Attualità

Risiko francese

Sarkozy torna a Parigi e forse farà il banchiere. Intanto Pigasse punta a diventare il Murdoch di sinistra

di Michele Masneri

A Parigi è tempo di rientri. È tornato Sarkozy, dopo un mese di ozi marocchini. Un preoccupato articolo di Repubblica ieri dava l’ex presidente con «l’agenda semivuota. Pochi i fotografi che lo aspettavano sotto casa, nessuna folla plaudente ad accoglierlo. Scomparsi gli impegni, le telefonate. Ormai dileguati i molti cortigiani». Mah. Forse si esagera col pessimismo. Più interessante scoprire, in un bell’obituary sul Monde dedicato al grande vecchio della finanza francese, nonché esodato delle Generali, Antoine Bernheim, che l’ex presidente della Repubblica gli confidò la sua intenzione, nel lontano 1995, di smettere la politica e di fondare insieme a lui una banca d’affari. Bernheim lo avrebbe dissuaso e incoraggiato a proseguire per la sua strada (forse non gradendo la prospettiva di averlo a bottega come praticante). Sarebbe peraltro una conferma delle velenose memorie che l’ex direttore del Monde, Éric Fottorino, aveva mandato qualche mese fa in libreria nel suo Mon tour du Monde (Gallimard), in cui si narrava di un té all’Eliseo in cui il padrone di casa confessava di non volersi ricandidare in queste presidenziali 2012 (e avrebbe forse fatto bene) per fare piuttosto “i soldi veri”.

Si vedrà. Intanto il Monde (e i suoi azionisti) rimangono comunque al centro del cosiddetto risiko di poteri francesi. Negli ultimi giorni, soprattutto grande di(b)battito sulle indiscrezioni che vorrebbero Matthieu Pigasse, nostro uomo-copertina di marzo, banchiere d’affari iper radical chic, numero uno di Lazard e proprietario di Les Inrockuptibles, nonché investitore nel Monde, pronto a entrare nel capitale del quotidiano della gauche estrema, Libération. Il progetto – che Pigasse non conferma e non smentisce – sarebbe quello di fondere in qualche modo proprio Libé con Les Inrocks, con diverse sinergie: per esempio rendere Les Inrocks il magazine settimanale del quotidiano.

L’obiettivo è soprattutto di consolidare il traballante Libé, che non boccheggia come il suo omologo Manifesto ma nemmeno va benissimo (nonostante la cura Internet e un prezzo di abbonamento mensile stracciato, da 12 euro). Pesano soprattutto i debiti, che si aggirano intorno ai due milioni di euro, e serve capitale fresco. I 6 milioni immessi da un effimero finanziatore, l’immobiliarista Bruno Ledoux, sono stati già consumati per pagare gli stipendi e i debiti pregressi. Anche la compagine proprietaria è stanca: il 36% delle azioni è in mano al rampollo Edouard de Rothschild (nemico di Pigasse, che ha spesso dato giudizi negativi sul personaggio, come questo: «il più seducente, a causa della sua empatia e della sua intelligenza. Il più fastidioso, per il suo narcisismo»). L’altra quota forte (31%) appartiene agli eredi di Carlo Caracciolo, che aveva investito nel quotidiano negli ultimi anni della sua vita. Entrambi sarebbero pronti a cedere le loro quote, che non dovrebbero valere, si stima, più di 20-25 milioni di euro. Per Pigasse non si tratta di cifre insormontabili: come capo della più grande banca d’affari francese probabilmente si tratta di uno stipendio annuale o poco più. Inoltre il banchiere ha ottime relazioni nel quotidiano: è stato lui stesso a inventarsi la cordata capeggiata proprio da Rothschild che nel 2005 ha salvato Libé. Ed è vicino sia all’attuale direttore Nicolas Demorand che al vice Sylvain Bourmeau, ex di Les Inrocks.

Intanto, in questo riposizionamento degli equilibri della gauche, caviar e non, il direttore di Les Inrocks, David Kessler, braccio destro di Pigasse, si è appena trasferito all’Eliseo come super consigliere per la cultura e la comunicazione di François Hollande. Se Pigasse entrasse anche a Libé, si confermerebbe insomma l’ascesa abbastanza fulminante di questo finanziere estroso (tra le altre cose è anche consulente del governo greco, come si è scritto nell’intervista sul numero 7 di Studio); ha esordito brillantemente al ministero delle Finanze divenendo delfino, prima degli scandali, di Dominique Strauss-Kahn. Se riuscisse a conquistare anche Libé, una sua candidatura come campione delle sinistre nel 2017 (tema di cui si è parlato in passato) acquisterebbe maggior consistenza, grazie anche alla vicinanza con il nuovo super consigliere presidenziale. Pigasse peraltro non ha mai nascosto le sue ambizioni e recentemente ha pubblicato un pamphlet intitolato Revolutions, che è già un manifesto politico bello e pronto. Certo a quel punto si porrebbe una questione di conflitto di interessi, visti i crescenti poteri editoriali del banchiere: che tra le altre cose è anche azionista al 15% dell’Huffington Post francese, di cui è direttrice la sua amica Anne Sinclair, moglie di Dominique Strauss-Kahn.

Proprio attorno alla coppia più bling bling della sinistra esce tra l’altro in questi giorni Les Strauss-Kahn, operazione-verità sull’economista marpione e la sua paziente consorte. Il volume, scritto da Raphaëlle Bacqué e Ariane Chemin (editore Albin Michel) è naturalmente molto urticante: in un passaggio si ricostruisce un approccio strauss-kahniano tipico, seppur d’epoca. Incontrata a un comizio la allora cronista Valérie Trierweiler (oggi compagna del presidente della Repubblica), l’allora deputato si getta in un (penalmente irrilevante): “come sta la giornalista più carina di Parigi?”. Risposta della Trierweiler: “ah, credevo che quella fosse Anne Sinclair” (cioè la moglie; e l’aneddoto confermerebbe il soprannome politicamente scorretto affibbiato alla première compagne: Rottweiler).