Attualità

Pagellone incompleto e ragionato dell’Italia ai Mondiali

Il mister e le sue scelte, i giovani alla prima e i vecchi, come li ha definiti Buffon. Un'analisi senza voti dei giocatori azzurri più significativi di questa breve e dimenticabile trasferta brasiliana.

di Giuseppe De Bellis

Cesare Prandelli

C’è una scelta che racchiude tutte le scelte sbagliate di questo Mondiale: la sostituzione di ieri di Balotelli con Parolo. Ragioniamoci: se hai deciso di giocare con due punte la partita decisiva, perché a metà sullo 0-0, cambi idea? Perché, soprattutto, lo fai sapendo che questo significa regalare un uomo e metri all’Uruguay? E se scegli Immobile, perché al posto di Balo al 46’ non metti Cerci che con Immobile ha giocato tutto l’anno e ti garantisce anche corsa, contropiede, capacità di fare possesso palla, capacità di tiro da fuori?

L’impressione è che Prandelli sia andato in confusione nel momento in cui l’Italia ha perso Montolivo alla vigilia del Mondiale. Ha cominciato a cambiare idea, a cambiare moduli: abbiamo visto quattro Nazionali diverse in tre partite. Quella che ha dato i risultati migliori, cioè il modulo che ha usato contro l’Inghilterra, è stata abbandonata contro la Costa Rica per ragioni non spiegabili. Perché Thiago Motta al posto di Verratti è un controsenso pallonaro e soprattutto ti impone di giocare in maniera diversa. Allora ammesso che uno dica: “Ma Verratti non era in condizione”, l’unico sostituto per replicare quel modello di gioco era Aquilani. Se non lo metti in campo perché non lo ritieni affidabile allora che l’hai portato a fare?

Lo stesso vale per la difesa. Se hai deciso di giocare con gli esterni alti, perché non portare un laterale sinistro naturale? Criscito o Pasqual. Parliamo di giocatori medi, ma almeno di ruolo. Le convocazioni, rilette alla fine del Mondiale, sono la dimostrazione che Prandelli non aveva le idee chiare. Tradito da se stesso e tradito da quelli che avrebbero, nella sua testa, dovuto fare la differenza. Tutti pensano a Balotelli ed è vero, ma pure altri. E quindi Immobile, che mezza Italia (e anche Prandelli) vedeva come potenziale salvatore: lo Schillaci del 2014, hanno detto. Sarà. Il problema è che, anche in questo caso, se quei due sui quali conti per i gol falliscono con le convocazioni che hai fatto devi sapere che non tirerai in porta. Che poi è ciò che è accaduto sia contro la Costa Rica, sia contro l’Uruguay.

Mario Balotelli

Ovviamente lui, certo. Ha sbagliato due partite su tre. Ha indovinato la prima: giocata in una maniera perfetta tecnicamente, tatticamente, emotivamente. Allora qui bisogna dividere: calcisticamente è un capro espiatorio e basta. Bersaglio facile: quello che deve dimostrare di essere un campione che gioca male diventa immediatamente il responsabile. È facile, è elementare, è financo ovvio.

Allora a dirla tutta anche con la Costa Rica è stato l’unico pericoloso: ha sbagliato un gol, sì. Però da solo in un mare di avversari, sinceramente che cosa deve fare. È un giocatore che ha bisogno di qualcuno accanto e non è lo psicologo come qualcuno adesso con facile ironia dice. Balo gioca se ha un compagno vicino o se i centrocampisti salgono a dargli una mano. Balotelli non è Messi, né Ronaldo, né Van Persie. È un altro tipo di giocatore, o lo si capisce o no. All’Europeo di due anni fa giocava con un compagno vicino. Giocò bene quasi sempre. Poi i numeri: nelle ultime 24 partite tra Europei, qualificazioni al Mondiale, amichevoli, Confederations Cup e Mondiale ha segnato 12 gol, uno ogni due presenze. Tre di questi gol sono stati consecutivi nelle partite vere (non amichevoli), fino a quello contro l’Inghilterra. Poi ha fallito. Ma il suo disastro è direttamente proporzionale al disastro degli altri.

Poi c’è l’altro aspetto. Quello che dev’essere alla base delle dichiarazioni di Buffon e De Rossi. Qualcosa che è accaduto e che non c’entra con i gol sbagliati, con le prestazioni scadenti delle ultime due partite. Non è per quello che è «una figurina». Secondo Repubblica alla fine del primo tempo della partita contro l’Uruguay Prandelli l’avrebbe criticato per l’ammonizione e lui avrebbe reagito male, a quel punto i «vecchi» (come Buffon ha definito il gruppo composto da sé, Pirlo, Barzagli, Chiellini, De Rossi) l’avrebbero isolato e poi zittito. È questo il punto. È questo ciò che fa la differenza. È questo che ha scatenato le parole di Buffon prima e di De Rossi poi. La domanda è una, a questo punto: senza Balotelli siamo meglio o peggio? Diciamolo: calcisticamente siamo peggio.

Ciro Immobile

C’erano un sacco di aspettative sull’attaccante del Torino. Troppo alte. Invocato come uno che avrebbe risolto i problemi, come l’anti-Balotelli, per tre gol contro la Fluminense e il titolo di capocannoniere della Serie A. Ma la Costa Rica, la Costa Rica, non è il Sassuolo, con tutto il rispetto per il Sassuolo. Immobile s’è sciolto: ha giocato 90 minuti in due partite senza mai tirare in porta, senza mai dare anche la sola impressione di essere pericoloso. Pochissimo, sotto la media di una squadra sottomedia. Chi, come Massimo Gramellini, s’è attaccato all’idea che Ciro fosse la faccia pulita contro quella sporca e cattiva di Balotelli, ha mostrato di attaccarsi al nulla per mascherare il tifo (equazione anche troppo banale: Immobile è del Torino, quindi va sostenuto). La verità è che Immobile ha dimostrato di non essere all’altezza. Punto.

Andrea Pirlo

Il migliore contro l’Inghilterra. Il meno peggio contro la Costa Rica, nella media dell’insufficienza contro l’Uruguay. È un mostro, un genio, è il calcio. È la cosa migliore che il nostro pallone abbia creato negli ultimi vent’anni. Contro l’Inghilterra ha avuto uno score di passaggi andati a buon fine superiore al 90%. C’è un’azione che lo racconta meglio di tante parole: lui stretto tra la linea laterale e due avversari, esce con un tocco di esterno destro che passa tra i due, lui aggira gli inglesi passandogli alle spalle. Pirlo è la perfezione dello stile unita all’efficacia, la classe al servizio degli altri e mai di se stesso. Il calcio, appunto. La differenza con gli altri: geniali, ma approssimativi; efficaci, ma rozzi; fantasiosi, ma individualisti. E però in questo Mondiale è stato solo il migliore tra i mediocri.

Ha giocato in un ruolo non suo contro l’Inghilterra. Perché quello che fa nella Juve lì l’ha fatto De Rossi. Ha fatto la mezzala. Con la Costa Rica ha fatto il regista unico, con l’Uruguay il regista in condivisione con Verratti. Qui c’è una domanda che andrebbe fatta a Prandelli, più che a lui: se Pirlo era la certezza, perché non costruire il centrocampo, almeno quello, attorno a lui? Perché costringerlo a cambiare posizione, a girare, ad adattarsi?

Finisce qui, ha detto già prima di arrivare in Brasile. Niente più Nazionale, niente più Europei e Mondiali. Ci mancherà, anche se è l’unico che ha un erede. Diverso nell’approccio e anche nel ruolo principale, ma non nella personalità: Marco Verratti.

Gianluigi Buffon

Con l’Uruguay ha giocato una partita perfetta. Due parate, una nel primo e una nel secondo tempo. Uomo partita per la Fifa, il premio più inutile che abbia mai avuto. Non ha annunciato, come ha fatto Pirlo, di lasciare la Nazionale. Ma nel 2018 avrà 40 anni. È difficile che ci sia. Se non ci sarà, l’intervista post partita dopo l’Uruguay sarà l’ultima da capitano della Nazionale a un Mondiale. Eccola: «Ora dovremo fare tutti un bell’esame di coscienza. Sono molto triste per noi come movimento calcistico, come gruppo, come singoli giocatori e come Nazione. È il giorno di un fallimento, inutile negarlo o girarci intorno. C’è solo frustrazione, avevamo cominciato bene, forse ci siamo illusi, forse abbiamo creato e ci siamo creati aspettative troppo alte. Poi alla fine ci siamo scontrati con la dura realtà. Siamo usciti meritatamente. Si pretende la massima serenità di giudizio e correttezza da parte di tutti. Si sente dire che c’è bisogno di ricambi, che Pirlo, Buffon, Barzagli, De Rossi sono vecchi ma poi quando c’è da tirare la carretta sono sempre questi in prima fila. Andrebbero rispettati di più loro per quello che hanno fatto e quello che rappresentano ancora adesso. Quando si va in campo si deve fare e non basta più vorrebbe fare o farà…».

Marco Verratti

Buffon non poteva riferirsi a lui. Semplicemente il migliore tra gli italiani nella partita contro l’Uruguay. Sì, migliore in una squadra che ha funzionato zero. Però Verratti è stato tra i migliori anche contro l’Inghilterra. Il paradosso è che i numeri dicono che lui abbia giocato meglio nella partita in cui abbiamo perso che in quella in cui abbiamo vinto. A Natal ha chiuso il primo tempo con il 99% di passaggi portati a termine. Perfetto in un meccanismo che non andava. Ciò che i numeri non possono dire, però, in questo momento è forse più importante: Verratti ha mostrato di avere, oltre al talento e ai piedi, il coraggio e la personalità. L’esperienza internazionale fatta a Parigi ha sostenuto la coscienza nei propri mezzi. Testa alta, sicurezza: uno che sulla propria trequarti supera Suarez con un colpo di tacco in una partita decisiva è uno che crede in sé. E questo serve quanto la capacità che Verratti ha di non sbagliare. Nel disastro di Natal ha mostrato anche di avere le palle. Dicevano: è leggero. Sarà basso e piccolo, ma si butta, aggredisce, sa fare fallo. Adesso è una consolazione. Tra qualche mese potrebbe essere di più.

 

Nell’immagine, Balotelli contro l’Uruguay, a Natal. Clive Rose/Getty Images