Attualità

La rassegna di Studio per il weekend

Tra le storie di questa settimana il Frank Underwood venezuelano, un reportage sui Mondiali del 1966 e tutto sul doxing, la pratica con cui Newsweek ha svelato l'identità del fondatore di Bitcoin.

di Redazione

I Vichinghi come non ve li hanno mai raccontati. E la storia dei tempi d’oro della caccia ai fantasmi di Los Angeles. Ma anche il black metal come espressione del romanticismo, lo state-of-the-art della democrazia mondiale e molto altro. Noi ve lo proponiamo, voi dovete solo mettervi comodi e leggerlo.

Buon weekend.

 

“How Silence Became a Luxury Product” – The New Republic


In un mondo rumoroso come il nostro, il silenzio diventa un benefit di lusso.

 

“Black Metal Is Sublime” – The New Inquiry


Perché il black metal rappresenta la concretizzazione degli ideali romantici.

 

“What’s gone wrong with democracy” – The Economist


Il super-speciale sullo stato della democrazia realizzato dall’Economist.

 

“The Vikings invented soap operas and pioneered globalisation – so why do we depict them as brutes?” – New Statesman


I Vichinghi erano un popolo aperto, globalizzato, coraggioso (hanno pure inventato le soap opera) ed è giunto il momento di capirlo appieno.

 

“The End of the Hunt” – The Verge


C’è stato un tempo in cui gli acchiappafantasmi (quelli veri) di Los Angeles se la passavano meglio. La loro storia è qui, raccontata da Colin Dickey.

 

“The World Cup” – New Yorker


Il reportage-fiume (80.000 battute) del New Yorker sul Campionato del Mondo di calcio del 1966, in cui si apprende in maniera piuttosto stupita che il calcio è uno sport molto in voga.

 

“Doxing: An Etymology” – The Atlantic


Il doxing è quella pratica con cui, ad esempio, Newsweek ha rivelato l’identità del creatore dei bitcoin. E questa è la sua storia.

 

“The Frank Underwood of Venezuela” – The Atlantic


Le proteste venezuelane viste da Diosdado Cabello. Per i fan di House of Cards, il Frank Underwood del paese sudamericano.

 

Immagine: particolare della redazione parigina dell’International New York Times (Guillaume Belvèze)