Attualità

La rassegna di Studio per il weekend

Come ogni sabato, un bel po' di articoli belli da leggere durante il fine settimana. Parliamo dell'odio di internet verso le donne, Tibet, Girls e molto altro.

di Redazione

Questa settimana, Teju Cole continua a sperimentare con Twitter per raccontare storie, una giornalista che si occupa di sesso si chiede perché il web odia così tanto le donne, comincia la nuova stagione di Girls e un paio di pagine Wikipedia molto particolari vengono analizzate, fin troppo.

È la rassegna di Studio, il meglio del giornlismo mondiale della settimana, bellezza.

Buona lettura e buon fine settimana nebbioso.

 

“The Disneyfication of Tibet” – The Washington Monthly

Perché il turismo è diventato un mezzo di conquista e colonizzazione del Tibet.

 

“Teju Cole orchestrates his Twitter followers into a collective short story” – The Verge

Una storia breve collettiva a colpi di tweet, autori vari e direzione di Cole.

 

“Why Women Aren’t Welcome on the Internet” – Pacific Standard

A partire da una terribile esperienza personale dell’autrice, un’indagine sull’origine del pessimo rapporto tra internet e il sesso femminile.

 

“Thirty-Five Arguments Against Google Glass” – Ed Rants

Un lunghissimo post contro i Google Glass, scritto da uno che non vedeva l’ora di usare i Google Glass.

 

“On Loins” – Slate

Sulle pagine Wikipedia dedicate alle voce “penis” e “vagina”.

 

“A year in hiding in wartime Florence” – Bbc

Marcello Bulatti non è un nome conosciuto, ma ha raccontato la sua storia alla Bbc. La sua storia risale agli anni ’40, all’armistizio dell’8 settembre e al cambio di vita che dovette affrontare, da cittadino (bambino) ebreo, in un intero anno a nascondersi nella sua città, Firenze.

 

“The New Season of ‘Girls’ Is Just Good. Can We Handle That?” – The Daily Beast

In occasione dell’uscita della terza stagione negli Usa, autocoscienza di un fan di Girls. Che ha scoperto di potere vivere anche se Lena Dunham non è “la voce di una generazione”.

 
 

Immagine: particolare della redazione parigina dell’International New York Times (Guillaume Belvèze)