Attualità

Niente Manga, per favore

O del perché Fukushima ha frenato il genere catastrofista, ma non i fumetti nuclear-demenziali

di Claudia Astarita

Il mito delle vergini di Hiroshima, le donne che sono rimaste sfigurate dall’esplosione della bomba atomica, si è affermato in Giappone solo grazie ai manga. Decine e decine di vignette sono state disegnate per denunciare il grande errore commesso dagli americani, mentre oggi i manga sul terremoto e lo tsunami di Fukushima fanno fatica a prendere forma. Essenzialmente perché, come spiega una ricercatrice dell’Università di Tokyo, “è troppo presto. Sarebbe irriguardoso e sconveniente parlare così in fretta di una tragedia che ha colpito l’intero paese e che, soprattutto, è stata provocata, in qualche modo, da un errore commesso da noi”. La docente nipponica arriva addirittura a ipotizzare che se la serie anime Tokyo Magnitude 8.0, che nel 2009 ha raccontato la storia di Mirai e Yuuki, due fratelli che si ritrovano da soli in una Tokyo devastata da un potente terremoto, fosse stata pensata con due anni di ritardo, probabilmente non sarebbe mai andata in onda. Lo stesso vale per Coppelion, un fumetto del 2008 di Tomonori Inoue ambientato nel 2036, che racconta di come la capitale sia stata sia stata mandata in rovina dalle radiazioni scaturite da un disastro nucleare di un ipotetico 2016. L’autore di Coppelion si spinge a raccontare anche le storie di soldati abbandonati dal governo dopo essere stati esposti alle radiazioni nel corso delle operazioni di salvataggio.

La ricercatrice ha sicuramente ragione, visto che l’adattamento televisivo di Coppelion, dopo aver ricevuto l’approvazione finale, è stato temporaneamente bloccato. Eppure qualcosa sulla catastrofe dell’11 marzo è stato scritto, ma con toni molto lontani da quelli di denuncia delle vignette che hanno condannato il bombardamento atomico americano e da quelli che hanno fantasticato su un’ipotetica catastrofe che non sarebbe mai dovuta avvenire.

Il governo si è infatti limitato ad autorizzare soltanto fumetti studiati apposta per invogliare la popolazione a compiere gesti di solidarietà, o per raccontare in maniera semplice le possibili conseguenze del “problema delle centrali di Fukushima”. Come ha fatto Nuclear Boy, il reattore-bambino col mal di pancia a cui i dottori somministrano medicine per evitare che “faccia la cacca e rovini così la vita di tutti”. E’ infatti importante che Nuclear Boy si limiti a emettere dei “piccoli peti radioattivi, di cui in poco tempo verranno perse completamente le tracce”.

Ancora, fumettisti poco famosi che risiedono nella zona colpita dal terremoto stanno sfruttando il legame geografico con l’11 marzo per farsi conoscere, raccontando la loro esperienza diretta dello tsunami.

Una casalinga di Sendai con la passione dei fumetti ha pubblicato Shinsai 7 kakan, “terremoto disastroso per sette giorni”, in cui racconta la vita nella sua città a una settimana di distanza dalla tragedia. Kotobuki Shirigari è invece riuscito a piazzare i suoi disegni sull’Asahi Shimbun, uno dei quotidiani più letti del Giappone. Ancora una volta, però, si tratta di immagini che raccontano del terremoto e dello tsunami come potrebbe fare una fotografia, senza lasciare spazio a commenti o interpretazioni. L’unica riproduzione che si permette di esprimere qualche giudizio è Die Energie 5.2 11.8 di Jun Mihara, un fumettista che nel 1982 pubblicò con grande successo una storia sull’incidente di Three Mile Island. Il protagonista delle vignette di Mihara è un operaio della centrale nucleare americana che non perde occasione per palesare il proprio scetticismo nei confronti delle misure di sicurezza dell’impianto.

Il lavoro di Jun Mihara è stato ristampato a giugno, appena tre mesi dopo il disastro di Fukushima, dimostrando, ancora una volta, quanto sia più facile parlare dei disastri che si verificano all’estero e, ancora più importante, senza alcuna “responsabilità giapponese”.