Attualità

Il libraio senza luce

La storia dell'unica libreria senza corrente elettrica e con orari di apertura che dipendono dall'illuminazione naturale.

di Lorenzo Pedrazzi

La luce non è più quella vibrante dell’estate, ma nella libreria Bookaccio del signor Daniele M. la visibilità è ancora buona. Siamo a metà pomeriggio di un venerdì d’autunno, l’aria è serena, e dall’esterno il negozio appare insolitamente buio, come se fosse in procinto di chiudere o avesse subìto un improvviso blackout. Ma è aperto, e lo sarà finché il bagliore del giorno si mostrerà clemente: l’assenza di energia elettrica costringe l’avventuroso libraio ad affidarsi soltanto alla luce naturale che filtra dalle vetrine.

Ci troviamo a Milano, in via Altamura 1, zona San Siro. È il quartiere sportivo della città (lo stadio di calcio, l’ippodromo e molte altre strutture sono dislocate da queste parti), ma soprattutto è un punto d’incontro fra case popolari e palazzi signorili, immigrazione magrebina e vecchi milanesi che ancora rammentano la leggendaria rapina di via Osoppo, fonte d’ispirazione per L’audace colpo dei soliti ignoti. Daniele non era ancora nato, ma ricorda bene quando «in ogni via c’erano due negozi per tipo: due panetterie, due salumerie, due fruttivendoli, due pollerie… tutto sparito». All’epoca, la festa del centro culturale Rosetum animava il quartiere negli ultimi giorni di settembre, mentre oggi le sue ambizioni si sono nettamente ridimensionate: meno bancarelle, meno visitatori, e ancor meno clienti che varcano la soglia di Bookaccio.

Eppure si tratta dell’unica libreria nelle vicinanze: posizionata fra un bar e un negozio cinese, Bookaccio vende solo libri usati, ed è stata aperta da Daniele tre anni fa, quando il suo mestiere di farmacista non lo soddisfaceva più. Qui un tempo c’era un negozio di articoli sportivi, ma lui ci ha visto l’opportunità per una libreria, così ha investito i suoi risparmi e ha comprato il locale. «Forse ho fatto una fesseria», mi racconta mentre gira fra i tavoli con passo imprevedibile. «Nella vita ci sono dei momenti in cui viviamo uno scarto, ti si rompe qualcosa che magari fino a un certo momento aveva funzionato, e poi dopo non va più. In vita mia di lavori ne ho fatti cinque o sei, poi mi sono stancato. Anche il farmacista, perché ho smesso di farlo? Perché non mi andava più. L’ho fatto per almeno quindici anni, è stato il mio lavoro più lungo. E comunque, ho cambiato quattro o cinque farmacie. Ci sono quelli che invece trovano la farmacia giusta e stanno lì trent’anni, ma non è il mio caso. In quindici anni avrò cambiato quattro farmacie».

Alto e snello, porta sempre un marsupio che gli fa da cassa: «Ho lavorato come farmacista dai 40 ai 54 anni», prosegue, «e poi ho fatto questa cosa perché… non perché spinto da chissà quale idea, eh? Era un po’ un investimento, mi piaceva il posto, mi piaceva il locale, mi piaceva l’idea che mi frullava in testa, quella dei libri, perché ne avevo un po’ a casa». Ora, però, Daniele si sente frenato dalla sua stessa inerzia: niente corrente elettrica (troppo costosa), niente telefono, niente riscaldamento, niente internet. Ha un cellulare – regalo di sua sorella – ma lo tiene sempre a casa. È un uomo caratterizzato da un pragmatismo che lo spinge a rifiutare qualunque idealizzazione del suo operato. Tuttavia, non si può fare a meno di cogliere una nota romantica in questo libraio che lavora senza corrente elettrica.

Window Shopping

«Sfrutto la geotermia», mi spiega, «poiché qui fa caldo d’inverno e fresco d’estate, per come sono disposti i locali». Ma il negozio è favorito anche dall’esposizione al sole: «Da maggio a settembre, qui la mattina c’è moltissima luce». Indicandomi il cielo oltre le vetrine, mi dice che il sole sorge esattamente in faccia alla libreria, poi si “sposta” verso sud e, in estate, c’è una luce riflessa fino alle nove e mezza di sera. «E comunque di mattina c’è luce anche d’inverno», sottolinea con decisione. In effetti, il negozio si affaccia grossomodo a est.

Mi torna in mente il vecchio Méliès nel suo studio di Montreuil, dove i tetti in vetro catturavano la luce del giorno per le riprese dei suoi tableaux vivants. E, come il grande cineasta delle origini, anche Daniele deve adattarsi alle stagioni. «Quest’inverno, solitamente facevo la mattina e magari anticipavo un po’ la chiusura. Restavo aperto dalle 9 alle 13, e poi dalle 15 alle 16.30». Ma per l’imminente stagione fredda la sua strategia potrebbe cambiare: «Quest’anno», dice, «pensavo di arrivare più tardi e intercettare quelli che sono in giro all’ora di pranzo, quindi fare dalle 10.30 alle 16.30». Orario continuato, perché «magari a quell’ora passa qualcuno ed entra, se è aperto».

I libri sono stipati ovunque: ce ne sono fra 3.500 e 4.000, suddivisi per genere (poesia, gialli, animali, filosofia…) e talvolta per editore o collana, tant’è che tutti gli Adelphi e tutti i Supercoralli sono raggruppati insieme. La monumentale Enciclopedia Treccani del 1958-1960 occupa invece il suo mobile originale, un armadio in noce con i vetri molati. «Questa qua era un investimento» mi dice Daniele, che un tempo avrebbe potuto liquidare l’intera enciclopedia a 800 euro, mentre «ormai non si vende più neanche a 400». Treccani a parte, le chicche abbondano: c’è un volume autografato da Giuseppe Berto, e altri preziosi reperti come una copia de Il Gattopardo nella prima edizione dell’Universale; i manuali della Ubaldini risalenti agli anni Sessanta (La ricerca di Dio, Yoga pratico, Lo Zen, «libri che all’epoca costavano anche 20.000 lire»); la Nuova enciclopedia dei lavori femminili edita da Mani di Fata; e la collana Vita degli animali di A.E. Brehm, «con bellissime fotografie in bianco e nero».

Schoolboys Library

Noto anche una vecchia edizione de Le meraviglie del possibile, storica antologia di fantascienza curata da Sergio Solmi e Carlo Fruttero, e un Ritratto di Dorian Gray del 1940 che riporta un prezzo commovente, 1 lira e 20. La vista di questo volume gli fa tornare in mente un signore che collezionava proprio il romanzo di Oscar Wilde: ne aveva una trentina di edizioni, ma ora si trova in una casa di cura a Mantova o Modena, Daniele non ricorda bene. «Se l’avessi avuto all’epoca – è passato più di un anno – avrebbe fatto follie», mi confida.

Gli faccio notare la recente diffusione delle librerie dotate di caffetteria (a Milano ce ne sono alcune molto popolari), ma lui non ne è convinto: «Le librerie-caffetterie si riducono ad avere quattro libri in croce», ribatte, «Sono più che altro dei luoghi di aggregazione». Daniele vorrebbe che anche Bookaccio diventasse un luogo di aggregazione, caffetteria esclusa. «Purtroppo non riesco a sfruttarlo per il quartiere», si lamenta, spiegandomi che qualche lampadina e un generatore potrebbero ovviare all’assenza di luce elettrica. In tal modo, la libreria potrebbe ospitare dei reading o qualche altro evento, ma finora nessuno – nemmeno quelli che, passando, hanno mostrato un vago interesse – gli ha mai presentato un’idea concreta. Daniele, però, cerca di mettersi a disposizione del quartiere in altri modi, unendo l’utile al costruttivo: «A volte lascio un po’ di libri all’angolo tra via Altamura e via Osoppo, oppure li do al bar sotto casa mia per il book-crossing. Tempo fa è passato un tizio, mi ha indicato la cabina telefonica qui davanti e mi ha detto: “Guardi che lì c’è una scatola piena di libri”. L’avevo messa io».

Lo stesso equivoco si verifica di fronte ai miei occhi, quando un ragazzo di origini sudamericane entra in negozio con uno scatolone di libri fra le braccia, e chiede a Daniele se vuole comprarli: era stato proprio lui ad abbandonarli sul marciapiede opposto, contando d’incuriosire qualche lettore. In compenso il ragazzo ci guadagna un lavoretto, e nei prossimi giorni aiuterà il libraio a spostare varie cose in magazzino. Anche questo, in fondo, significa mettersi a disposizione del vicinato. «In agosto ho dato via due o trecento volumi», mi dice Daniele, ripensando ai libri che ha seminato nel quartiere. La speranza è che i passanti, incappando in uno di quegli scatoloni, ne seguano le tracce fino alla bizzarra libreria che sorge sull’altro lato della strada, dove la luce diventa sempre più tenue con l’approssimarsi della sera.

 

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