Attualità

Lavorare ovunque

Un rapporto certifica che nell'Unione europea sempre più persone lavorano da casa o sono continuamente reperibili: un giro di voci su rischi e vantaggi.

di Francesco Longo

Lavorare da casa rende liberi, almeno quando non rende schiavi. Le nuove tecnologie hanno un impatto aggressivo sulla cultura del lavoro, modificando comportamenti, professioni, stili di vita. Si è passati dal telelavoro – un lavoro che potrebbe essere svolto in azienda e invece viene svolto da casa – allo smart working: lavori che si svolgono al di fuori delle sedi aziendali, caratterizzati da flessibilità di orari e di sede, con un grande uso di strumenti informatici e senza una postazione fissa. Se da un lato il lavoro si è sempre più frammentato, dall’altro con uno smartphone in mano si può lavorare a qualsiasi ora e da qualsiasi luogo, con il risultato che si vanno sgretolandosi definitivamente i confini tra sfera lavorativa e quella privata.

Secondo il rapporto del 2017 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) e della Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) il 17 per cento dei lavoratori dipendenti dell’Unione europea è impegnato in lavori in cui si utilizzano le nuove tecnologie per lavorare al di fuori dei luoghi di lavoro. Il rapporto si chiama “Working anytime, anywhere: The effects on the world of work”.

Ma com’è lavorare senza un ufficio? Si sta meglio o peggio? «In ospedale, durante il travaglio della mia prima figlia – mi racconta Marta, che lavora come ufficio stampa – sulla lettiga mi chiama il mio capo: «Ci serve la mailing list per mandare un comunicato». Io tra una contrazione e l’altra ho chiesto a mio marito di girargli la mailing list dal mio cellulare con la consueta frase «ma sì, non c’è problema». Poter lavorare da casa è ancora considerata una condizione privilegiata. Orari flessibili, nessuna perdita di tempo per raggiungere l’ufficio, minore contatto con colleghi e capi. Secondo questo recente rapporto sulle nuove tipologie di lavoro però – non a caso si intitola Lavorare sempre e ovunque: gli effetti sul mondo del lavoro – non mancano le controindicazioni: l’orario di lavoro si può prolungare troppo, l’intensità aumenta, e soprattutto i dati dicono che crescono stress e insonnia.

Le persone che lavorano da casa lo fanno per scelta? Come si organizzano le giornate? Enrico fa il grafico a Berlino: «Inizialmente è una situazione temporanea che poi per pigrizia trasforma il tuo salotto nel tuo ufficio». Secondo Enrico, lavorare da casa vuole dire lavorare meno «ma meglio, la solitudine casalinga porta ad essere molto più critici sulla qualità del proprio lavoro». I vantaggi del lavoro fuori ufficio, per lui, comprendono una migliore qualità della vita, il mangiare bene e la possibilità di organizzare la giornata in base alle esigenze personali.

Prima di stare a casa con i tre figli, Marta lavorava 40 ore a settimana in un grande ufficio con un open space, colleghi giovani e clima affiatato: «Avevo imparato a concentrarmi anche in mezzo alla confusione, era molto stimolante». Poi il licenziamento e l’inizio – dunque per necessità – dell’attività di ufficio stampa da casa. Risultato? «Più di 40 ore a settimana a fronte di un terzo delle entrate». Ritiene di essere invidiata per il lavoro da casa «ma chi lavora in ufficio non conosce la difficoltà di non avere relazioni faccia a faccia, di non avere momenti di svago come un caffè o una chiacchierata con i colleghi». Tuttavia, restare a casa in una condizione di isolamento e senza relazione umane con le persone con cui si lavora (se non virtuali) non rappresenta per tutti un aspetto negativo.

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Per esempio, secondo Giulio, traduttore di romanzi, stare a casa vuol dire partecipare a due tipi di benefici. Alcuni benefici più superficiali come l’accesso al caffè, al frigo, ascoltare musica, vestirsi comodi, cucinare senza una pausa pranzo stabilita – «a volte metto su il minestrone alle 10 di mattina e a mezzogiorno sono già a mangiare, a volte mangio alle tre» – e un’altra gamma di vantaggi sintetizzabili in uno molto grande: «Non dover vedere altre persone». Ha imparato a sfruttare, più che gli orari, i momenti in cui si sente «particolarmente lucido e attivo, che a volte arrivano a metà mattinata, a volte a pranzo, a volte la sera dopo cena. Sono inaspettati». Può capitare, quindi, che la presenza e la reazione con i colleghi sia valutata sia come un pregio che come un incubo. I ritmi, le scadenze e il reddito – il compenso viene calcolato secondo un tempo che è sempre inferiore a quello reale – sembrano le vere discriminanti.

Come si svolge la giornata? Enrico è lapidario: «Una continua lotta contro il frigo». Esistono giorni di riposo, vacanze? Giulio dice: «Non so quanto si lavori di più o di meno rispetto a un ufficio. Si perde sempre molto tempo, sia a casa che in ufficio, secondo me, tra social network, contemplazione del soffitto, email, telefonate. Da casa è più facile però concentrarsi, ma solo perché ti rompono meno. Nonostante i social e il telefono e le mail, ma un telefono si può anche spegnere». Per altre tipologie di lavoro invece il telefono non si può spegnere mai. E squilla sempre. Sempre quando non dovrebbe squillare. Proprio la continua reperibilità – forse più ancora che lo stare a casa – diventa fonte di stress. «Ho dovuto imparare a disciplinarmi per non farmi fagocitare dalla reperibilità h24 che viene sempre richiesta per gli uffici stampa così come a rispondere no alle molte richieste di amici e parenti», spiega Marta, e aggiunge: «La possibilità di sbrigare corrispondenza e gestire i social dallo smartphone non ha fatto che “peggiorare” la qualità della vita migliorando le proprie prestazioni. Puoi rispondere anche quando alle 14.30 ti siedi un secondo in cucina per mangiare».

È probabile che nel caso dell’ufficio stampa la natura del lavoro contribuisca a generare un tempo lavorativo senza barriere. Di fatto, giorni di ferie o di riposo veri e propri non esistono: «Spesso mi è capitato in ferie di rispondere sulla riva di una spiaggia o in cima ad una montagna. Viene usato anche il ricatto «lavori da casa e quindi mi devi rispondere sempre perché ti faccio un favore a permetterti di non venire in ufficio però credo sia importante scrollarsi di dosso questo vincolo psicologico», racconta Marta. L’Unione europea sta prendendo atto della digitalizzazione e del cambiamento del telelavoro classico per ragionare intorno a nuove normative per inquadrare i tipi di “lavoro mobile digitale” anche occasionale. Per tornare a separare vita lavorativa e vita intima, Francia e la Germania stanno valutando l’introduzione di nuovi accordi a livello aziendale come il «diritto di disconnettersi», che già compare nel codice del lavoro francese.

Il punto di vista di Enrico, che vive nel cuore dell’Europa, è particolarmente interessante: «Il lavorare da casa molte volte coincide, in Italia, con l’essere un freelance. Una grossa fetta dei dipendenti pensa che essere libero professionista sia una fortuna ma non lo è. In altri paesi europei, invece, molte aziende stanno favorendo il lavoro da casa per i loro dipendenti pensando alla maggior flessibilità e produttività ammortizzando le spese della gestione delle loro sedi».

Ma è socialmente accettato lavorare da casa? O anche chi lo fa ha problemi a identificarsi nella professione che svolge? Per Enrico ormai, almeno per il suo tipo di lavoro – grafici, illustratori, fotografi – il luogo dove si svolge non è più importante. «Ho faticato moltissimo per diversi anni a definire io stessa la mia attività “lavoro” – spiega Marta – e il fatto di non vestirmi per uscire, prendere il motorino, andare fisicamente in un altro luogo non mi aiutava a definire il tempo dedicato ad occuparmi effettivamente a dei compiti che dovevo svolgere». Una volta, Enrico riceve una visita dal padre: «Che fai?», gli chiede il padre. «Lavoro», risponde Enrico. «Beato te che non fai niente», dice il padre.

Nelle immagini: Gab, un bar dove lavorare e dove si paga a tempo e non a consumazioni, aperto nel marzo 2016 a Montreal. (Alice Chiche/AFP/Getty Images)