Attualità

È un brutto momento per il porno?

C'è chi crede stia vivendo la sua epoca d'oro, soprattutto grazie a PornHub. Ma i recenti fatti di cronaca mostrano l'altro lato della medaglia.

di Luca D'Ammando

Stiamo vivendo l’epoca d’oro del porno. Almeno così sosteneva solo otto mesi fa il New York celebrando i dieci anni di PornHub. «Siamo all’apice della creatività sessuale», scriveva Maureen O’Connor, «persino il grande pubblico conosce il porno, è circondato dal porno ed è pratico di porno. Oggi bastano pochi minuti per vedere più erezioni di quante ne avrebbe potute vedere in tutta una vita il più orgiastico dei membri della corte di Caligola». Eppure, a guardare i recenti fatti di cronaca, c’è anche un rovescio della medaglia: forse non è un momento così buono per il porno, almeno dal punto di vista di chi ci lavora. La morte nel giro di tre mesi di cinque giovani pornoattrici nella San Fernando Valley, in California, ha riaperto gli interrogativi sullo stato dell’industria. Un mondo dove le regole sono state stravolte, le produzioni tradizionali sono costrette a lasciare il passo ai grandi siti, con conseguenze dirette sui lavoratori.

I fatti. Il corpo di Olivia Lua, 23 anni, conosciuta anche come Voltaire, viene trovato senza vita lo scorso 21 gennaio in un centro di riabilitazione di West Hollywood, dove stava curando la sua dipendenza da alcool: a ucciderla un mix di farmaci e alcolici. Prima di lei, il 9 gennaio, Olivia Nova era stata ritrovata morta nella sua casa di Las Vegas: «Sepsi» è scritto nel rapporto del medico legale, una banale infezione alle vie urinarie, curata male, aveva attaccato un rene ed era degenerata. Olivia Nova, 20 anni, vero nome Alexis Rose Forte, aveva girato 19 film in otto mesi.

Il 15 dicembre, Yuri Luv (vero nome Yurizan Beltran), nota anche come sosia di Kourtney Kardashian, viene trovata morta nel suo appartamento a Bellflower, in  California, dalla sua coinquilina, l’ex collega Nickey Milo. Causa del decesso: un’overdose di psicofarmaci. Dieci giorni prima, il 5 dicembre, August Ames, nome d’arte di Mercedes Grabowski, si toglie la vita impiccandosi nella sua casa di Camarillo, sempre in California. Pochi giorni prima la ventitreenne canadese si era rifiutata di girare una scena con un attore che in passato aveva girato film omosessuali, perché era convinta che ciò l’avrebbe esposta a un rischio maggiore di contrarre l’Hiv: «Non metto in pericolo il mio corpo. Non so cosa fanno nella loro vita privata» aveva scritto su Twitter. Era quindi stata travolta da critiche e insulti sui social. Il 9 novembre, invece, la 35enne Shyla Stylez, pseudonimo d Amanda Firedland, 456 film all’attivo, muore nel sonno nella casa della madre a Los Angeles. La famiglia ha scelto di non diffondere i risultati degli esami tossicologici.

È vero che nella storia dei film a luci rosse ci sono sempre stati suicidi eccellenti, come quello di Shannon Michelle Wilsey, in arte Savannah, che si sparò un colpo di pistola nel 1994 temendo di esser rimasta sfigurata dopo un incidente. O morti ambientate in un contesto segnato da antidepressivi e antidolorifici, come quella di Marilyn Chambers nel 2009. Ed è innegabile che il mondo della pornografia sia segnato profondamente dalla tossicodipendenza. Lo stress psicofisico è notevole, per reggere gli altissimi standard delle prestazioni richieste o per stordirsi nei momenti di pausa in molti ricorrono a psicofarmaci, alcol o droghe. Odette Delacroix, pornoattrice ventottenne, racconta di un ambiente sempre più spietato, con ritmi insostenibili e dove le richieste cambiano con una rapidità cui è impossibile stare dietro: «Quando ho iniziato nel porno andavano di più le formose – ha detto Delacroix – ma dal 2010 l’ossessione si è concentrata tutta nel trovare delle piccole Lolita. Dopo aver perso diversi chili in qualche mese, ho lavorato come mai avevo fatto in vita mia, ma nessuno mi ha mai chiesto se stessi bene, mi sembrava di essere una paziente malata di cancro ma quella era la tendenza, e quello volevano».

L’esperto di data journalism Jon Millward ha confermato questa tendenza. Nel 2013 ha condotto una ricerca utilizzando l’Iafd, l’Internet Adult Film Database, il più grande archivio online sulla pornografia che offre 181.569 schede di film e 143.735 di attori e registi. Il risultato è stato il seguente: la pornoattrice media è bruna, magra (53 kg), alta 1,65, bianca nel 70 per cento dei casi, misura del seno corrispondente a una 34B. Nomi d’arte più comuni: Nikki, Jessica, Lisa. Età del debutto: 22 per lei, 24 per lui. Rientra in questi canoni anche l’attrice più ricercata su Pornhub lo scorso anno. Oggi la carriera di un’attrice porno dura in media tra i quattro e i sei mesi. Ottenere un buon contratto per una produzione è una rarità e per lo più la paga è a prestazione, da un centinaio di euro in sù a scena (gli uomini guadagnano molto meno). Secondo l’agente Mark Spiegler, la paga annuale delle attrici più affermate era fino a qualche anno fa attorno ai 100 mila dollari, oggi è di circa la metà. Inoltre la maggior parte delle spese, dalle trasferte ai controlli medici, sono a carico delle attrici (in California, ad esempio, gli attori devono sottoporsi ogni due settimane a test sulle malattie sessualmente trasmissibili). La forte concorrenza ha portato a un abbassamento della qualità e spinto le attrici ad accettare prestazioni sempre più estreme, per timore di essere sostituite da  ragazze più giovani e ancora più spregiudicate.

Quando Ilona Staller girava il suo primo film a luci rosse (La Conchiglia dei desideri, 1983) gran parte delle attrici di oggi non erano ancora nate. Intervistata da Claudia Casiraghi lo scorso gennaio sul Foglio, ha spiegato che «oggi il mercato è dominato da generi sempre più estremi, il pubblico, cui un tempo bastava vedere due persone godere reciprocamente del sesso, vuole stravedere. Ora chiede interpretazioni contro natura, scene violente. Mette alla prova la dignità delle donne che, se alle prime armi, rischiano poi di portarsi appresso i segni di quelle pratiche. Le richieste sono più difficili da soddisfare, lo stress è maggiore, la depressione ha ammantato i set».

Quando nacque, l’industria del porno statunitense era distribuita tra Los Angeles, San Francisco e New York. Paul Fishbein, cofondatore del gruppo commerciale per adulti Avn Media Network, ha ricordato che il settore si spostò nella San Fernando Valley anche grazie agli «affitti bassi e all’accesso al settore cinematografico mainstream». La vicinanza a Los Angeles contribuì a creare un canale di talenti hollywoodiani che comprendeva registi, troupe e attori, che in questo modo arrotondavano lo stipendio. Due i punti di svolta: nel 1989, quando la sentenza della Corte Suprema della California stabilì che le riprese di scene di sesso non erano assimilabili alla prostituzione; nel 1995, quando l’attrice porno Jenna Jameson firmò il suo primo contratto con Wicked Pictures, una casa di produzione esclusivamente pornografica. Negli anni Novanta la San Fernando Valley è arrivata a realizzare 4 miliardi di dollari di ricavi annuali. Poi il declino. Dal 2012 al 2015 le richieste per girare scene porno nella contea di Los Angeles sono diminuite del 95 per cento.

Tutti sono d’accordo nel ritenere che, se il mondo del porno è peggiorato, la colpa è di internet, che ha reso facile e spesso gratuito accedere ai contenuti, moltiplicando a dismisura l’offerta. Su trecento milioni di siti porno, gli unici a fare i soldi sono i quattro-cinque grandi portali. Pornhub, ad esempio, nel 2017 ha avuto 28,5 miliardi di visitatori totali (nel 2016 erano stati 23 miliardi), e 24,7 miliardi di ricerche, ovvero 800 al secondo. Ma la transizione digitale ha portato lontanissimo dalla pornografia della Golden Age, quando c’era attenzione anche per i copioni e le scenografie. Oggi si punta tutto sui tube, filmati da cinque minuti, niente trama e tutta azione. Katrina Forrester, docente di Storia del pensiero politico alla Queen Mary University di Londra, già nel settembre 2016 sul New Yorker aveva sintetizzato alla perfezione il punto: l’industria pornografica tradizionale ha problemi simili a quelli di chi vende prodotti alimentari biologici, si fa fatica a venderli, perché «poche persone vogliono l’etica quando guardano i porno».

 

Immagini testo: Yuri Luv e Olivia Lua
In evidenza: August Ames