Attualità

L’alice è democratica

Quando il pesce è il termometro dell'estate. E del portafogli

di Mattia Carzaniga

Mettiamola così: il pesce oggigiorno è diventato un problema. Perché uno mica può mangiarsi delle frittelle di gianchetti così, pena la definitiva estinzione (loro); ma anche solo un trancio di tonno, che infatti pure al giapponese i chirashi si son tutti convertiti in syakedon, almeno per chi sa ordinare con criterio. E poi c’è tutta la retorica dell’austerity. Il frutto di mare, con tutti i simboli di dollarone che si porta appresso, ha troppi retaggi di Coste Azzurre, Milano craxiane, ma anche di più recenti cassette del pesce del sindaco di Bari Emiliano, che infatti sa di politica (varie accezioni del termine) dei regali costosi e decisamente cafonal. Bando dunque al pesce che scompare dal Mare Nostrum e fine dell’era delle ostriche e sciampagna. E allora che si mangia? Non si potrà mica andare avanti a impepata di cozze, come fossimo tutti tra i casotti di Ostia Lido.
Fortuna, zitta zitta, che arriva lei.  L’alice.  E ci accompagna nel suo paese delle meraviglie culinarie. Non regina della pescheria, ma principessa dimenticata. L’alice è democratica. È il classico che non impegna, ma anche il gusto antico riscoperto, il mangiar lento (che è sempre più bello di Slow Food) prêt-à-porter. È il sapore di mare vicino, di gita fuori città, di domenica su baie del silenzio. Ma anche di banco del fresco del venerdì, da spendere poco, una pasta e via, basta aggiungerci due pachino e un po’ di pangrattato tostato. Metteteci pistacchi e mentuccia, altrimenti, e di colpo vi sembrerà di essere ad Acireale, anche se avete spadellato in un monolocale di Porta Venezia (quasi, diciamo). L’alice è il fritto o la frittella nella carta di giornale, il nostro fish and chips mediterraneo, meno nordico del baccalà, meno “terrone” del calamaro.