Attualità

Piazzetta Italia

Doveva essere la Marcia su Roma. Pochissima gente, molto folklore e i nemici di sempre: i giornalisti, il signoraggio, le istituzioni. La rivoluzione ai tempi dello shopping natalizio.

di Michele Masneri

Si era andati con sincero entusiasmo a questa manifestazione dei Forconi: nella piazza del Popolo pre-natalizia, e protetta da ampi schieramenti blindati nelle vie dello shopping, Babuino e Ripetta. Arrivati, però, invece che tensioni e apprensioni si scopre subito di essere in una puntata di Piazza Italia con la voce del Comitato, che qui è una specie di speaker corner su un camioncino alle spalle dei bar Canova e del ristorante da power lunch Il Bolognese, cautelativamente sgombrati dei dehors. Non ci sono i tanto temuti passamontagna, e solo qualche gruppetto forse Casa Pound mascherato, ma che non incute molto terrore. L’atmosfera è da famiglia un po’ disfunzionale impoverita; qui protesta il popolo dei Rid, del credito al consumo (due ragazzi girano con un cartello: “mamma, anche lui non ha pagato la seconda rata”); è il popolo neanche di Equitalia, ma di Fiditalia.

Alle tre la piazza è ancora abbastanza deserta; sotto l’obelisco Flaminio – che i manifestanti non sanno essere parte di una coppia portata dall’Egitto insieme a quello oggi a Montecitorio – cartelli di nostalgie monetarie – “cara vecchia lira valevi la metà ma dura vi il doppio”, e le parole preferite sono poi due, sovranità e naturalmente signoraggio (su signoraggio scatta sempre l’applauso). Sul palchetto allestito dalla parte sinistra della piazza, di fronte al Pincio, si alternano diversi oratori, che esordiscono sempre con un “ciao Italia” o “ciao Popolo”, e poi si presentano, tipo “sono Pino da Domodossola”, “ciao sono Riccardo Casolaro da Lucca”, “ciao sono Raffaele Bonizzi dalla Campania”, le città sono molto importanti (a un certo punto: “silenzio, parla Rieti!”), tutti ribadiscono di essere apolitici e apartitici e soprattutto italiani. Poi però arriva un Davide Fabbri molto politicizzato e dice “Ciao-sono-Davide-Fabbri-provengo-dalla-classe-operaia-proletaria-emiliana” e qui momento di esitazione e costernazione, la folla apolitica e apartitica non sa bene che fare, non conosce i codici. Ma il momento- riunificazione arriva subito contro i giornalisti, che insieme a Napolitano e al signoraggio qui sono i pezzi forti della piazza, oggi; “Non so come sono i giornalisti qui a Roma-Ma in Emilia son delle merde” dice Davide Fabbri con forte accento emiliano; e giù applausi; poi Davide Fabbri parla della Cgil, che in Emilia è diventato un ufficio di collocamento per chi non è italiano, dice, e dice anche che la Boldrini vuol dare prima le case alle famiglie rom, e alla mia destra un signore con codino e denti gialli: fa “tiè”, e il gesto dell’ombrello, indirizzato presumibilmente alla Boldrini e alle sue politiche pro-rom.

Parte Fratelli d’Italia, e tutti lo cantano, sbagliando le parole (dicono stringiamoci a corte invece che stringiamci a coorte, non è proprio la stessa cosa, ma pazienza), qualche braccio teso, non proprio boschi, una cosa così. Gli oratori dicono anche spesso “ciao Fratelli italiani” o “ciao Fratelli d’Italia”, e chissà Arbasino, che abita a duecento metri più in là e che viene sempre a mangiare al Bolognese, oggi zona rossa. Di fronte, la terrazza del Pincio, appena restaurata, tirata a lucido, sembra una Viennetta Algida del Valadier, sotto ci stanno un po’ di giornalisti delle tv (gli altri coi taccuini in mano cercano di non farsi notare, tipo appestati). E poi il Bar Canova e il palazzone settecentesco dove stanno la Bloomberg e Saatchi&Saatchi, e un cartello: affittasi ufficio, 740 metri quadrati, e pare difficile, de ‘sti tempi. Dietro il palchetto, in linea d’aria, anche l’Hotel Locarno, luogo di aperitivi aspirazionali in Hogan, in restauro, con trovata di demolizioni in diretta qualche settimana, con installazione site-specific fa “Crash” degli artisti Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, con stanze e suite sderenate e wc strappati con tutti i loro tubi dalle pareti, e naturalmente è stato un successo, e la metafora forse si spreca.

Sulla piazza, che si riempie abbastanza, anche venditori ambulanti di mini-caffé borghetti (un euro) e fischietti (sempre un euro), diversi Barbour e sciarpe Burberry però non in chiave di rivisitazione hipster. E molti Ray Ban dorati a goccia, e baschetti paramilitari, e mantelle di loden, e cappelli a falda larga; due dell’organizzazione in mimetica, uno vestito da D’Artagnan con competo di velluto e cappa e tutto. E molte retoriche dannunziane e proclami di questi oratori della domenica con toni e pause giuste da annunciatori Eiar; uno proclama che “i vili che non hanno mai assaporato una vita da uomini non avranno mai dignità” e parla dei politici come parassiti, con forte accento catanese. Di nuovo Fratelli d’Italia, e poi l’oratore sul palco tira fuori non si sa come papa Francesco, “uno di noi”, e la folla non lo segue molto, però poi sul “Francesco uno di noi” uno a lato del palco dice “aho ma stanno a dì der capitano”, intendendo Francesco Totti, e la folla si rianima.

In generale, al netto di disperazioni vere e solitarie (un signore molto triste con un cartellino al collo “piccolo imprenditore; non sono vittima di nessuno; semplicemente non ho i soldi per pagare le tasse”) e timidezze di provincia (un trio di Pinerolo, sulla mezza età, due gregari spingono il loro leader con la pancia ad andare su sul palco, ma lui non vuole: “no dai, non mi sembra il caso”, ripete, e gli altri molto delusi, e il più giovane chiede: “ma dove si troverà un gazebo? da affittare?”) pare d’essere a una riunione di condominio, una piccola borghesia vessata – «mia figlia si è laureata con 110 e lode!» urla un oratore con orgoglio, e con molti vecchi zii un po’ picchiatelli e fasci come nelle nostre famiglie si avevano un tempo, brillantinati, con retina per capelli, un po’ su di giri, ma abbastanza inoffensivi. Sul palco adesso uno urla con prosa imaginifica: «Il mondo ci guarda, signori!». A via del Babuino si guardano le vetrine, si sogna e si aspettano i saldi.

 

Nell’immagine, un agricoltore nel 1938 a Londra (London Express/Getty Images)