Attualità

L’effetto Pisapia (o biografia)

di Alberto Piccinini

PISAPIA, Giuliano. Questa rubrica si occuperebbe di ritratti. Ritratti contemporanei. Biografie ai tempi della Rete. Quindi non può ignorare l’”effetto Pisapia”. Sapete di che si tratta, immagino. Riporto gli ultimi post pubblicati sul gruppo facebook “E’ tutta colpa di Pisapia”: “Pisapia acceca gli aeroplani col laser”; “Pisapia ti gira la macchina parcheggiata in strada parcheggiata a senso unico per farti ripartire contromano”; “Pisapia avvisa i vigili quando parcheggi in divieto di sosta”; “Pisapia ha sparato a Kurt Cobain”; “è tutta colpa di Pisapia se mi sono iscritto a questo gruppo”. Eccetera.

In buona sostanza, la biografia esplosa di Pisapia è una specie di versione italiana di quella di Chuck Norris, star indiscussa delle leggende da Rete. Oppure, la sceneggiatura di un film catastrofico e complottando di serie Z. Il che lascia ben sperare. Ride bene che ride ultimo, aggiungerà qualcuno. Citando Nereo Rocco: “Che vinca il migliore. Cioè noi” (ma era Rocco poi? Chissà?). E poi, come sapete, non è colpa di Pisapia. È colpa della Moratti e dei suoi raffazzonati spin doctor, degni testimoni della decadenza della politica italiana, anche nel momento più importante nonostante tutto, quello delle elezioni.

Nel gergo della politica americana, la polpetta avvelenata da campagna elettorale si chiama “oppo”. E’ un abbreviazione di “opposition research”, “ricerca sull’opposizione”. Praticamente c’è gente – liberi professionisti, bounty killer diciamo – che di mestiere frequenta archivi, biblioteche, uffici delle tasse e simili in tutto il Paese, unge e blandisce quel che c’è da blandire, torna a casa con le prove di una cazzata fatta in passato dall’avversario politico, e la gira allo staff del Capo che deciderà quale uso farne. Del tipo: “è stato amnistiato per il furto di un furgone”. Chiaro, no?

Il fatto è che nel sistema uninominale, nell’era della personalizzazione della politica – questo ce lo spiegano da almeno vent’anni – l’antropologia e la psicologia del candidato hanno finito per assumere una rigidità addirittura prefreudiana, pre-politica, da schedario di polizia, pre-Ris, pre Csi, pre-tutto. E’ triste, ma siamo ancora alla prevalenza del “precedente” se non del “pre-giudicato”. Che funziona così: se hai tentato di rubare un furgone a trent’anni, perché a sessant’anni non potresti essere tentato di rifarlo? Oppure, tradotto in politica: se hai bazzicato i terroristi a trent’anni perché a sessant’anni non potresti essere tentato di bazzicarli di nuovo?

Dico questo perché il punto di svolta della campagna elettorale milanese è stato l’uso da parte della Moratti di un “oppo” avvelenatissimo, oltreché sleale, contro il suo avversario. Sleale perché del tutto incompleto e perché scagliato in un faccia a faccia fuori tempo massimo, quando una replica sarebbe stata impossibile. Un uso talmente maldestro e furbastro da aver fatto crollare il castello di carte prima ancora di finirlo. Ma, ancora, se hai come spin doctor la Santanchè, Sallusti e Red Ronnie, che ti aspetti?)

La storia la sanno tutti. Accusare Pisapia –  che fa l’avvocato, ha i capelli bianchi, una faccia passabile – che è stato “un ladro di furgoni”, è un’enormità folle. A prescindere. Non posso non pensare che il consiglio dato alla Moratti sia stato: “sparala grossa, confida sull’effetto sorpresa, coprirà il fatto che stai dicendo una cazzata”. Per rimanere sul punto: il fatto che il figlio di Letizia Moratti si sia costruito la sua “casa di Batman” in un ex edificio industriale, in spregio alle regole edilizie dello stesso Comune guidato da sua madre, con il forte sospetto di qualche tipo di omissione di controllo, è al contrario una roba normale da usare in campagna elettorale. Ma il furgone no: è una cazzata grande come una casa.

Lo abbiamo saputo dopo: Pisapia non sarebbe stato proprio un ladro di furgoni, ma un organizzatore della cosa, anzi no, il padrone di casa dell’appartamento dove si sarebbe svolta una riunione che avrebbe dovuto organizzare una spedizione punitiva contro il militante di un partitino extraparlamentare, spedizione punitiva che non si è svolta perché la polizia fermò il furgone rubato arrestando l’autista, che non era certo Pisapia, il quale come risulta quel giorno a Milano proprio non c’era. E Pisapia è stato effettivamente indagato, rinviato a giudizio, scagionato da una parte delle accuse, amnistiato per altre, infine scagionato da qualsiasi accusa con tante scuse in una ripetizione del processo.

A parziale discolpa degli spin della Moratti si aggiungerà che le elezioni (almeno quelle italiane) sono un momento nel quale le leggi della comunicazione sembrano improvvisamente abolite. Nella vita si cambia idea su un sacco di cose, questo lo sanno tutti. E anche: la vita ti cambia. La vita cambia. E anche questo lo sanno certamente gran parte degli elettori. Le biografie non sono dei film, neppure dei romanzi: non possono aspirare alla coerenza narrativa e/o etica, se non a posteriori. Molto a posteriori. Al limite, detto col più minimo dei comun denominatori: “Comunque era un brav’uomo”.

Conclusione: Pisapia, a trent’anni o giù di lì, frequentava la sinistra extraparlamentare. Era un “estremista”. E allora? Un taxista di sinistra cinquantenne che ho incontrato a Milano – odio citare i taxisti, ma il taxista di sinistra è di buon auspicio – mi ha fatto notare che la parole della Moratti su chi negli anni ’70 era moderato, e chi no, avrebbero provocato l’effetto contrario: quello di ri-motivare al voto gli ex non-moderati. E’ una spiegazione interessante. In effetti, nella fascia 45-55 anni, forse anche per questo improvviso rigurgito di gioventù, il voto a Pisapia sovrasta di gran lunga quello alla Moratti.

Ecco. Questo lo chiamerei “effetto biografia”.

Scusate, un virus creato ad arte da Pisapia mi ha fatto perdere l’altra metà di questo pezzo.