Attualità

Media di culto

Dalla rappresentazione recitata dell'inferno (in auge da 23 anni e ancora di successo) al thriller sul Giorno del Giudizio in uscito al cinema: come la cristianità approccia il grande schermo.

di Nicola Bozzi

«È per questo che la gente si allontana dalla cristianità, non c’è via di mezzo», dice una ragazza con una camicia rossa degli Slipknot, prima di allontanarsi insieme ai suoi amici ugualmente abbigliati in stile tardi ’90. Sono usciti da poco da Hell House, una specie di tunnel degli orrori cristiano dove un manipolo di entusiasti recita scenette horror a scopo educativo ormai da diversi anni. La gente paga il biglietto ed entra in uno spazio buio dove assiste in tempo reale alla dannazione di peccatori vari: c’è una ragazza che si uccide dopo essere stata stuprata a un rave, c’è quella che decide sfortunatamente di abortire, c’è il gay che si è preso l’Aids e sta per schiattare su un letto di ospedale (ma lui si salva perché all’ultimo accetta Gesù). C’è sangue, c’è pathos, ci sono le luci, pure i demoni coi cornetti che sghignazzano. La ragazza ha ragione, la drammatizzazione alla quale lei e compari hanno appena assistito ha del ridicolo, ma le statistiche alla fine del documentario (questo qui) sono di un altro parere. Sui 75.000 visitatori dello spettacolo nell’arco di un decennio, pare che più di 15.000 si siano “convertiti”, e che centinaia di chiese abbiano seguito l’esempio della Trinity Assembly of God di Dallas, quella del film, coinvolgendo anche loro i collegiali locali in relativi siparietti redentori.

La gente paga il biglietto ed entra in uno spazio buio dove assiste in tempo reale alla dannazione di peccatori vari: c’è una ragazza che si uccide dopo essere stata stuprata a un rave, c’è quella che decide sfortunatamente di abortire, c’è il gay che si è preso l’Aids e sta per schiattare.

Se in principio era il Verbo, insomma, a un certo punto si sono resi necessari anche qualche effetto speciale, per quanto pacchiano, e qualche spruzzo vermiglio. A essere sinceri la cosa non era estranea nemmeno in tempi e luoghi non sospetti (tutt’oggi in Vaticano si possono ammirare illustrazioni agghiaccianti ai fatti della Bibbia, tipo il Massacro degli Innocenti di Pieter van Aelst), ma è vero che sempre più volonterosi missionari mediatici si stanno appropriando di formati di intrattenimento popolari per diffondere messaggi religiosi.

Se la storia di Hell House è vecchiotta, però, non lo è l’annuncio di Final: The Rapture, un thriller low-budget sul tanto sbeffeggiato giorno del giudizio di un paio di anni fa. Il Guardian lo annuncia già come un floppone al pari di The RoomSharknadoBirdemic, anche se forse i 10 milioni di dollari di budget sembrano essere stati spesi un po’ meglio. A parte che visto il tema religioso il paragone con film di culto come i titoli appena citati può anche essere lusinghiero, c’è da dire che Tim Chey, il regista, il progetto è riuscito quantomeno a finirlo. Anni fa mi ero imbattuto in un documentario intitolato Audience of One (ma in sala dovevamo essere almeno cinque) che raccontava invece la scarsa fortuna di un prete pentecostale indebitatosi fino al collo per produrre un film epico-fantascientifico dal titolo Gravity: The Shadow of Joseph. Anche in quel caso un fervente quanto illuminato credente si era messo in testa di rilanciare il messaggio cristiano sfruttando l’appeal di un genere contemporaneo, ma quello non mi risulta sia nemmeno uscito.

Questo tipo di cose sono interessanti per almeno due ragioni. Tanto per cominciare, partono dal presupposto che il messaggio cristiano sia assente dai media e che delle storie raccolte nella Bibbia non si parli più. Certo, gli stereotipi vogliono i produttori cinematografici tutti ebrei e gli attori tutti di Scientology, ma anche se ai tempi per finanziarsi La Passione di Cristo Mel Gibson ha dovuto scucire milioni di dollari tramite la propria compagnia, si è poi rifatto alla grande tirando su il gruzzolo più ricco della storia con un film bollato R (e quindi distribuito meno). Sempre per restare in tema di rating, tra l’altro, un documentario del 2006 sulla MPAA (l’agenzia americana che decide se un film è troppo zozzo o violento) mostrava come il segretissimo consiglio di appello dell’organizzazione includesse anche membri della chiesa (nella fattispecie, uno cattolico e uno protestante). Visto che di cristianità più o meno sommersa in giro ce n’è tanta, la combo “Christian-horror/thriller/sci-fi” può spaziare quindi da trovata ingenuotta per promuovere progetti epicamente fallimentari a mezzo pratico senza troppe ambizioni per combattere l’ADD imperante tra i ragazzini americani.

Proprio dal punto di vista della comunicazione, questi registi e drammaturghi devoti si danno la classica zappa sui piedi.

Il secondo motivo per cui vale la pena discutere di queste iniziative è il fatto stesso che il Guardian ci spenda una pagina e che la gente si scomodi a girarci su (o dietro) dei documentari. Di fallimenti filmici la storia è piena, e posti come Youtube o Kickstarter sono cimiteri costellati di cadaveri che ammuffiscono nell’indifferenza generale, senza che nessuno si sogni di glorificarli. Se ne si scrive è perché pare assurdo che qualcuno investa così tanti soldi, tempo ed energie in un film a scopo religioso, senza quindi alla base la sana egomania che di solito anima i marcescenti reperti di cui sopra. L’ammirazione nei confronti dello sforzo titanico (per quanto goffo) e dello spirito d’iniziativa (per quanto insufficiente) passano però decisamente in secondo piano rispetto allo straniamento ironico, con toni addirittura sinistri. Ma più che la fattura o l’impraticabilità si deride/isola la presunta seriosità, il fatto stesso di volersi associare a una missione divulgatrice. In sostanza, proprio dal punto di vista della comunicazione, questi registi e drammaturghi devoti si danno la classica zappa sui piedi.

Il dubbio che uno intenzionato a raccontare il Vangelo tramite un clone low-budget di Star Wars possa in realtà avere del senso dell’umorismo ci potrebbe anche venire, ma i professionisti della risata sono quelli che paradossalmente prendono più sul serio la narrazione religiosa. Ad esempio, a parte aver co-diretto il fiacchissimo The Invention of Lying nel 2009 (una commedia iniziata con una premessa interessante e poi trasformatasi in satira abbastanza trita sul tema della fede), Ricky Gervais non si stanca mai di schernire i credenti in toto su Twitter, mentre in Religulous Bill Maher ammette che, beh, credere un pochino non è una cosa così tragica, ma giusto se finisci in prigione.

Mi viene da dire che forse per arruffianarsi il sarcastico pubblico occidentale contemporaneo ci vorrebbe un cristianesimo ironico, che non si prenda troppo sul serio e soprattutto non dilapidi ricchezze assurde in progetti catastrofici. Nemmeno ho finito di scriverlo che sul divino Google mi si manifesta Godtube, contenitore sbarazzino che raccoglie sermoni e video cristiani, ma anche video comici e parodie (più o meno imbarazzanti). Una cosa interessante è che, essendo il contenuto dichiaratamente “faith-based” e “family-friendly”, abbondano massime ispirate, balletti e gattini, comodamente distribuiti in categorie come Inspirational e Cute. Visto che a ben pensarci si tratta proprio di quel genere di cose che affollano il nostro feed di Facebook ogni giorno, forse questi cristiani non sono così lontani dal formato ultimo per la diffusione del Verbo. Del resto si sa che persino Ricky Gervais è un noto fan dei gattini.

 

Nell’immagine, particolare di una locandina di Hell House