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Napolitano e quel governo del Presidente che non c’è più

L'uomo decisivo per la politica italiana nel 2014 sarà ancora lui. Terrà fede al principio di realtà cui ha sempre fatto riferimento anche nel caso il governo Letta dovesse continuare a vivacchiare? Renzi, Letta, le dimissioni e il voto.

di Claudio Cerasa

Roma – Nonostante le molte personalità emerse nel bene e nel male in questo 2013, per molte ragioni l’uomo chiave da osservare per indovinare  il destino del nostro 2014 non sarà Enrico Letta né Matteo Renzi ma sarà ancora una volta il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Le dinamiche e i rapporti di forza tra il Presidente del consiglio e il segretario del Pd per molti versi sembrano evidenti. E se da un lato il Rottamatore proverà ad incalzare in tutti i modi possibili il primo ministro, per farlo trottare a una velocità che per ragioni strutturali questo governo forse non riuscirà e reggere, dall’altro lato, l’inquilino di Palazzo Chigi, proverà in tutti i modi a costruire e a cementificare un patto con il sindaco di Firenze capace di ingabbiare il segretario democratico dentro una cornice politica dalla quale sarà complicato uscire per tutto il prossimo anno. In sintesi: Renzi proverà a metterà la freccia e a superare l’amico Enrico; l’amico Enrico proverà in tutti i modi ad aprire gli sportelli e a scongiurare, con l’aiuto del compagno Alfano, che la cabriolet di Renzi riesca a mettersi in scia alla vecchia Renault 4 del governo.
La strada è stretta, e dunque il percorso per il governo potrebbe essere meno impossibile del previsto, ma alla fine dei giochi l’unica persona che potrebbe imprimere un’accelerata o viceversa una frenata a una delle due macchine è sempre lui e si chiama, o yeah, Giorgio Napolitano.

 

Il governo del Presidente non c’è più

Il 2014 che si apre per il Presidente della Repubblica promette di essere un anno cruciale per una ragione molto elementare che potremmo brutalmente sintetizzare così: il governo di grande coalizione di cui Napolitano è stato ed è garante non c’è più, e siccome l’elezione di Napolitano, anzi la rielezione, era strettamente legata a quella dinamica, a quel progetto politico, nel 2014 sarà inevitabile che, per coerenza, il presidente della Repubblica prepari la sua uscita di scena.
Il primo passaggio necessario da osservare per certificare il nuovo percorso di Re George verrà probabilmente offerto durante il suo discorso di fine anno, dove il capo dello Stato, che negli ultimi giorni ha giustamente preso a sculacciate sul sedere sia il governo sia il presidente del Senato (a proposito: a quando la rottamazione della società civile? Quando?), ha lasciato intendere di voler rapportarsi con il governo Letta con un nuovo e comprensibile stile: non più come il presidente del Consiglio ombra di un governo presieduto formalmente da Letta e sostanzialmente da Napolitano; ma come un semplice capo dello Stato che osserva un governo d’emergenza che però, in virtù della nuova maggioranza politica andatasi a formare lo scorso ottobre, non è più il governo del Presidente ma è sempre più simile a un esecutivo di coalizione. Dunque, si cambia passo, Napolitano, per non tradire il suo famoso discorso del 25 aprile, quello in cui prese a sganascioni tutti i leader di tutti i partiti presenti in Parlamento, dovrà essere severo e sempre ispirato da quel “principio di realtà” che in questi anni è stato il faro della sua presidenza: non dovrà indugiare un solo istante a sciogliere le camere qualora il governo del suo nipote adottivo Enrico Letta non dovesse combinare nulla.

 

Le dimissioni

E qui, per certi versi, c’è la seconda novità, il secondo segnale lasciato sul terreno da Re George: le dimissioni. Fino a poco tempo fa, fino a quando cioè Berlusconi era parte della maggioranza e non rincorreva le surreali ipotesi di impeachment di Grillo, la parola dimissioni era il deterrente migliore per costringere il Cav. a fare il bravo. Il ragionamento era: caro Berlusconi, non provare a far cadere il governo altrimenti io mi dimetto e faccio eleggere a questo Parlamento un presidente del Consiglio a cinque stelle (ricordate Rodotà-tà-tà?). Il nuovo scenario ha mutato anche le intenzioni di Napolitano e oggi la parola dimissioni non è più un’arma di fine mondo e il capo dello Stato la maneggia con un’idea diversa in testa: mi dimetto quando questo governo finirà il suo percorso, ma dovrà essere il nuovo Parlamento poi a eleggere il suo successore.

 

Il rapporto con Renzi e le elezioni

E qui arriviamo al rapporto tra Napolitano e Renzi, che sarà il romanzo politico più gustoso del 2014. I due, si sa, vivono su due orbite diverse e non è difficile immaginare che il Presidente della Repubblica parli un linguaggio molto diverso da quello di un segretario del Pd di cinquant’anni più giovane di lui che si veste da Fonzie. Ovvio. Eppure, se Napolitano continuerà a seguire il principio di realtà, sarà costretto a diventare in un certo senso renziano. Perché è vero che oggi tutte le forze in campo – quelle di Renzi, quelle di Letta e quelle di Re George – sono concentrate sull’obiettivo di far marciare dritto questo governo. Ma è anche vero che qualora le cose non dovessero funzionare Napolitano non dovrà mettere il suo corpo sulle strade delle elezioni. Se questo governo non va, si vota. Niente giochini. La democrazia è stata già sospesa una volta. E arrivati al 2014 siamo certi che anche Re George, se dovesse capitare, sarà pronto a tagliare la testa della seconda repubblica per aiutarci ad arrivare velocemente alla quinta. Per questo, dopo le vacanze, il governo dovrà avere un profilo diverso. E anche Napolitano, per essere coerente con se stesso, e con il suo grande discorso del 25 aprile, se vedrà funzionare male le cose non si attacchi a un semestre europeo; ma faccia l’unica cosa utile per dare al paese l’alternativa a un governo malfunzionante: votare. Punto.

 

Nella foto: Giorgio Napolitano annuncia l’incarico a Enrico Letta (Getty Images)