Attualità

Ridere per finta

La storia delle risate finte in televisione, dalla nascita del Laff Box di Charles Douglass a oggi. Com'è cambiato il gusto del pubblico in fatto di laugh track?

di Pietro Minto

Charles Rolland Douglass faceva ridere tutti. Sul serio. Non che fosse una persona particolarmente spassosa – se ne sa poco e quel poco non è esilarante – ma è a lui che dobbiamo molte delle risate che abbiamo fatto o sentito fare. Douglass, infatti, è l’inventore della Laff Box, lo strumento con cui per decenni i network televisivi hanno aggiunto risate e applausi registrati ai loro show. La tecnologia aveva l’obiettivo di risolvere un problema vecchio come il concetto di spettacolo: il rapporto tra palco e platea. Già ai tempi di Shakespeare le mancate risa e applausi del pubblico venivano sofferti da autori e produttori. Alcuni teatri londinesi utilizzavano degli “scaldapubblico” per guidare il pubblico tra i momenti divertenti come delle strane prefiche al contrario.

Il pubblico, infatti, spesso rideva troppo o troppo poco, scompostamente, costringendo gli attori a modificare il ritmo delle battute.

Durante il Novecento, i nuovi mass media resero tutto più complicato poiché il palco divenne lo studio radiotelevisivo e la platea si fece impalpabile e personale (uno schermo, un pubblico), diffusa su tutto il Paese e poi il mondo intero. Hai voglia a disseminare scaldapubblico in ogni tinello della nazione. Serviva qualcos’altro, un’idea nuova. Il problema si poneva con intensità inedita nel caso della televisione, nuovo giocattolo mondiale che stava cambiando usi e costumi delle famiglie. Qui i programmi comici cominciarono a conoscere i famigerati “tempi televisivi” e a cozzare con il formato live. Il pubblico, infatti, spesso rideva troppo o troppo poco, scompostamente, costringendo gli attori a modificare il ritmo delle battute, ad assecondare il riso con qualche secondo di silenzio, allungando gli show e rovinando il ritmo narrativo. E poi gli errori: ogni nuova prova prevedeva la ripetizione delle stesse battute, che dopo qualche take consumavano la loro carica comica, strappando risate sempre più a denti stretti. Un dramma, quest’ultimo, soprattutto per gli autori che vedevano la battuta più forte dell’intera stagione “bruciata” da una risatina strappata con le tenaglie, e solo perché gli attori l’avevano dovuto provare molte volte.

É in questo momento di panico e scontro tra tradizione e nuovi media che entra in scena Charles Douglass, giovane ingegnere che aveva trascorso la Seconda guerra mondiale a progettare radar per la Marina militare Usa, prima di essere assunto come tecnico del suono dal network Cbs. Da smanettone tuttofare, inventò e divenne maestro di una nuova tecnica detta sweetening (addolcimento), con cui riuscì a regolare le reazioni dal pubblico. Cominciò con registrazioni live, che aveva appunto il compito di addolcire, sistemando il volume o sfumandone il chiasso. Solo in seguito arrivò a “creare” risate dal nulla con la sua Laff Box. Fu l’inizio di una piccola rivoluzione e di un business che l’ingegnere statunitense dominò per decenni, creando un vero e proprio monopolio della laugh track.

 

Un aggeggio esilarante

Le prime note di “Strawberry Field Forever”, gioiello dei Beatles datato 1967, sono melanconiche e melodiose, suonate da un Paul McCartney in formissima su uno strumento particolare – trovato in qualche scantinato degli Abbey Road Studios – chiamato mellotron. Il mellotron è una sorta di sintetizzatore ante litteram in cui a una normale tastiera da pianoforte sono collegati dei nastri, ognuno dei quali contiene la registrazione di una singola nota suonata da uno strumento. Per suonarlo, basta scegliere il registro (flauto, mandolino, corno, oboe…) e pigiare una nota per far scattare il nastro corrispondente. La Laff Box di Douglass funzionava similmente, solo che sui nastri erano registrate varie reazioni del pubblico, dalle risate più scomposte a quelle più leggere, dall’applauso trionfale al whoaaaa generale tipico di molte sitcom degli anni ’60.

L’ingegnere si mise al lavoro e costruì una sorta di organo alto circa 70 centimetri e contenente 320 suoni registrati su 32 nastri mono.

Uno dei più grandi conoscitori della misteriosa scatola degli applausi è senz’altro Ben Glenn II, storico della televisione recentemente intervistato da Mike Sacks, giornalista americano autore di un libro sui segreti della risata (And Here’s The Kicker, 2009). Racconta Glenn che fu nel 1953 che Douglass cominciò a lavorare a uno strumento in grado di risolvere la disputa secolare sulla “giusta reazione del pubblico” e i problemi televisivi a cui abbiamo accennato. L’ingegnere si mise al lavoro e costruì una sorta di organo alto circa 70 centimetri e contenente 320 suoni registrati su 32 nastri mono. L’archivio audio era stato creato da Douglass nei ritagli di tempo, a casa sua, isolando e raccogliendo risa e applausi dal Red Skelton Show – show comico che andò in onda per 20 stagioni, dal 1951 al 1971 – e spettacoli di Marcel Marceau. Dorothy, sua moglie, lo vide ascoltare, editare, copiare e progettare per mesi fino a quando non spuntò fuori con l’organetto che gli avrebbe cambiato la vita.

 

Ridere per lavoro

Northridge Electronics è una società californiana di cui si sa poco. Il fatto che sia stata fondata da Charles Douglass, altro tipino enigmatico, non è di certo una coincidenza. Negli anni ’60 l’azienda divenne grande sfruttando la Laff Box e i mille agganci che il suo creatore aveva nell’industria televisiva. Network e produttori bussavano alle porte dell’azienda, chiedendo per i loro show il miracoloso trattamento delle “risate in scatola”, che in un solo colpo aveva reso possibile avere finalmente il “pubblico perfetto” e di poter girare tranquillamente senza la preoccupazione dell’audience in sala. Una novità che faceva parimenti gridare al miracolo e storcere il naso tra autori e piani alti del tubo catodico. Tra una gragnuola di lamentele e critiche, Douglass cominciò a dedicare sempre più tempo alla sua scatola, che trascinava di studio in studio su un carrello di sua invenzione, litigando con autori e produttori sul momento giusto per intervenire. Lavorava chiuso in uno stanzino, solo e gelosissimo della sua tecnica. Schiacciava tasti, premeva leve e, in media, impiegava un giorno intero per 30 minuti di girato. A fine giornata intascava la sua ricompensa giornaliera (100 dollari) e se ne tornava a casa, il cigolio del suo armamentario ad accompagnarlo fino all’uscita. C’era solo un problema: a causa del numero limitato di combinazioni possibili, spesso l’effetto dell’audience si ripeteva, rendendo di fatto riconoscibile un qualsiasi programma trattato da Douglass solo ascoltandone le risate di sottofondo.

Nel 1960 TV Guide, la mitica guida televisiva Usa, definì l’ingegnere «the only game in town» nel neonato settore delle risate finte.

I primi anni furono comunque un trionfo. E un mistero. Nessuno infatti sapeva granché di Douglass, i suoi colleghi e i loro macchinari. C’era un che di magico e misterioso attorno alla laugh track, come se più di ingegneria si fosse trattato di stregoneria e pozioni a base di ali di pipistrello. Si potrebbe pensare che con la scomparsa del fondatore avvenuta nel 2003 e i cambiamenti nel settore, la Northridge Electronics si sia aperta al pubblico. Non è così: la società rimane tuttora l’Area 51 delle risate registrate. «Ho passato molto tempo parlando con alcuni degli originali specialisti in laugh track che hanno lavorato con Douglass negli anni d’oro», dice ancora Ben Glenn. «Hanno da dire cose molto interessanti. E ciò che è ancora più incredibile è che continuano la tradizione di segretezza nel parlare con la stampa solo off the record e a condizione di non rivelare i loro nomi». E dire che non è così difficile trovare ex dipendenti della Cia o Fbi disposti a parlare del loro lavoro, una volta andati in pensione. Lavorare con applausi e risate dev’essere più top secret di quanto si pensi.

Tanta segretezza, però, non nasce dal nulla. In pochi anni lo sweetening divenne un business maturo e in espansione, alla cui base c’erano segreti industriali, certo, ma anche un certo talento compositivo – potremmo dire – che Douglass dimostrava di avere ogni giorno. Nel 1960 gli affari andavano così a gonfie vele che TV Guide, la mitica guida televisiva Usa, definì l’ingegnere «the only game in town» nel neonato settore. Un monopolio, per l’appunto. È con gli anni ’70, però, che le cose cominciano a cambiare: per esempio, le trasmissioni passarono dal mono allo stereo e col tempo i suoni della Laff Box, a causa della loro riconoscibilità, venivano percepiti come vecchi, già sentiti. Artificiali. E arrivò pure la concorrenza, nuovi professionisti del clap clap registrato che cominciarono a rosicchiare dalle fondamenta l’impero di Charles Douglass. Da segnalare soprattutto la Sound One, società fondata da tale Carroll Pratt, ingegnere del suono vincitore di Emmy e – ironia della sorta – ex allievo di Douglass.

 

Dal HA HA HA al hi hi hi

Oggi la società è diretta dal figlio del fondatore, Bob, e opera in un mercato aperto, frammentato, che deve fare i conti con nuove tendenze comiche che hanno rilegato le risate in scatola nel cantuccio della comicità sempliciotta, lontano dagli show più “intelligenti”. C’è chi di questo è contento, ovviamente, ma non mancano dichiarazioni d’amore e di rimpianto anche dai più insospettabili, come James Parker, critico televisivo dell’Atlantic, che ha ricordato recentemente i “bei tempi” con un amaro articolo. «Il bellissimo, banale crepitio della laugh track», ha scritto, «oggi si è vaporizzato in piccole sacche d’aria patetica e qualche scoreggia di anticlimax». Anche Ben Glenn la pensa così – scoregge a parte – e addice la scomparsa della Laff Box e i suoi derivati all’humour contemporaneo che si basa su «battute intelligenti, di classe e sofisticate» a cui si reagisce con risate a tono, pacate. Non si rotola più dal divano per le risa; si sta composti, si sghignazza e, se proprio la battuta è buona, la si segnala su Twitter con un bel LOL e l’hashtag del programma.

Oggi il settore ha un nuovo re: si chiama John Bickelhaupt, ha 60 anni, e ha sostituito la scatola ridacchiante e cigolante con un laptop.

Le cose cambiano. Prendete Douglass e i suoi eredi, per esempio. Oggi sono ben lungi dall’essere «the only game in town» e anzi combattono strenuamente per mantenere il loro spicchio di mercato, ancora forse disorientati da questa novità che chiamano concorrenza. Anche perché il settore ha un nuovo re. Si chiama John Bickelhaupt, ha 60 anni, e ha sostituito la scatola ridacchiante e cigolante con un laptop con cui fa in qualche click quel mestiere manuale tutto tasti e pedali inventato da Douglass. Il motivo per cui Bickelhaupt ha tanto successo è il la sobrietà del suo stile, agli antipodi rispetto i suoni della Laff Box, perfetto per i nostri tempi fatti di sitcom come How I Met Your Mother, in cui i suoni dal pubblico arrivano nei salotti di casa sottili, impalpabili. Oggi i produttori, ha spiegato al settimanale New York, «stanno alla larga dal pubblico grande e chiassoso di una volta» e preferiscono un leggero tappeto sonoro, sommesso.

In tutto questo, poi, resistono programmi in cui le risate provengono da un pubblico in carne e ossa. Il capofila dei resistenti moderni alla laugh track è senz’altro Chuck Lorre, discusso autore con il vizio di inanellare hit su hit (Due Uomini e Mezzo, Dharma & Greg e The Big Bang Theory, cogliendo fior da fiore). Lorre ci tiene a precisare di non aver mai usato risate finte per tappare buchi o migliorare la performance del suo pubblico e di come la presenza umana davanti agli attori sia un elemento indispensabile del formato sitcom televisiva. Anche perché gli anni Duemila offrono strumenti non disponibili nei fifties, come microfoni speciali su palco e platea, con cui è possibile modulare e regolare il volume di entrambi bypassando ogni problema.

Nonostante l’età, quindi, la laugh track continua a mantenere un posto importante nell’intrattenimento televisivo. Per molti è un dramma interiore, l’ennesima conferma del decadimento qualitativo dell’intrattenimento contemporaneo; per altri è invece ovvio e inevitabile, perché quei suoni tengono compagnia, danno ritmo. Se lo spettatore ride, non lo fa da solo.

In effetti, l’importanza del contesto nel riso è stata dimostrata in vari modi. Nel 2005 una ricerca condotta da tre università australiane pubblicata dal Journal of Experimental Social Psychology dimostrò la tendenza umana a ridere di più se le persone attorno a noi ridono; e a ridere meglio, se conosciamo e stimiamo chi ci circonda. Non è invece dimostrata la connessione diretta tra “risate in scatola” televisive e sghignazzi da casa (i risultati sono spesso contraddittori e danno risultati positivi quando i rumori del pubblico sono veritieri e poco percettibili). Mentre la scienza e la critica si interrogano sul segreto di questa tecnica, potremmo provare a dire la nostra, empiricamente. Guardiamo ai risultati: quali sono state le sitcom più viste negli Stati Uniti lo scorso anno? Due uomini e mezzoThe Big Bang Theory. Quante di queste utilizzano la laugh track? Tutte.

Ecco, forse ci siamo.

 

(Illustrazione di Giorgio di Salvo)

 

[Una versione precedente di questo articolo includeva Modern Family tra gli show che utilizzano laugh track, cosa non vera, Ndr]

Dal numero 10 di Studio