Cultura | Dal numero

Scrivere del cielo

Abbiamo intervistato Mark Vanhoenacker, pilota di Boeing 747 e autore di libri che raccontano com'è vivere sempre in volo.

di Davide Coppo

Un volo passeggeri fotografato al tramonto, a Bergisch Gladbach in Germania (HENNING KAISER/AFP/Getty Images)

Ci sono poche cose nella vita che mi affascinano e mi rendono nervoso come volare. Entrambi i sentimenti sono legati alla meraviglia, e a un’ingenuità ancestrale, molto animalesca, naturale, piuttosto che culturale. Gli aerei mi atterriscono e mi stupiscono per la loro massa, gli aeroporti per la loro vitalità, i piloti per la maestria nel maneggiare un elemento come l’aria. La miglior lettura che condensi questa matassa di sensazioni – gli inglesi la chiamerebbero awe – è Skyfaring, un memoir sulla vita passata nei cieli, scritto nel 2015 da Mark Vanhoenacker.

Mark Vanhoenacker è un pilota – senior first officer – di Boeing 747 per British Airways. Ha pubblicato, nel 2015, Skyfaring. A Journey with a Pilot, una sorta di memoir e di manuale divulgativo sul volo, la sua tecnica, la sua fisica, la sua geografia e la vita di un pilota – il jet lag, ma soprattutto il place lag, quel sentimento di straniamento geografico per cui ti svegli a Singapore, vai a dormire a Mumbai, e ti trovi a pranzare a Città del Messico. In Italia è stato tradotto da Mondadori nel 2016 con il titolo Tutti sognano di poter volare. La magia del volo raccontata da un pilota. Il suo secondo libro è uscito nel settembre 2017 per Quercus, si chiama How to Land a Plane. Un altro interessante, seppur brevissimo, testo sul volo è La virata di William Langewiesche, pubblicato da Adelphi, traduzione di un lungo articolo uscito su The Atlantic negli anni Novanta. Langewiesche, anche lui pilota, qui descrive nei dettagli fisici ciò che rende il volo umano davvero utile: la virata, dai pionieri dell’aviazione fino ai più moderni piloti acrobatici.

Davide Coppo – Mark, in quanto pilota ti fidi ciecamente dei suoi strumenti, e conosci a memoria le leggi della fisica. Riesci comunque, in qualche modo, a spiegarti la paura del volo così diffusa?

Mark Vanhoenacker – Credo che per molti sia una questione di non essere in controllo. Per altri può esserci un’altra ragione semplice, non poter vedere davanti, come in un’auto. Per altri ancora, un motivo ancora più basilare: non si trovano a terra, e quindi è come se non si trovassero sulla Terra. Questo è il più comprensibile, se la vedi da una prospettiva storica, dal punto di vista della nostra evoluzione come specie. È chiaro che in quanto piloti noi sappiamo quanto sia sicuro il volo, e sappiamo esattamente perché.

DC – Ne La virata William Langewiesche scrive: «I piloti sono solo passeggeri più addestrati degli altri». La paura è un’emozione fondamentale anche quando sei un pilota?

MV – Quando esco da un aeroporto in macchina e mi butto in autostrada, sono scioccato dal caos, dalla totale mancanza di controllo nelle strade. È totalmente diverso dal mondo dell’aria. Tutto, in aviazione, è fondato su principi come la prudenza, la qualità, la regolamentazione. Qualche tempo fa ho sentito un podcast che parlava della possibilità di avere aerei senza piloti. Si faceva il paragone con le auto senza guidatore, e un ingegnere ha detto che, naturalmente, gli aerei sono molto più complicati delle auto. Eppure una volta che ti stacchi da terra, il mondo in cui l’aereo si trova a operare è in un certo senso più semplice di quello delle auto. E di sicuro è molto più regolamentato. Penso sia una prospettiva interessante.

DC – Nel tuo libro mi piace molto il modo in cui descrivi la geografia del cielo, i “waypoint” che gli aerei devono attraversare, e così via. Ci sono delle parti di aria in cui ti senti a casa, in qualche modo?

MV – Sì, anche in cielo alcuni luoghi sono più familiari di altri. Lo spazio sopra Londra, ovviamente, è una specie di casa, conosco perfettamente i radiofari, i waypoint, le rotte. Riesco anche a riconoscere alla radio le voci di alcuni controllori di volo. Sono sempre stato affascinato da molti aspetti di questa geografia. È bello, ad esempio, che Ostia nel 2017 sia il nome del waypoint attraverso cui “navi del cielo” arrivano a Roma. Ma allo stesso modo ci sono zone in cui non ho mai volato, come il Pacifico settentrionale. Il mondo è un posto troppo grande perché un pilota possa conoscerlo interamente.

DC – Siamo soliti parlare di “volare”, un verbo con un significato piuttosto ampio. Quanto è diverso portare in aria aerei differenti?

MV – Quando stavo imparando a volare su un Boeing 747, uno dei miei istruttori diceva: «Mark, è soltanto un Cessna più grosso». Aveva ragione, nel senso che i principi del volo e le forze che agiscono sull’aereo sono le stesse. Ma dall’altro lato gli aerei di linea sono macchine estremamente più complesse e sofisticate. Volano più in alto, per più tempo, a una velocità maggiore. Ogni partenza dipende dal lavoro di un team di centinaia di persone, incluso chi si occupa dei bagagli, della benzina, dell’accoglienza passeggeri.

DC – L’atto del volare per te è più legato a sensazioni di adrenalina o di pace?

MV – Gli aerei di linea sono creature abbastanza statiche, se le confronti con i jet, ma chiaramente momenti come decollo e atterraggio sono sempre emozionanti. Devo ammettere che a volte preferisco viverli però da passeggero, quando hai la mente libera di concentrarsi sull’esperienza stessa, e ascoltare musica, e lasciare andare i pensieri. Invece la pace che trovo nella crociera in altitudine è uno degli aspetti che preferisco nel mio lavoro. È qualcosa che posso godermi anche tra i doveri che ho in cabina, i controlli regolari degli strumenti o le chiamate radio. Ed è la ragione per cui preferisco i voli lunghi.

DC – Quando volo scatto sempre foto dal finestrino. E mi piace guardare le stesse foto degli altri, su Instagram seguo molti canali così. Soprattutto, non voglio vedere solo il panorama, ma voglio che ci sia un pezzo di aereo, un motore, l’ala. Quello che mi affascina è l’incontro tra la Terra e la bellezza tecnologica della macchina. 

MV – Hai ragione, le migliori sono quelle con un pezzo di aereo dentro. Credo ci siano diverse ragioni per cui quelle foto funzionano bene. Una può essere di composizioni: hai elementi vicini e altri elementi sullo sfondo. Ma credo che la struttura dell’aeroplano ci ricordi la meraviglia del volo, come traguardo raggiunto dall’umanità. E poi le ali sono bellissime, hanno linee nette e una perfezione elegante, sono un po’ scienza e un po’ arte.