Attualità

Mamma li turchi (e il loro amore per il Made in Italy)

Prima di Etihad che mette le mani su Alitalia, furono principi sauditi che compravano castelli piemontesi, libici che entravano in Fiat, l'emiro del Qatar con Valentino. Storia del flirt fra arabi e Italia.

di Michele Masneri

Con l’arrivo di Etihad che comprerà Alitalia non ci sarà nessuno scandalo aeronautico perché con arabi, soprattutto principeschi e liquidi, si è sempre avuto una special relationship. Anche i leghisti maroniani molto preoccupati per eventuali moschee a Malpensa e in Macroregione dovrebbero piuttosto aborrire i francesi di Lactalis che laicamente hanno chiuso i formaggini molto storici della Invernizzi. Del resto Mohammed Bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi, già allievo cadetto alla militare accademia di Pozzuoli, ci ha sempre dichiarato grande amore, un po’ come il principe Selim del Turco in Italia (1814), l’opera rossiniana di cui cade il bicentenario quest’anno: «Cara Italia, alfin ti miro/Vi saluto amiche sponde/l’aria il suolo i fiori l’onde tutto ride e parla al cor. Ah del cielo e della terra/bella Italia sei l’amor». Ma al Nahyan è solo l’unico di questi emiri innamorati dell’Italia: al principe saudita Al Waleed bin Talal è stato venduto nel 2009, per 17,5 milioni, il castello di Castagneto Po appartenuto ai Bruni Tedeschi dove si svolgono i fondamentali eventi autobiografici di Un castello in Italia e dove secondo la leggenda la madre pianista Marysa Borini svegliava la piccola Carla Bruni suonando la Marcia turca. Da non confondere con Nostra Signora dei Turchi, il dvd che secondo sceneggiature coraggiose italiane il professore meridionale Lo Cascio utilizzava per sedurre l’altoborghese Valeria Bruni Tedeschi nel solito Capitale Umano, mentre mariti finanzieri scommettevano sulla rovina di questo paese e su rendimenti improbabili (e chissà cosa avrebbe detto Carmelo Bene).

Però la fascinazione italiana per i capitali umani e disumani turchi viene da più lontano, almeno da quando la Fiat non ancora Fca cedette il 10% ai libici della Lafico nel 1976 con grande scandalo delle cancellerie occidentali; e Enrico Mattei pagò molto caro il suo arabismo, cadendo col suo bireattore Morane-Saulnier 760 nei campi di Bascapè. E a fronte di viaggi-Groupon di Enrico Letta per piazzare asset italiani scontatissimi, si ricordano premier molto filoarabi e decisionisti, con alti scontri a Sigonella (1985) e telefonate Craxi-Reagan, oppure invece ambiguità sfrontate molto mediterranee («Se fossi nato in un campo profughi del Libano, forse sarei diventato anch’io un terrorista», Giulio Andreotti). E sempre il colonnello Gheddafi fu salvato da uno dei primi bombardamenti proprio da una telefonata di Craxi, prima della deriva impresentabile e delle amazzoni e delle droghe e del Viagra.

Tra tende e amazzoni, lo sceicco arabo è però un topos sempre ricorrente e affascinante: così in American Hustle l’operazione per incastrare il sindaco italoamericano Carmine Polito si basa sulla realissima operazione Abscam (da “Abdul” e “scam”), tangentopoli americana di fine anni Settanta con i finti sceicchi Kambir Abdul Rahman e Yassir Habib, ansiosi di investire milioni di dollari in America, in realtà agenti Fbi che riuscirono a far dire al sindaco di Camden, Joseph Enrichetti, nato a Napoli, partito democratico, amatissimo, «vi darò Atlantic City», tipo «abbiamo una banca».

Poi, invece, più recentemente, un altro sceicco ma vero, quello del Qatar al Thani, si è comprato un po’ di Italia: soprattutto Valentino e la Costa Smeralda, questa già feudo di un altro sceicco, Karim Aga Khan IV, principe degli ismailiti, inventore del parco a tema sardo, creatore dello stile Lego-provenzale applicato al nuraghe e di un mito turistico corroborato da Travolti da un insolito destino, il film di Lina Wertmüller del 1974. All’emiro del Qatar in Italia viene oggi offerto di tutto, dalla As Roma alla Richard Ginori, con spirito alla Sesso e Volentieri (1982) commedia minore di Dino Risi in cui Johnny Dorelli e Gloria Guida, imprenditori della diportistica navale (oggi distretto molto in crisi) si riducono a cene eleganti con un emiro molto bisex. Ma agli sceicchi non si può vendere di tutto, si sa. Essi prediligono asset simbolici e economici: tra gli ultimi acquisti, e approfittando della super Imu greca che sta rovinando i proprietari, al-Thani ha comprato sei isole in stock tra cui quella di Oxia, 500 ettari nell’arcipelago delle Corzolari (le antiche Echinadi) già teatro della Battaglia di Lepanto (1571), in cui il Turco veniva sconfitta dagli europei. Pare che volesse anche Skorpios, quella degli Onassis con restauro da amatori da parte di Jackie Kennedy, ma lì la trattabilità era molto bassa.