Attualità

La logica del soppiatto

World War Z il film con Brad Pitt che riscrive le coordinate del genere zombie movie, ricordando che per salvarsi basta essere codardi.

di Laura Spini

PREMESSA: È risaputo che World War Z, il film che sarebbe dovuto uscire nelle sale lo scorso dicembre, è tratto dall’omonimo romanzo di Max Brooks. Nonostante la struttura episodica che li caratterizza entrambi, film e libro non potrebbero essere più dissimili. Innanzitutto, se il secondo cominciava a guerra conclusa, il film ha inizio allo scoppio dell’epidemia zombie. La prosa di Brooks era un’implacabile avvicendarsi di sistematicità geopolitica, una sorta di: la guerra contro gli zombie c’è stata ed è un dato di fattoecco una serie di resoconti da parte delle forze militari e civili che l’hanno vissuta.

Il romanzo è – e lo è magistralmente – un saggio storico. Ed è questo aspetto che Brad Pitt ammirava del lavoro di Brooks, quando si affrettò a comprarne i diritti per realizzarne un film con la sua casa di produzione, la Plan B. Nonostante gli sforzi (ne parliamo più avanti), il film è ben lontano dall’essere quell’affresco corale che la Plan B desiderava. La guerra mondiale contro gli zombie diventa la guerra di Brad Pitt contro gli zombie.

In ogni caso, detto quel che c’era da dire sul materiale di partenza, non è questo il luogo (non vuole esserlo) per un’analisi comparativa romanzo-film.

E World War Z è un film riuscitissimo.

Gerry Lane è un padre di famiglia ed ex funzionario dell’ONU. Un giorno si alza dal letto, prepara la colazione per le figlie, e si mette in auto con la famiglia. Hanno scelto un’ora sfortunata – il traffico, a Philadelphia, è il peggiore di sempre, ci sono elicotteri ovunque, e in aggiunta gli automobilisti sono più indisciplinati e nervosi di sempr–oh no! Un poliziotto in moto mi ha appena portato via lo specchietto laterale, oh no! Un camion dei pompieri ha appena distrutto le fiancate delle macchine, oh no! Ha anche investito un poliziotto. Ti volti un attimo, e tutto sta esplodendo.
Gerry viene tratto in salvo e reclutato in una task force per scoprire la causa dell’epidemia: niente sarà semplice, come peraltro nessuno pensava che sarebbe stato. Gerry rimbalzerà tra Corea del Sud, Gerusalemme, Cardiff e la Nuova Scozia, prendendo un mucchio di aerei e cercando di scoprire un modo per sopravvivere ai non-morti – se si rimane vivi abbastanza a lungo, magari, un giorno li si potrà sconfiggere.

Il film ha una tra le pre-produzioni più torturate dei blockbuster degli ultimi anni. World War Z non solo era sfortunato, era anche brutto al di là delle aspettative.

Il film ha una tra le pre-produzioni più torturate dei blockbuster degli ultimi dieci anni. Il traguardo di un budget da 125 milioni di dollari sembra irraggiungibile, l’ombra della Paramount alle spalle con la minaccia di mandare tutti a casa. Milioni di dollari di troppo spesi a Malta, la prima location della produzione. 85 fucili confiscati dalle unità antiterrorismo ungheresi.

E poi, il regista, Marc Forster, che guarda un primo montato e dice Ma no, cos’è questo film qui. World War Z non solo era sfortunato, era anche brutto al di là delle aspettative.

Come contrattaccare? Due sceneggiatori vengono scritturati, quaranta minuti di film riscritti dal nulla, sette settimane di girato aggiuntivo assicurate, e 75 milioni di dollari spesi in più.

Ne è valsa la pena? Risposta: sì.

Non soltanto perché, sarà anche stato un progetto sfortunato, ma ora è ricco da morire: nel primo fine settimana di proiezioni negli Stati Uniti, WWZ si è già rifatto di quei 75 milioni, ed è uno degli unici casi dell’anno a incassare più di cinquanta milioni al botteghino (nel primo weekend) senza essere un franchise.

Il film ha una struttura piuttosto semplice, con l’eroe che acquisisce informazioni in Vari Luoghi del Mondo, mette insieme i pezzi, e alla fine riesce a salvare provvisoriamente il mondo potendo contare solo sulle proprie forze. I dialoghi sono ritriti e superflui, essiccati da qualsiasi tipo di umorismo: la già menzionata scena dei pancake, aggiunta dai due sceneggiatori per dare un senso di unione e amore alla famiglia di Gerry Lane, suggerisce l’idea di “unità familiare” soltanto perché nell’inquadratura ci sono due adulti, due minorenni e un tavolo.

La pettinatura di Brad Pitt distrae dalle scene intense in maniera inimmaginabile.
Questi, i punti negativi di WWZ. Che, però, il film, più intelligentemente di quanto non si creda, riesce a volgere a suo favore.

La varietà di location non si presta soltanto a “inseguimenti in località esotiche/pittoresche/dove costa meno girare con una seconda unità”, come insegna il manuale dei film spionistici e d’azione: i crismi del film d’azione ci sono tutti, ma il Muro di Gerusalemme diventa una rampa di lancio a uso degli zombi, Philadelphia (che dico, Glasgow) è un bizzarro – e ideale – campo di battaglia, gli aeroplani in volo sono il luogo meno auspicabile in cui trovarsi quando imperversa la minaccia dei non-morti. I luoghi comuni della corsa alla sopravvivenza (es.: le razzie nel supermercato) non sembrano tali.

I personaggi si comportano da geniacci pronunciando discorsi intrisi di retorica, facendo credere allo spettatore che ricopriranno un ruolo fondamentale per il resto della trama, e invece PEM!, muoiono così, all’improvviso, senza che nessuno dica loro addio o versi una lacrima, come è realistico che accada se si è inseguiti da un’orda di ex-umani che ti vogliono mangiare.

Le scene di tensione, come quella iniziale – in cui nessuno sa esattamente cosa stia accadendo eppure sta accadendo – sono gestite con precisione, senza sbaffi emozionali, e con una immediata impressione di Morte Ovunque.

Gli zombi non si vedono quasi mai da vicino. Ciò può derivare dal fatto che gli unici primi piani zombi del film sono meno che passabili, ma la scelta di sacrificare le scene sanguinose per un maggior numero di scene catastrofiche è ottima nel suggerire l’ineluttabilità e la totalità della situazione.

La pettinatura di Brad Pitt distrae e basta.

È il silenzio, non il coraggio, a salvare dagli zombi. Il coraggio potrà aiutare a curare l’epidemia zombi, ma per evitare di essere mangiati è conveniente la codardia

La riscrittura di Damon Lindelof (l’uomo di cui tutti si fidano, oggi, a Hollywood, benché sia l’uomo che ha scritto, ahimè, Prometheus e Cowboys & Aliens) e Drew Goddard (Quella casa nel bosco, Cloverfield) ci dona i due capitoli finali del film – il primo dei capitoli è ambientato su un 737 appena decollato; il secondo in una sede della World Health Organization per un quarto deserta, per due quarti infestata dagli zombi, e per un quarto popolata da Pierfrancesco Favino.

Sebbene attinga dal genere in maniera più o meno standard, quest’ultima sottotrama è la meglio riuscita, a livello di autosufficienza e descrizione delle dinamiche del gruppo.

Ci insegna una volta per tutte che è il silenzio, non il coraggio, a salvare dagli zombi. Il coraggio potrà aiutare a curare l’epidemia zombi, ma per evitare di essere mangiati è conveniente la codardia.

Negli ultimi giorni, un altro prodotto postapocalittico (anche se gli infetti sono stati espressamente definiti non-zombi) è stato pubblicato a livello internazionale. The Last of Us è un gioco sviluppato dalla Naughty Dog per PlayStation 3. La maggior parte dell’azione del gioco consiste in nascondersi dietro a casse di legno, proteggere persone, aggirarsi furtivamente.

È questo, il vero scenario realistico per un sopravvissuto all’Apocalisse. E ve lo conferma una persona che ha completato Uncharted 2 aggrappandosi a pendii, così da prendere i nemici per le caviglie e rimanere completamente incolume.