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“Vabbè, dai, si fa per ridere”

La battuta di Claudio Messora sulla Boldrini cancellata da Twitter è un'ottima occasione per parlare di "rape joke" e capire se, quando e come sia possibile ridere di uno stupro.

di Pietro Minto

Domenica scorsa la Presidente della Camera Laura Boldrini, ospite a Che Tempo Che Fa, ha rilasciato alcune (pesanti) dichiarazioni sul MoVimento 5 Stelle, parlando dei commenti «d’odio» che quotidianamente, da anni, innondano tragicamente il blog di Beppe Grillo, definendoli da «potenziali stupratori». Tali commenti, in effetti, in alcuni casi tiravano in ballo lo stupro e una forte dose di razzismo nei confronti dei rom. A tempesta mediatica scoppiata, toccava a qualcuno del M5S prendere in mano la situazione, magari dividendo le proverbiali “mele marce” dal resto della truppa di Cittadini illuminati dal sacro fuoco della democrazia digitale. Purtroppo per Grillo, però, quel “qualcuno” a metterci la pezza è stata Claudio Messora, noto blogger col nome di Byoblu e responsabile del gruppo di comunicazione del Senato per conto del partito-non-partito di Casaleggio. In un momento di confusione, Messora ha mancato di dividere le mele marce diventandone una, finendo per scrivere:

Il tweet è stato prontamente cancellato. Nel frattempo, purtroppo per l’autore, era stato fotografato da molti solerti utenti, che l’hanno ricondiviso.

Sezionando questo messaggio, riconosciamo subito gli ingredienti tipici della Battuta di Merda: c’è il machismo fallico, un uso anticostituzionale dei segni d’interpunzione, un “non corri nessun rischio!” che è una gomitata tra ragazzotti al passaggio di una femmina, e un riferimento ironico a uno stupro. Claudio Messora forse non lo sa ma poche ore fa ha fatto un rape joke.

Per fare un rape joke, una battuta su uno stupro, servono due cose: essere in grado di ridere di uno stupro e trovare un pubblico abbastanza grande che faccia altrettanto. È molto più facile di quel che si pensi. E infatti il punto è un altro. Il punto è che Messora non è il problema.

Alcuni dei migliori comici degli ultimi anni hanno danzato pericolosamente con i rape joke: gli autori di South Park ne hanno realizzati alcuni, quelli dei Griffin sono aficionados del genere. Louis C.K. ne ha parlato candidamente a Jon Stewart circa un anno fa, dicendo di aver letto online molte testimonianze di donne vittime d’abusi e d’aver cambiato opinione riguardo la materia, anche se è comunque rimasto «in grado di ridere di uno stupro». Ogni giorno su Internet piovono migliaia di commenti, battutine e frecciatine sull’argomento, con gli angoli più bui di 4chan e Reddit che si trovano ad ospitare conversazioni interamente basate sullo stupro e la sua presunta, irresistibile carica comica.

“Che cosa ti fa ridere?” è una domanda-chiave nella comprensione di una persona, molto più del test delle macchie di Rorschach. Ogni risata nasconde una paura, un incubo e racconta chiaramente il nostro rapporto con i tabù. Non a caso, sin da Aristofane, la satira si è basata su quattro argomenti – politica, sesso, religione e morte – che sono da racchiudono i tratti più intimi e istintivi degli esseri umani.

In quanto prodotto culturale, la risata risente del contesto in cui vive, e lo modifica. Uno studio (pdf) pubblicato dalla rivista Current Research in Social Psychology ha sottoposto a un campione maschile una serie di battute “normali” e una serie di rape joke, associandoli a storie di abusi ricevuti da persone estranee ai partecipanti. I risultati hanno dimostrato che gli uomini reagivano con «maggior indulgenza nei confronti dello stupro» dopo aver sentito battute sessiste. Il livello d’indulgenza calava invece se avevano sentito battute “normali”, non sessiste.

Il rape joke è quindi pericoloso non solo per la sua premessa (“E se la stuprassimo? Ahahah”) ma anche per il suo potere linguistico “normalizzante”. Moltissime persone non vogliono scherzare sulla Religione, per esempio. Altre non riescono proprio a scherzare su Totti o sulla propria madre. Sono tutti temi caldi, intimi; in alcuni casi, sono diventati tabù. Lo stupro, invece, sembra fare il percorso inverso, declassato da tabù a semplice “argomento delicato” di cui però si può scherzare.

Così, nell’agosto del 2012, il comico statunitense Daniel Tosh va sul palco a parlare di quanto siano divertenti i rape joke, una spettatrice si alza in piedi gridando che quelle battute «non sono mai divertenti», e lui risponde al pubblico: «Non sarebbe bello se quella tipa venisse stuprata da cinque uomini proprio adesso? Ma dico, proprio adesso!». Il pubblico ride, segue bufera. Ma il pubblico ha riso. Quindi figuratevi se il problema è Claudio Messora. Già nel terzo secolo Avanti Cristo, ad Atene, i comici meniandrani cominciarono a mettere in scena opere che iniziavano uno stupro e finivano con il matrimonio tra la vittima e il suo carnefice. Il pubblico dell’epoca le trovava belle e divertenti. È forse in quel momento che lo stupro ha cominciato a diventare un «accidente neutrale della passione sessuale», come lo definisce Alexandra Waszak (pdf)? O è ancora prima?

E siccome le parole sono importanti, ecco che anche il termine “stupro” cambia significato: un birrificio ha creato una birra particolarmente forte e decisa e l’ha chiamata “Mouth Raper“, probabilmente pensando di aver scelto un nome un pochino forte ma vabbè, dai, si fa per ridere. Si sta diffondendo tra gli studenti l’uso del verbo “rape” in chiave POSITIVA, ad esempio: “Me lo sono stuprato, quell’esame”. Una novità che certifica un cambiamento semantico di significato talmente grave da aver ispirato una discussione sulla rape culture nelle università Usa.

Come fare? Lindy West del sito Jezebel ha una risposta che potrebbe stupirvi: basta fare più battute sugli stupri. Ma farle in modo diverso. Come? Ad esempio, se il cuore comico del vostro repertorio è lo stupro in quanto evento buffo, allora non ci siamo. Bisogna puntare più lontano, colpendo quelli che giustificano gli stupri ricordando il vestiario della vittima o raccontando lo shock personale di essere stata violentata da un conoscente, magari il proprio fidanzato, una persona che dopo l’abuso continua a vivere con te. Due casi dell’anno scorso: “Meet My Rapist”, il filmato di Jessie Kahnweiler in cui una ragazza incontra casualmente il suo stupratore e finisce per presentarlo anche ai suoi genitori.

http://www.funnyordie.com/videos/15af0122f2/meet-my-rapist

E “Rape Joke“, l’incredibile poesia di Patricia Lockwood in cui il concetto di “rape joke” viene distrutto e ricostruito.

Non è un caso che questi rape joke scatenino una risata diversa, al limite della comicità, portandoti in un posto nuovo in cui il ritornello “non so se ridere o se piangere” smette di essere tale. Non è una risata piacevole ma stiamo parlando di battute sugli stupri – che cosa vi aspettavate?

 

Immagini: componimento floreale (via); il tweet cancellato da Messora (via)