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Marketing after all

Random Access Memories, il nuovo album dei Daft Punk, e la sua promozione "vecchio stile" che ha puntato però tutto su social media e viralità.

di Michele Boroni

Quello che leggerete non è l’ennesimo articolo di commento sull’ultimo disco dei Daft Punk. Ci siamo voluti affrancare da questa sorta di ansia da recensione e dall’insta-critica che sta infestando la rete, portando chiunque a dire la propria sull’opera dei due dj francesi, su Il Grande Gatsby di Luhrmann o sull’ultimo fenomeno generato dai social media… (Fill in the blanks).

Quello che state leggendo, invece, è il tentativo di spiegare perché Random Access Memories – che esce oggi ufficialmente in Italia, ma che nei giorni scorsi è stato diffuso (legalmente e non) in streaming – abbia monopolizzato l’interesse dell’opinione pubblica sul web, e perché alla fine sarà un grandissimo successo: tutto questo senza parlare di canzoni, arrangiamenti o esecuzioni – lo lasciamo fare ai tanti piccoli Lester Bangs che ci circondano – ma semplicemente analizzando la strategia promozionale che è stata imbastita per il lancio del disco sul mercato, convinti del fatto che anche questa sia arte. In fondo la rubrica si chiama “Mercante in Fieri”.

Prima però un piccolo passo indietro.

Random Access Memories (RAM) arriva otto anni dopo Human After All, disco che deluse le aspettative di molti, o quanto meno non fu all’altezza dei precedenti capolavori della musica elettronica Homework e Discovery, in parte però riscattato da un glorioso tour live (quello con l’ipnotica e kubrickiana piramide di luci) da cui fu tratto il disco Alive 2007. In questi anni Guy Manuel de Homem-Christo e Thomas Bangalter, i due ex ragazzi prodigio che si celano dietro la sigla Daft Punk, sono rimasti chiusi negli studi di registrazione, facendo trapelare ben poche informazioni se non quelle che il disco sarebbe stato molto suonato grazie anche all’aiuto di prestigiosi collaboratori.

Il mistero e l’anonimato sono da sempre uno degli elementi di attrazione dei Daft Punk. In pubblico i loro volti sono sempre coperti da caschi argentati, quasi un meta-commento post-moderno all’alienazione della musica digitale; per il lancio di Discovery fecero girare la notizia che il disco sarebbe stato realizzato da due robot in sostituzione dei due membri originari della band, morti improvvisamente il 9 settembre 1999 (9/9/99) alle 9:09 del mattino a causa dell’esplosione del loro campionatore. I Daft Punk si sono sempre divertiti a sovvertire le regole del music business e, con piglio situazionista, a mescolare realtà e fiction.

Nel frattempo i due francesini sono cresciuti e hanno raccontato il concept del loro nuovo disco in un’intervista a Rolling Stone: «La musica elettronica in questo momento si trova in una zona di comfort e non si muove di un centimetro» e perciò hanno spiegato che «con RAM volevamo fare ciò che eravamo abituati a fare con macchine e campionatori, però questa volta con le persone». Questo approccio vecchio stile è stato utilizzato non solo per la registrazione del disco, ma anche per la promozione.

Da alcuni anni il marketing del lancio dei dischi “importanti” sembra eseguito sempre nello stesso modo: interviste in esclusiva nei Late Show americani, banner sul web, spot audio che interrompono le playlist di Spotify, qualche sofisticata operazione sul sito web dell’artista e un’intensa attività sui social media.

Invece i Daft Punk per RAM hanno utilizzato le tattiche di advertising più classiche e anziane: a marzo hanno acquistato uno spazio pubblicitario di quindici secondi per uno minispot contenente l’immagine del disco e un frammento audio di “Get Lucky” nel break del Saturday Night Live, a cui è seguito un altro spot più lungo due settimane dopo.

Il duo ha poi comprato un cartellone pubblicitario (sì, avete letto bene, un vecchio cartellone pubblicitario) sulla I-10, l’autostrada sulla rotta per Coachella e proprio qui, durante l’omonimo festival rock prima del concerto dell’headliner di turno, è stato trasmesso sui megaschermi un videoclip di poco più di un minuto e mezzo con il duo francese che esegue il pezzo insieme a Pharrell Williams alla voce e Nile Rodgers alla chitarra.

Questo è principalmente l’investimento media fatto dai Daft Punk: praticamente gli spazi per tre teaser e un cartellone pubblicitario. Tutto il resto lo ha fatto il pubblico. Gli spot sono andati su YouTube e tutti noi li abbiamo compulsivamente postati su Facebook, sui blog, su Tumblr, commentati e ritweettati. Poi i più esperti con i software audio hanno creato versioni allungate basate su quei pochi secondi di riff disponibile o efficaci mash-up con altri pezzi pop del momento (provate a inserire “Get Lucky” su Soundcloud, e verrete sommersi da centinaia di re-edit e remix). Nel frattempo sono uscite, sempre su YouTube, una serie di videointerviste a ciascuno dei celebri collaboratori del disco (oltre ai già citati, anche Giorgio Moroder, Panda Bear, Chilly Gonzales etc…) chiamato “The Collaborators Series”, sponsorizzata da Vice e Intel. Inoltre i DP sono diventati testimonial di Saint Laurent – solo per l’immagine, niente musica, come si evince dal sito – e Hedi Slimane, il designer della maison, ha disegnato per loro i completi di paillettes indossati nel video e nelle foto del disco.

Il 19 aprile, con una perfetta scansione dei tempi, è uscito poi il radio edit di “Get Lucky” che ha infranto tutti i record di streaming in un solo giorno su Spotify, e le cui visualizzazioni del “non-video” su YouTube sono oggi arrivate a oltre 27 milioni. (Del resto, potete pensare ciò che volete su RAM, ma è davvero difficile negare che “Get Lucky” non sia uno dei pezzi più accattivanti degli ultimi anni.)

Quindi, riepiloghiamo: pur senza pubblicità su internet e senza nessuna attività su Facebook, per settimane sui social media e sulla stampa di settore non si è parlato d’altro che dei Daft Punk. Questo, in termini strettamente di marketing (perdonatemi) significa che se il posizionamento è corretto, il target è quello giusto e il prodotto è buono, il buzz arriva quasi automaticamente e, sopratutto, spontaneamente.

Ma non finisce qui. Perché in questa sorta di corto circuito tra vecchio e nuovo (come in fondo è, anche musicalmente, RAM) a fine aprile la Sony Columbia ha fatto preascoltare l’intero disco a pochi selezionati giornalisti e, per paura di eventuali furti e conseguente diffusione sul web, è stato adottato una precauzione da carcere di massima sicurezza. Tecnicamente si chiama solid state audio player, ovvero un lettore in cui la musica è salvata al suo interno, su un hard disk, impossibile da copiare, il tutto contenuto in una valigetta, che ha generato l’ennesimo meme e contenuto notiziabile sulla rete.

Infine la presentazione ufficiale del disco non è avvenuta né a Parigi, né a Los Angeles bensì a Wee Waa, un paesino in mezzo al nulla in Australia, probabilmente scelto a causa della peculiarità del nome, e comunque un’ennesima trovata, non banale, per far parlare chi ancora non l’aveva fatto, del lancio del disco.

Non resta ora che gustarvi Random Access Memories che, come letteralmente spiega il titolo stesso, è una sorta di viaggio a ritroso per tentare di riagganciare il futuro. Della musica ma anche della comunicazione che funziona davvero. Buon ascolto!