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Lo Hobbit

Forse il fantasy ha perso appeal, forse il 3D ad altissima risoluzione non ha ancora un pubblico adatto: dubbiosa recensione sull'ultimo Jackson.

di Federico Bernocchi

Lunedì sera a Milano, grazie a Studio Sottocorno, c’è stata l’anteprima de Lo Hobbit – Un Viaggio Inaspettato, il nuovo film di Peter Jackson tratto dall’omonimo libro di J.R.R. Tolkien. L’uscita ufficiale italiana è prevista per domani giovedì 13 dicembre (per una volta non ci possiamo lamentare visto che esce in tutto il mondo tra il 12 e il 14) e, anche se si prepara molto probabilmente ad essere il maggior incasso natalizio, ci sarà di che discutere. Premessa necessaria: chi scrive non ha mai letto Lo Hobbit. Anzi, peggio. Ci ha provato in tenera età, ma lo ha poi abbandonato, decidendo che il genere fantasy – letterariamente parlando – lo annoia abbastanza. Ancora: chi scrive ha trovato però divertente, se non addirittura entusiasmante, la trilogia di film di Jackson tratta da Il Signore degli Anelli. Lo dico per correttezza perché, come sapete, c’è poco da scherzare quando in ballo c’è un creatore di mondi come Tolkien. Qui, a differenza di altri film tratti da opere letterarie, il rispetto nei confronti dell’opera originale è un elemento necessario, pena il disprezzo e l’odio della vastissima fan base.

Vi faccio un piccolo esempio: m’è capitato di parlare con Pino Insegno che ha dato la sua voce a Aragorn nella trilogia de Il Signore degli Anelli. Ora, come comico Pino Insegno (mi) fa meno ridere di un debito con la mafia russa, ma come doppiatore è molto bravo. I tolkeniani duri e puri però inizialmente non la pensavano in questo modo e hanno tempestato di mail di protesta l’attore e la produzione italiana, chiedendogli di cambiare idea e di scegliere una voce “più seria”. Una volta però visto il risultato finale si sono ricreduti, invitando poi Insegno a cene ufficiali per ringraziarlo per il lavoro svolto. Ripeto: non si scherza. Però, come detto, visto che chi scrive ha dovuto controllare come si scrive Aragorn, non chiedete a me se questo nuovo film di Jackson è uguale al libro.

Mi posso sbilanciare dicendo che ovviamente, come già nei tre film precedenti, la cura per i set e i dettagli scenografici è impressionante e che molto elementi hanno una chiara discendenza letteraria, ma in questo Lo Hobbit c’è qualcosa di evidentemente differente e nuovo. Il testo originale è comunque un testo differente rispetto a Il Signore degli Anelli; meno serioso e oscuro, Lo Hobbit è un libro per ragazzi: il tono è molto meno cupo, ci sono momenti apertamente comici e – addirittura – molte canzoni. Jackson s’è trovato dunque tra incudine e martello. Da una parte ha dovuto rispettare questa nuova aria, ma dall’altra ha dovuto tracciare una continuità con quanto fatto con i tre film precedenti. Il risultato è un impacciato inizio quasi disneyano che poi lentamente scompare per far apparire il tutto come il quarto capitolo de Il Signore degli Anelli.

Ma i problemi non finiscono qui. Già perché di problemi parliamo: Lo Hobbit infatti – tanto vale dirlo – per ora non sembra aver convinto il pubblico. Le prime recensioni sono tutt’altro che entusiastiche e in tanti si aspettano addirittura un doloroso flop. E, anche se personalmente la cosa mi sembra difficile, gli indizi ci sono tutti. La storia produttiva di questo film non è stata per nulla semplice: s’è cambiato regista praticamente in corsa (dietro alla macchina da presa doveva esserci Guillermo del Toro, rimasto poi tra gli sceneggiatori) e dall’adattare un libro di 200 pagine in due film, s’è passati a una nuova trilogia fatta da pellicole di tre ore ciascuna. E poi c’è l’elemento più importante: non so se ve ne siete accorti anche voi, ma sembra che a nessun freghi molto di tornare nella Terra di Mezzo.

Mentre per Il Signore degli Anelli s’era scatenato un hype mostruoso, mentre Game of Thrones ha avuto il merito di far appassionare tutti a lunghe saghe fantasy piene di draghi e di gente con un’ascia bipenne sempre nella mano destra, de Lo Hobbit erano in pochi a sentirne l’esigenza. Non c’è più l’effetto sorpresa, ormai sappiamo già cosa aspettarci dal punto di vista visivo e nel frattempo, come abbiamo detto qualche settimana fa, le favole dark e fantasy hanno quasi saturato il loro spazio nel mercato cinematografico. Forse è solo una sensazione, ma mi sembra che la stroncatura de Lo Hobbit fosse dietro l’angolo, covata da una certa prevenzione e un certo menefreghismo. E il fatto che manchino ancora due film, che usciranno rispettivamente nel 2013 e nel 2014, è una di quelle cose che non mette certo il buonumore. Può anche essere che Lo Hobbit abbia il merito (o la colpa, scegliete voi) di far tornare il fantasy un affare per pochi, un genere per iniziati e per appassionati. Questo ve lo potrò dire soltanto il tempo e i risultati che i film otterranno al botteghino. Quello che è certo è che anche questo elemento non gioca a favore del film. E poi c’è la questione tecnica.

E qui si apre a mio avviso l’aspetto più importante e interessante de Lo Hobbit. Il film è stato girato in 3D e a 48 fotogrammi al secondo (esattamente il doppio di quelli utilizzati normalmente al cinema). E il risultato com’è? Bè, è una cosa nuova. Una delle frasi più belle che abbia mai letto per quanto riguarda l’evoluzione degli effetti speciali, l’ha scritta Roy Menarini nel suo bel libro Il Cinema degli Alieni edito da Falsopiano nel 2002. Dopo una lunga disamina delle nuove conquiste tecnologiche dell’epoca, capaci di aumentare la nostra soddisfazione di fronte a pellicole sci-fi, concludeva scrivendo: “Con la consapevolezza che ancora non abbiamo visto niente”. Peter Jackson fa parte di quel ristretto manipolo di registi interessati a modificare per sempre il Cinema. Anche lui, come James Cameron, come Richard Taylor e Joe Lettieri, i cervelli dietro la Weta Digital, è convinto che ancora non abbiamo visto niente e che il Cinema, dal punto di vista tecnico, sia un territorio in parte ancora inesplorato.

I 48 fotogrammi per secondo sono una vera novità e rappresentano la più evidente innovazione tecnica da un bel po’ di tempo a questa parte. In primo luogo questa scelta serve a rendere utile e guardabile il 3D. Le immagini tridimensionali sono finalmente ben definite e luminose e l’effetto stereoscopico è decisamente amplificato. E poi, ovviamente, si ha davanti agli occhi dei fotogrammi mai così definiti. Non esiste più nessuna sfuocatura ai bordi dell’immagine o in profondità di campo anche nelle immagini in movimento e raddoppia quella sensazione che abbiamo provato la prima volta che abbiamo visto qualcosa in HD. Quello che si legge in giro in varie recensioni è vero: Lo Hobbit visto in 3D e a 48fps ci dà la sensazione di essere lì sul set. Ma questo è un bene o un male?

Avete mai visto un televisore HD settato male? La sensazione è straniante: sembra venire meno quel magico filtro alla base del cinema, quella sua capacità di farci vedere come bello qualsiasi cosa. Su un televisore HD settato male tutto sembra finto, come fatto di cartone. Ovvero, vediamo le cose come realmente sono sul set. Nelle sequenze in esterna iniziali de Lo Hobbit si ha esattamente questa sensazione: sembra di guardare il film del matrimonio di nostro zio girato con una camera amatoriale. I bianchi sono praticamente bruciati e la fotografia risulta talmente “naturale” da sembrare quasi inesistente. Siamo lì con loro sul set, ma in un film in cui il personaggio più simile a un umano è un mezzuomo con i piedi lunghi e pelosi e le orecchie a punta, non è un bene. L’eccessiva definizione delle immagini e il loro essere più reali del reale paradossalmente non permette allo spettatore di entrare nel film. Spesso si ha l’impressione di guardare uno spot promozionale del Trentino Alto Adige o di assistere a una di quelle ricostruzioni storiche che si tengono in qualche paesino del piemontese. Il cappello indossato da Gandalf non è più qualcosa di magico e inafferrabile, ma un evidente costume di scena con tanto di cucitura in evidenza. E sapete dove solitamente succede questa cosa? Nelle soap opera.

C’è però il rovescio della medaglia: quando il film si sposta in interni o in set più costruiti e soprattutto si riempie di creature digitali, diventa assolutamente splendido. L’interazione tra esseri umani e mostri di pixel non è mai stata così reale e c’è del vero stupore. Quello che in esterno non sembra ancora essere funzionante, in interni dà il massimo. In questo senso Lo Hobbit è realmente un’esperienza visiva unica e inedita.

Vi ricordate quando ci hanno raccontato che una cosa come Avatar non l’avevamo mai vista e poi una volta usciti dal cinema ci siamo sentiti un po’ presi in giro? Ecco, questo non è il caso. Nel bene o nel male questa tecnica – portata avanti da James Cameron che la utilizzerà proprio per Avatar 2 – è qualcosa di nuovo, qualcosa che non abbiamo ancora visto su grande schermo. La rivoluzione dei 48 fps forse ci trova impreparati o forse non è ancora del tutto pronta per colpirci con tutta la sua intensità, ma è chiaro che quello che abbiamo davanti agli occhi è un modo nuovo di intendere il Cinema, sia dl punto di vista realizzativo che dall’ottica del fruitore. Molto probabilmente sarà il futuro del cinema, diventerà lo standard con cui i film verranno girati, poi diventerà una tecnica obsoleta e verrà infine abbandonata o sorpassata da qualcos’altro. Ma oggi è la novità ed è lì da vedere. Per la prima volta.