Attualità

Maestri del flop

La rovinosa discesa dei Wachowski da Matrix al disastro di Jupiter: storia di due talenti scombinati e dei loro folli collaboratori.

di Federico Bernocchi

Ogni tanto, ancora oggi, esce uno di quei flop totali, di quelli che rovinano le carriere ai registi o agli attori. Certo, non è più il tempo di quei terremoti inattesi e improvvisi: il famoso I Cancelli del Cielo, il western capolavoro di Cimino in grado da solo di far fallire la United Artists, una delle pietre angolari del cinema, fondata  da Charlie Chaplin, Mary Pickford e Douglas Fairbanks. Da allora Hollywood s’è fatta più furba e, grazie a indagini di mercato approfondite, delineazioni di target precise al millesimo di secondo, ha limitato i danni. Difficile che nel 2015 esca un film in grado di schiantarsi al suolo senza lasciare superstiti. Eppure ogni tanto qualche calcolo risulta sbagliato, entra in gioco un fattore imprevedibile e le cose non vanno come previsto.

200

Nel mio cuore il 2015 rimarrà per sempre l’anno di Jupiter – Il Destino dell’Universo, ultima fatica sul grande schermo per i fratelli Wachowski. Ultima anche nel senso che difficilmente qualcuno darà loro ancora la possibilità di scrivere o dirigere un film per il cinema. Un dato economico per spiegare di quale tipo di disastro stiamo parlando: 176 milioni di dollari di buget per un incasso complessivo di 181. A malapena vengono coperte le spese di produzione. A questo si aggiungono la quasi totalità di recensioni pesantemente negative ricevute dai più influenti critici di tutto il mondo e l’incontrovertibile dato di fatto che Jupiter – Il Destino dell’Universo è di una bruttezza rara, quasi incredibile, spiazzante, ipnotizzante. L’avete visto? Come possiamo definirlo? Vediamo: il tentativo di rifare Matrix sposando la moda delle saghe young adult al femminile come The Hunger Games.  Ecco, una cosa del genere. I riferimenti a Matrix ci sono tutti, vedi la storia dei cattivi che utilizzano gli umani come fonte di energia, ma siamo nel 2015 e non più nel 1999. La protagonista è Mila Kunis, che all’anagrafe è molto più adult che young, soprattutto se la paragoniamo alle colleghe Jennifer Lawrence o alla Shailene Woodley di Divergent. Ancora: Jupiter – Il Destino dell’Universo NON è tratto da una trilogia di libri. Cioè, è stato immaginato come una trilogia cinematografica (fermata dopo il primo capitolo), ma la storia è tutta farina del sacco dei Wachowski. I due dimostrano quantomeno di voler rischiare, azzardare, smarcarsi da un meccanismo produttivo ormai scontato. I problemi cominciano analizzando la loro nuova “mitologia”. La trama del film è eccessivamente complessa (a voler essere buoni), è piena di elementi che sfiorano il ridicolo (a voler essere buonissimi), è vecchia come il cucco (a voler fare un complimento).

Jupiter – Il Destino dell’Universo è di una bruttezza rara, quasi incredibile, spiazzante, ipnotizzante. Cosa diamine hanno fatto i Wachowski?

Pensate alla sequenza in cui Mila Kunis viene riconosciuta come Regina dalle api. Pensate a Channing Tatum vestito da fauno che tenta di far passare come “fighi” nel 2015 i pattini da ghiaccio. Pensate a Eddie Redmayne che pensa di essere un grande attore. Ma come si spiega un fallimento del genere? Come si può arrivare a diventare lo zimbello di chiunque quando, vale la pena ricordarlo, pochi anni prima eri il numero uno assoluto? Cosa diamine hanno fatto i Wachowski per meritarsi tutto questo? E pensare che quasi contemporaneamente i due hanno portato a termine una serie televisiva, Sense8, uscita a giugno per Netflix Us, che non è niente male. Certo, non è perfetta, ha molto difetti, ma se paragonata a Jupiter – Il Destino dell’Universo sembra di parlare di registi differenti. Anzi, molto probabilmente è così: i Wachowski hanno ormai deciso di sdoppiare la loro carriera realizzando in maniera del tutto differente i diversi e numerosissimi progetti che decidono di realizzare. Facciamo un passo indietro. Dopo il terremoto Matrix, hanno dovuto per forza di cose ampliare quel mondo, realizzando Matrix: Reloaded e Matrix: Revolution. I due seguiti hanno deluso il pubblico e la critica del tempo forse perché hanno ingigantito gli elementi che hanno decretato la fortuna del primo capitolo della saga. Coloro che avevano appena scoperto le gioie dei combattimenti di arti marziali in stile Hong Kong, pur diluiti dal trattamento Hollywood e dall’onnipresente bullet time, si trovarono di fronte a sequenze interminabili, appesantite da un uso della computer grafica decisamente troppo invadente. Dalla parte opposta, i fan dell’aspetto filosofico della questione, furono azzoppati da un continuo rilancio da parte degli autori di riferimenti cristologici, messianici ed esoterici. In men che non si dica Matrix passò dall’essere la cosa più innovativa del cinema a un progetto vecchio e invecchiato molto male. La perdita di credibilità da parte dei due registi fu poi a breve confermata da Speed Racer, versione live action dell’omonima serie animata, a sua volta remake dell’anime giapponese Mach Go! Go! Go!

Abbandonati i lunghi cappotti neri, le sparatorie, il kung fu e i fumosi discorsi dell’Architetto, i Wachowski realizzano un film folle e psicotropo, perso tra scimpanzè parlanti, spericolati piloti d’auto mascherati e meccanismi narrativi da cartone animato giapponese anni Sessanta. Una mossa azzardata, coraggiosa, ma che non piacque veramente a nessuno. Un altro dei peggiori incassi della Storia del Cinema, un produttore influente come Joel Silver che li abbandona sciogliendo un contratto che li avrebbe visti collaborare per altri tre anni e la totale perdita dell’affetto da parte del pubblico. Il progetto successivo – che vede i due in veste di produttori – mette quasi tenerezza. Si tratta di Ninja Assassin, del 2009, seconda prova in solitaria del loro vecchio regista delle seconde unità, James McTeigue. Qui ritroviamo tutto il loro mondo – la passione per un certo cinema di genere, riferimenti al mondo del fumetto, la volontà di trattare temi universali attraverso storie semplici – ma la confezione è (fieramente) da film di serie B. Riguardando Ninja Assassin si sente profumo di Odeon Tv, di DVD a 4 euro e 90 lasciati a prendere polvere negli Autogrill, di 3D post prodotto male per non fare la figura dei poverini… Niente di così grave, sia chiaro. Fa solo impressione ritrovare coloro che solo dieci anni prima rivoluzionarono il genere action alle prese con un prodotto così dichiaratamente modesto. Ma è proprio sul set di questo film che i Wachowski conoscono lo sceneggiatore e autore di fumetti J. Michael Straczynski. Parliamo di un uomo in grado di scrivere comics capolavori come The Twelve, ma anche saghe deludentissime come la famigerata Soltanto Un Altro Giorno (Spider-Man). Uno che per il piccolo schermo ha scritto di tutto: dai vecchi cartoni animati di He-Man e i Dominatori dell’Universo agli episodi di Ai Confini della Realtà degli anni Ottanta, da Babylon 5 fino a un episodio di Walker Texas Ranger e un film per la tv de La Signora in Giallo. Per dirvi la schizofrenia della carriera di Straczynski: l’anno precedente a Ninja Assassin, firma lo script di Changeling, il film di Clint Eastwood. Due mondi cinematografici produttivamente parlando talmente distanti non si possono immaginare.

Tra i Wachowski e Straczynski scatta qualcosa. C’è intesa, c’è comunione di intenti, c’è la volontà di fare qualcosa di grosso insieme. Il passaggio successivo è l’inserimento nella panchina lunga dei Wachowski di un altro strano soggetto: Tom Tykwer. Forse vi ricordate di lui per la regia di film come Lola Corre, La Principessa + Il Guerriero e soprattutto Profumo – Storia di un Assassino, azzardatissima trasposizione cinematografica di Il Profumo di Patrick Süskind. Un regista europeo piuttosto folle, molto poco convenzionale e con uno strano rapporto di attrazione/repulsione con Hollywood. Insieme a lui i Wachowski realizzano nel 2012 il film della loro svolta, Cloud Atlas. Un progetto folle, pretenziosissimo, eccessivamente complesso e cervellotico. Sei storie ambientate in sei epoche differenti, collegate dal fato, dal destino, da un disco e dal fatto che i diversi personaggi sono interpretati sempre dagli stessi attori, travestiti nei modi più folli possibili. Un pasticcio dichiarato e voluto, colpevole di voler mescolare senza ritegno i generi cinematografici più distanti tra loro, il melò e la fantascienza o l’action e una storia di pirati. Tykwer e i Wachowsky scrivono e si dividono la regia delle diverse sequenze e storie. Il risultato è totalmente discontinuo ma assolutamente affascinante: la volontà di mescolare le diverse storie e i piani temporali permette ai registi di avvalersi di scelte di montaggio inaspettate e folli, creano dei raccordi molto spesso stupefacenti. Inutile nascondersi dietro un dito: spesso Cloud Atlas cade nel ridicolo ma quando tutte le tessere di questo folle puzzle cadono al posto giusto, non si può fare a meno di esaltarsi.

Sense8, serie televisiva che vede finalmente insieme, con diversi compiti, i Wachowski, Tykwer, Straczynski e McTeigue, è la perfetta somma di questa lunga storia. Ci sono otto persone sparse per il mondo che hanno in comunque qualcosa di unico. Non si conoscono, non si sono mai visti, ma i loro destini sono legati l’uno con l’altro. La cosa che rende unica questo tipo di storia – a dire il vero non proprio originalissima sulla carta – è il modo scelto per raccontarla su piccolo schermo. Ogni personaggio, quando si trova di fronte a scelte o momenti importanti della propria vita, entra in contatto mentale, verrebbe da dire telepatico, con uno o più degli altri otto. Avviene quindi una sorta di scambio mentale, di transfer, che mescola le carte in tavola. Il punto di forza della serie, come già in Cloud Atlas, è il modo con cui questi “scambi” vengono visualizzati: si insiste su esperimenti di montaggio molto rischiosi che, oltre ad azzardare dal punto di vista formale, mettono a dura prova la capacità dello spettatore di capirci qualcosa, soprattutto nei primi episodi.

Avete presente quel vostro amico invecchiato male che ancora oggi quando mette un disco per fare atmosfera mentre siete a cena da lui vi propina i Mad Season o Tori Amos?

Oltre a questo si nota la volontà degli autori di alzare l’asticella dal punto di vista della sceneggiatura, approfittando anche del fatto di essere in televisione e per di più su un canale come Netflix. Per cui in Sense8 si spinge sull’acceleratore su alcuni dei temi cari ai Wachowski: Lgbt, personaggi transessuali, fellatio paragonate ad esperienze religiose, parti ripresi in primo piano, religione, spiritualità, amore libero, politica, cospirazioni. Tutto questo viene frullato in dodici puntate godibilissime, ben strutturate (la gestione di otto storie parallele ma allo stesso tempo tangenti, dislocate su otto location differenti, non è proprio di facile gestione) che ci riportano i fratelli Wachowski in forma con non li trovavamo da tempo. Certo, c’è sempre l’impressione che tutti i cervelli in campo siano fermi agli anni Novanta, a quel tipo d’immaginario, a quelle storie e a quello stile. Avete presente quel vostro amico invecchiato male che ancora oggi quando mette un disco per fare atmosfera mentre siete a cena da lui vi propina i Mad Season o Tori Amos? I Wachowski sono esattamente così. E questo è forse l’aspetto più deleterio del loro lavoro. Ma dalla loro hanno un’onesta disarmante: le infinite discussioni su l’Amore – quello con la A maiuscola – che ci sono sia in Cloud Atlas sia in Sense8 non possono lasciare indifferenti e la loro costruzione del set, la volontà di creare un mondo coerente in cui poi andare a costruire sequenze complessissime come l’orgia telepatica o la sparatoria presa in giro di Matrix è ancora di primissima categoria. Resistete, Wachowski. Resistete.