Attualità

Metà di Venezia

La rubrica di Bernocchi si sposta a Venezia per tracciare un bilancio parziale dei primi cinque giorni di Festival

di Federico Bernocchi

Film, personaggi, autori, registi, attori, festival e riflessioni sul cinema contemporaneo. Ogni settimana, una rubrica di cinema  a firma di Federico Bernocchi.

Una sofferenza. Andare al Festival di Venezia e starci solo cinque giorni, è una vera e propria sofferenza. Un coito interrotto da una telefonata di tua madre, che ti dice che sta per venirti a trovare a sorpresa. Ma qui c’è da lavorare, signora mia. Sono stato al Lido da mercoledì 31 agosto fino lunedì 5 settembre. In tutto ho visto 16 film. Non sono tantissimi (per un festival intendo), ma ero lì anche per scrivere, per cui bisognava trovare proprio il tempo fisico per vederli questi film. Comunque, ormai siamo a metà con il concorso: possiamo cominciare a fare qualche bilancio. Cominciamo da un dato importante: questa è l’ottava edizione con Marco Müller alla direzione artistica del Festival. Otto anni sono tanti: in teoria dovrebbero cominciare a vedersi i primi segni di stanchezza. E invece, il Festival di Venezia, per quanto riguarda la proposta, mi sembra vitale come pochi altri. Bastava leggere i nomi dei registi in gara solo per farsene un’idea. Non solo nomi noti e altisonanti come Cronenberg, Polanski o Sokurov, ma anche vere e proprio scommesse.

Ci vuole un direttore artistico attento, curioso e che ne capisce di cinema per chiamare gente come Steve McQueen, Yorgos Lanthimos o Tomas Anderson (non a caso i tre film più belli che ho visto in concorso). Parliamo di tre registi caldissimi, coccolati dalla critica specializzata, che con i film precedenti hanno fatto parlare moltissimo di loro. Parliamo di tre registi giovani (non come intendiamo in Italia, che se fai questo lavoro sei giovane a 57 anni), tutti con un ampio background alle spalle che spazia dalla videoarte alla televisione, passando per i cortometraggi. Parliamo di cinema nuovo, ovvero quello che gli appassionati di tutto il mondo vogliono vedere. Una selezione capace di dare lustro al Festival e di metterlo sullo stesso piano di Cannes. Certo, poi c’è anche il film di Madonna, c’è Questa Storia Qua, il documentario su Vasco Rossi e c’è pure un film in 3D (Tormented di Takashi Shimizu, il poveretto che ha dovuto fare 16 volte nella sua vita The Grudge…), ma sono titoli che servono, perché non di soli Sono Sion o di Chatal Akerman si ciba una Mostra del Cinema. Certo, c’è stato anche Box Office 3D, il film di Ezio Greggio in tre dimensioni girato in Bulgaria, ma tanto non se l’è filato veramente nessuno. Rimane veramente un mistero come sia finito a inaugurare la nuova Sala Grande, ma meglio forse stendere una trapunta pietosa. Il tanto sbandierato restauro della Sala Grande, secondo chi scrive è stata  una mossa fatta per (in teoria) distogliere l’attenzione della gente dal fatto che il Nuovo Palazzo del Cinema non c’è. Non solo il Palazzo – promesso ormai da tempo immemore – non c’è, ma al suo posto c’è un buco enorme (dove è stato trovato dell’amianto) che ha deturpato il già non esaltante panorama e ha reso ogni spostamento da una sala all’altra molto più impegnativo del dovuto.

Ma questi sono problemi organizzativi. Certo, non aiutano, ma poco c’entrano con le pellicole che poi vengono proiettate. Permettetemi di consigliarvi un titolo. Uno di quei film che se non vedete a Venezia o in qualche altro Festival ve lo potete scordare: Whore’s Glory di Michael Glawogger. Parliamo di un documentario eccezionale, in concorso nella sezione Orizzonti, che mostra la vita delle prostitute, dei loro clienti e di tutto quello che circonda questo mondo in tre posti: Thailandia, Bangladesh, Messico. Un acquario in cui ragazze thai vengono messe, dopo aver timbrato il cartellino, per essere scelte dai clienti. Un condominio, chiamato La Città della Gioia, in cui ragazzine musulmane vivono e lavorano. Una cittadina messicana dove il giorno di Natale lo si passa fumando crack, pregando la Santa Muerte e prostituendosi. Un film bellissimo (l’unico difetto è una colonna sonora invadentissima, ma ci si passa tranquillamente sopra) che riesce a parlare di prostituzione senza nessun giudizio morale o senza il sensazionalismo ricercato. Cercatelo, non lasciatevelo scappare. Nel frattempo non ci resta nient’altro da fare che attendere la fine del Festival per vedere chi si porterà a casa il Leone d’Oro.