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L’estate è la tomba del cinema

Cinema chiusi e distributori che non vogliono rischiare l’effetto gita al mare: trovare un film decente in questi mesi è un’impresa. Andrebbe ripensato di sana pianta tutto quello che finora sapevamo sulla distribuzione dei film. E non solo in estate.

di Mariarosa Mancuso

L’esperienza insegna a riconoscere i segnali. Un film è una bufala – potete contarci, le eccezioni sono rare – se non viene organizzata una proiezione per i critici (era la politica adottata da Aurelio De Laurentiis per i cinepanettoni Natale a… diretti da Neri Parenti, con la crisi degli incassi sono arrivate anche le anteprime). È una bufala se la data d’uscita viene rimandata di continuo. Un esempio recente è Grace di Monaco di Olivier Dahan: ha aperto il Festival di Cannes 2014, già nel 2013 i Grimaldi avevano preso le distanze. È una bufala – diciamo noi, gli americani dicono “turkey” e i francesi dicono “navet” come rapa – se negli Usa esce a gennaio: cast e regista di richiamo fanno in questo caso da aggravante. Basta ricordare Labor Day di Jason Reitman, con Josh Brolin e Kate Winslet. Sulla carta sembrava un bel trio. La melensaggine della vicenda – vedova con figlio ostaggi di un evaso, prima brusco e poi quasi amoroso – ha tenuto lontani gli spettatori che avevano amato Juno e Tra le nuvole. La maledizione deriva dal fatto che dicembre negli Usa è il mese dei blockbuster, dei film per famiglie, dei titoli in corsa per l’Oscar. Gennaio serve per far posto nei magazzini, in attesa di Cannes e della stagione più ricca, che in quel paese fortunato coincide con l’estate.

Quando da noi i cinema sono desolatamente chiusi – provate a contare i “riposo” nella pagina agostana dei cinema di Milano, c’è da disperarsi e da accendere un cero ai multisala. Gli americani godono di Jupiter Ascending di Andy e Lana Wachowski (gli stessi di Matrix, solo che allora Lana si chiamava Larry) oppure di Jersey Boys, primo film musicale di Clint Eastwood. Noi a stecchetto, mentre i cinema francesi e gli spagnoli, parlando d’Europa, non chiudono per ferie. In Italia li vedremo in periodi più propizi del nostro calendario stagionale, peraltro ormai ridotti al lumicino. In principio era un cinepanettone soltanto, con la coppia Boldi-De Sica, a occupare militarmente le sale a dicembre. Dopo la separazione, i film natalizi son diventati due. A crescere: Fabio De Luigi e Claudio Bisio si ficcano nel piatto ricco. Si inventano altre cine-ricorrenze: i cine-sanvalentino, le cine-colombe, i cinecocomeri con una sovrapproduzione degna di tempi migliori, quando al cinema si andava – se non tutti i pomeriggi come Italo Calvino: «Ci sono stati anni in cui il cinema era per me il mondo» – più volte a settimana. Molti i tentativi per invertire la tendenza. Con scarsi risultati e un rimpallo di responsabilità. La gente quando fa caldo preferisce andare al mare, sostengono i distributori, che quindi sono restii a investire su titoli estivi capaci di richiamare gli spettatori.

Risultato: un circolo vizioso che danneggia tutti. Se i film interessanti non escono, gli spettatori mai cambieranno abitudini (in Italia basta un fine settimana di sole o di pioggia per influenzare gli incassi di un film). Capita così che i titoli di Cannes arrivino in sala quando un altro festival di Cannes è alle porte. Ultimo caso, il bellissimo film di Jim Jarmusch con la vampira Tilda Swinton, Solo gli amanti sopravvivono (possibile che dopo l’orgia di Twilight i succhiasangue non li voglia più nessuno?).

Tutto quel che finora sapevamo sulla distribuzione dei film va ripensato di sana pianta.

In coincidenza con le prime scampagnate, dall’8 al 15 maggio c’è stata la Festa del Cinema con il biglietto a tre euro. Tutti sappiamo che gli sconti si fanno in bassa stagione. E sappiamo benissimo che gli sconti attirano quando sono veri. Non quando escono in sala pellicole di poca attrattiva, senza pubblicità, utili per liberare i magazzini e per le “uscite tecniche”: il giretto in sala fatto non per incassare ma per vendere meglio il film alle Tv. Tutto quel che finora sapevamo sulla distribuzione dei film va ripensato di sana pianta. Gli americani lo riconoscono, gli europei e gli italiani ancora no. Il film semiporno di Abel Ferrara su Dsk, Welcome to New York, per volontà del produttore Vincent Maraval di Wild Bunch era scaricabile a pagamento da iTunes e altre piattaforme. Avrebbe raccattato spettatori anche in sala, visto il battage. Sta di fatto che l’uscita contemporanea nelle sale e in Vod (sta per Video On Demand) è vietata dalla legge francese. In Italia esistono le cosiddette “finestre”, i mesi che devono passare tra l’uscita in sala, l’uscita in Dvd, l’uscita sulle Tv a pagamento, l’uscita sulla Tv in chiaro.

Da qui il paradosso: l’incontro tra certi titoli e gli spettatori interessati viene ostacolato, mentre la crisi suggerirebbe di facilitarlo. Queste sono le vere strettoie distributive, e ne sono vittime soprattutto i film che hanno bisogno del passaparola o del tweet. Se uno spettatore vuol vedere Locke di Steven Knight, e sciaguratamente per lui abita in un paese monocinema o monosala che non lo proietterà mai, perché non dargli la possibilità di scaricare il film a pagamento? Subito, però: quando i milanesi e i romani lo vedono al cinema, quando se ne parla, quando va in onda la pubblicità, quando i social ne chiacchierano. Siamo sicuri che nessuno ne uscirebbe danneggiato, e calerebbe anche la pirateria.

 

Dal numero 20 di Studio

Nell’immagine, un fotogramma da Caro Diario di Nanni Moretti