meme giovanile, sconsiderato e volgare. (…) noi pensiamo che “yolo” faccia sorgere nelle persone un apprezzamento vero e importante del limitato tempo che hanno a disposizione sulla terra. dire “yolo” può essere un modo di invocare un soggetto profondamente spirituale – la mortalità umana e la nostra reazione alla stessa – in modo divertente e non spaventoso. [cit.]

Che tempi, eh?

Ecco cosa ossessiona Roggenbuck: la vita e la sua fine, la morte come grigio sipario ma non come oblio, la bellezza della natura oscurata dai nostri P R O B L E M I. O, per dirla col titolo di una sua recente raccolta di versi, if u don’t love the moon your an asshole, Se non adori la luna sei un coglione, perché è lì sopra di te e non è per niente male. Il poeta gioca sul filo della retorica, danzando sull’abisso senza fine delle belle frasi da copia-e-incollare su Facebook per qualche like in più; la forma può sembrare banale, perché la Luna è bella e c’è un generale accordo sulla questione ma a stupire ed emozionare è la purezza con cui dei dati di fatto vengono strillati come fossero rivelazioni. Che vivere sia bello può veramente essere una scoperta sconvolgente in tempi in cui un segnale Wi-Fi claudicante può farci sbuffare. Anche il fatto che «io e te siamo vivi contemporaneamente» è una consolazione notevole, può aiutarci ad affrontare le altre mancanze delle nostre vite. A mantenere il 26enne al sicuro dal grande vuoto della banalità è la sua orgogliosa ingenuità unita a un incredibile senso dell’umorismo e un’innata capacità comica, che spicca in tutti i suoi lavori mandando al diavolo i sistemi di controllo del vecchio poetare (perché la poesia è una cosa seria, dice il saggio, e i più confondono serietà con noia). Come molto grandi artisti, Roggenbuck mischia l’atroce al divertente, il nonsense alla sua ragazza che vive lontano. Di seguito una voce robotica suggerisce al pubblico di «sfruttare il prestito interbibliotecario per uccidere Guy Fieri»:

Qui invece il nostro presenta un nuovo podcast che aiuterà i suoi ascoltatori a finire all’inferno, un video che è una parodia brillante del nostro mondo e in cui domina la vocina, artifizio ricorrente nel Roggenbuck: quella vocina saccente, noiosa, sempre mediocre ergo sicura di sé.

In quest’ultimo video lo si vede passeggiare tra le tombe («È da un po’ che non ci sentiamo», dice a una lapide) per poi infilarsi in un parco giochi per bambini. Saltella scatenato dal principio alla fine, dicendo battute con la sua vocina. È a questo punto che capisco. E mi viene l’istinto di comporre il numero di telefono di quel prof che consigliò al giovane Steve di «tenere questa roba per il tuo blog». Per ringraziarlo. Se non gliel’avesse mai detto, chissà, a quest’ora Roggenbuck avrebbe potuto essere solo “un poeta”.

Immagine in evidenza: opera di rudolphschmidt (Internet Poetry / Jacopo Marcolini); uno screenshot da if u don’t love the moon your an asshole