Attualità

Le memorie di Dago

Arte e omosessualità, anni Ottanta e letteratura: conversazione fallica con Roberto D’Agostino in occasione della prima puntata di Dago in the Sky, stasera.

di Michele Masneri

Roberto D'Agostino

Sette puntate, a partire da stasera, su SkyArte. Roberto D’Agostino, Dago per i nemici, torna in tv, nella sua nuova incarnazione, con Dago in the Sky. La prima puntata, a parlare di arte e omosessualità.

 Come mai questo tema?

Datemi un pene e vi solleverò il mondo. È chiaro che l’arte nasce con l’omosessualità. Tutto nasce da lì. Lo dice anche Vittorio Sgarbi, stasera, nel programma: «L’arte è omosessuale o non è».

ⓢ Con Sgarbi ormai siete una coppia di fatto.

Ho appena finito di registrare l’Uno contro tutti di Maurizio Costanzo e abbiamo rivisto il nostro scontro del 1991 (quello del famoso schiaffo, nda). È stato veramente imbarazzante rivederlo sul grande schermo. Ma in realtà quella cosa nasceva da una grande gelosia per un amore contrastato. L’amore per Federico Zeri (grande critico d’arte, poco ortodosso, burlone, autore con Dago di un celebre Sbucciando piselli, 1990, nda). Zeri aveva un discepolo, Sgarbi, e poi aveva un amico, che ero io. Poi era successo l’incidente di Londra.

Quale incidente?

Zeri si era portato Sgarbi nella libreria del Victoria and Albert Museum, e lui si era fregato un libro, era successo un casino, Zeri si era incazzato a morte. Zeri era un po’ il padre per noi, avevamo una sorta di follia, di ammirazione per lui. Dopo Londra io andai a vivere con lui per sei mesi nel casale di Mentana (località in provincia di Roma, dove viveva Zeri, nda). I sei mesi più pazzeschi della mia vita. Arrivava chiunque. Arrivava Gianni Agnelli con l’elicottero, atterrava nel giardino. Zeri era il suo consulente per gli acquisti importanti.

ⓢ Era gay, Zeri?

Ma no, questa è una cazzata. Era asessuato, non aveva alcuna disposizione per l’altro sesso, né per il suo. Ce ne sono tante di persone così, eh. Mica è obbligatorio.

ⓢ Ci credo, ci credo.

Però aveva avuto un piccolo innamoramento per la figlia del conte Cini, ma quello aveva posto il veto, non essendo Zeri aristocratico.

ⓢ Sgarbi era geloso di te?

Ci eravamo conosciuti alla presentazione del mio libro, Look parade, a Roma, nel 1986. Era venuta Marta Marzotto portando questo tizio che scappava da Milano, aveva messo incinta Patrizia Brenner, una della famiglia Rusconi, e la famiglia le aveva impedito di sposarlo, dicendo che era un bandito, che le voleva portare via i quattrini. Per un po’ abbiamo fatto coppia, presenziavamo a tutte le feste, avevamo interessi perfettamente complementari, a me piacevano le giovani, a lui le vecchie.

ⓢ Tu hai sempre detto che sei gay dalla vita in su. Mai sceso sotto?

Mai. Mai provato quel trasporto lì. Però ho una grande ammirazione, anche invidia, per i grandi scrittori omosessuali, Proust, Capote, Arbasino.

ⓢ Citi tre scrittori che hanno fatto del gossip un’arte.

Il pettegolezzo è letteratura. Proust era un portinaio, facendosi il giro della vita mondana di Parigi. È sempre stato così. Arbasino è sempre stato il mio faro di civiltà. E poi Penna. E Tondelli.

ⓢ L’hai conosciuto, Tondelli?

Certo. Ci frequentavamo, a Roma, negli anni Ottanta. Lo portavo a mangiare le fettuccine dietro fontana di Trevi. Era particolarmente doppio e pieno di contrasti. Aveva un’aria serissima, occhialetti da nerd, una voce molto maschile, non era per niente effemminato. Io gli ho presentato Rimini al Grand Hotel di Fellini nel 1985. Me lo ricordo bene, eravamo nel giardino, io avevo un turbante.

ⓢ Perché il turbante?

Ma che ne so, era l’epoca in cui portavo il turbante. A un certo punto quando di sotto è già pieno di giornalisti, quelli della Bompiani vanno nel panico, non c’erano i telefonini, Pier non si vede. Vado su a cercarlo e appena apro la porta di camera sua vedo che c’è una vera e propria orgia, tutti che si spompinano allegramente in camera sua, e lui non vuole scendere. Altro che professorino. Allora gli dico: «Pier, che famo? Scendi, su».

ⓢ Era divertente la riviera romagnola?

Scherzi? Rimini all’epoca era meglio di New York o Los Angeles, noi da Roma ci andavamo sempre con la macchina. Sulla Costa succedeva qualsiasi cosa. Al Pascià di Riccione la pista da ballo era occupata da un gigantesco lampadario che la copriva tutta, finché partiva la musica, il lampadario si alzava e la gente scivolava sotto tipo serpenti, strisciando. Una volta dovevo fare un servizio tv sugli after, la ragazza con cui stavo mi dà un acido. Io non mi riuscivo a riprendere, ero totalmente sballato, alla fine con un po’ di cocaina siamo riusciti a bilanciare l’effetto, tipo omeopatia, curiamo la droga con altra droga. Non ho mai visto poi quel servizio né mai lo voglio vedere. Nessuno potrà mai raccontare quella vita là. Poi è finito tutto con l’Aids. Oggi Ibiza è diventato il luogo di divertimento della borghesia in cerca di qualche brivido di breve durata; Mykonos è rimasta gay ma è diventato routine, un po’ un carnevale obbligatorio. Chi vuole un po’ di trasgressione va a Londra, al Torture garden. Una volta il Torture garden lo facevano a Gabicce.

ⓢ E Roma era molto gay?

Ma certo. Tutto nasce con l’Easygoing, un locale degli anni sessanta a piazza Barberini. Era tutto un’immagine di Tom of Finland, e l’ingresso era fatto come un vecchio cesso pubblico, piastrellato. I locali a Roma o erano gay o non erano divertenti. Non è che andavi al Jackie ‘O o al Bella Blu. C’era il St. James a porta Pinciana, dove andavano tutte le marchette di Termini.

ⓢ Ma Milano oggi non è più gay di Roma?

Dipende. Forse sul versante glamour. Conosco certi milanesi però che impazziscono per il Muccassassina, a Milano non ce l’hanno quella roba lì. Ma il primo Muccassassina era proprietà del Vaticano: era in un ex cinema, il Mercury, a Borgo Pio, e gli organizzatori ogni mese pagavano l’affitto al Papa. Io ci andavo con Moana. Poi la cosa venne fuori sui giornali e il Vaticano li sfrattò.

ⓢ Dopo l’edonismo reaganiano, avremo un edonismo trumpiano?

No, perché quello era la ricerca del piacere, era una belle epoque degli anni Ottanta, dopo gli anni Settanta pieni di ideologia e sangue, ideali mummificati. Oggi poi non c’è più una lira, quello di Trump è un edonismo solo mentale. Un libertinaggio che ti permette di saltare il politicamente corretto. Fine del tristismo. Calcio alle élite.

ⓢ Però Melania promette grandi soddisfazioni.

Beh, lei è una vera femmina. Non come Hillary, che era chiaramente il maschio di casa. Lei non voleva veramente rompere il soffitto di cristallo. Lei voleva rompere la tazza del cesso.

Foto: Vittorio Zunino Celotto/Getty Images