Attualità

La letteratura nazista in Italia

La letteratura come finzione non è meno nobile di quella civile. Un romanzo (in ebook) lo dimostra

di Cristiano de Majo

I giornali di sinistra adorano le recensioni. Allevano squadre di recensori
in degli appositi campi, gestiti da macchine. Le macchine controllano
che il recensore non abbia alcuna facoltà di giudizio indipendente.
Il recensore deve solo sviluppare un monocorde talento
nell’espressione delle opinioni precostituite.

Giordano Tedoldi – Deep Lipsia

 

La nostra produzione letteraria è stretta nella morsa di un bipolarismo imperfetto. Da un lato, il partito degli scrittori per caso, cantanti, comici, nani, ballerine, telecronisti sportivi, barman, falegnami, ubriaconi, attaccabrighe, ciascuno con il suo romanzo pubblicato da una casa editrice di prestigio, a costo di dimostrare di essere inciampato nella produzione letteraria non avendone le intenzioni, cioè con nessun apprendistato, e senza lacrime o fatica. Trovano il loro megafono in un giornalista che ha fatto dell’insignificanza intellettuale un motivo di vanto, Antonio D’Orrico, il king maker settimanale di nuovi Carver, nuovi Roth e nuovi Shakespeare, il cui unico spunto critico può essere riassunto in questa massima: quanto più non sono scrittori, tanto più è probabile che diventeranno maestri.

Dall’altro lato, i polverosi burocrati dell’impegno civile. I sociologi mancati, i rivoluzionari falliti, i pedagoghi, i predicatori, i cardinali. Scrivono libri, che già nell’Ottocento sarebbero stati giudicati demodé, imperniati sull’analisi dei mali della società; più che romanzi, spiegazioni a tesi condite da malinconia passatista, che ci fanno capire “lucidamente” perché siamo messi così male e di chi è la colpa. Sono quelli che fanno carriera nelle università, nei giornali, nelle case editrici, nelle istituzioni culturali. Disprezzano il potere perché ne sono segretamente, e spesso a loro insaputa, innamorati. Si trovano a proprio agio con le stentoree classificazioni di Roberto Saviano, per il quale la letteratura o si propone di cambiare il mondo oppure non ha motivo di esistere, con buona pace di Nabokov, Borges, Perec e di tutti gli altri disimpegnati che della letteratura hanno coltivato un’idea leggermente più complessa.

Questo dimostra che oltre a essere una democrazia politicamente immatura, produciamo anche una cultura letterariamente immatura. Possiamo credere nel romanzo soltanto se ha uno scopo politico-sociale, se rientra nel merchandising di un personaggio-azienda (i casi Littizzetto, Volo, Ligabue), o, infine, se è il colpo di fortuna, il tiro di dadi, di un uomo o di un donna con alle spalle una vita intensa (dall’antesignana Melissa P a Mauro Corona, passando per Erri De Luca).

Occorre accettare serenamente che noi spiriti sensibili ed esigenti, feticisti della finzione, lettori appassionati di romanzi veri, siamo una schiacciata minoranza. Non abbiamo neanche un Movimento 5 Stelle a cui aggrapparci. Siamo condannati all’antipolitica. Al qualunquismo. Al cinismo come legittima difesa. Dobbiamo essere apocalittici se non possiamo essere integrati. Nel frattempo, certo, dobbiamo continuare a leggere. Restano i classici, moderni e antichi. Qualche contemporaneo straniero e pochissimi contemporanei italiani, difficilmente localizzabili, isole nella corrente.

Per una volta voglio fare anch’io il king maker come D’Orrico. Alcuni anni fa, nel 2006, uscì per Fazi un bellissimo libro di racconti intitolato Io odio John Updike, di Giordano Tedoldi, il quale aveva già pubblicato sulla prima antologia italiana di minimum fax, La Qualità dell’aria, un notevolissimo racconto intitolato “Steinbeck”. Dopo di che di Giordano Tedoldi non ho avuto più notizia. Fino a qualche giorno, quando, per caso, su twitter, ho scoperto che aveva messo in vendita su Amazon un romanzo (in ebook) intitolato Deep Lipsia. Rifiutato dalle case editrici o semplicemente sottratto, per libera scelta dell’autore, alla valutazione di leggibilità dei comitati editoriali? Non lo so e non lo voglio sapere. Ma devo dire che, pur continuando a considerare insostituibile l’oggetto cartaceo, quando ho acquistato il libro, mi sono sentito un carbonaro, un lettore catacombale, e ho provato una vertigine di libertà.

Molto difficile riassumere Deep Lipsia, ma ci provo lo stesso. È la storia di un gruppo di eleganti neonazisti (Dietrich Claes, Claudia detta Clocca, Franz, UrloSenzaBocca, Giorgio detto Gunther, Isoroku, Gordon Hassan), raccontata dalla voce di quest’ultimo. Inizia a Roma con il rapimento di un adolescente ebreo, Alfa, che viene torturato in una casa dove si trova esposto un manichino di Hitler imbottito di carne Eukanuba, e finisce in Svizzera con il ritrovamento dello stesso adolescente Alfa, ormai trasformato in un mutante con occhi di diamante dal temibilissimo popolo degli Hapiru, “una razza quasi pura, risalente al 1350 avanti Cristo”.

È un romanzo esistenzialista ma anche di fantascienza, una spy-story ma anche un trattato di sadomasochismo, i cui temi centrali sono la decadenza e la solitudine, ovvero i due temi su cui si misura la migliore letteratura occidentale contemporanea (Wallace, Houellebecq, Ellis). È ributtante e romantico, comico e raffinato. È scritto in un modo spaventosamente bello da leggere, ma ti fa sentire in colpa come se stessi guardando un video porno troppo estremo. Ha una felicità e una naturalezza di invenzione letteraria che non si ritrova in nessuno scrittore italiano oggi. Costruisce un universo romanzesco, perfettamente coerente e con sue proprie regole, del tutto inesplorato. Si smarca con forza dall’influenza dei maestri perché è veramente difficile trovare tracce di altri stili o ricalcature di altre idee, se non forse quelle di Burroughs e di Céline, comunque influenze sotterranee e molto ben digerite. In definitiva, se fossi stato D’Orrico. avrei intitolato questa recensione così: Il più bravo scrittore italiano pubblica un ebook senza editore. Ma non lo sono e quindi preferisco chiudere con due citazioni di Deep Lipsia.

Seminalz lavora sempre accanto a degli Ikebana (di cui è tra i massimi esperti mondiali) e alla sua attuale compagna di vita Danielita; Danielita potrebbe avere l’età di sua figlia, che si chiamava Gudrun, Gudrun è ricordata nella foto a colori in una cornice appesa proprio dietro la scrivania di Seminalz, Seminalz che in questo momento sta meditando in un angolo del suo studio, avendo assunto la posizione del loto, e io intanto ammiro con traboccante entusiasmo la statua del Dio indiano della letteratura che Seminalz tiene sulla sua scrivania accanto al Pc, e ammiro anche la stampante laser EPL-9000 che sta sputando papiri dell’Antico Regno, e ammiro la laurea in psicologia all’università di Buenos Aires e la specializzazione in neuropsiconarratologia all’università di Basilea incorniciate appena sotto il ritratto di Gudrun in grembiulino bianco, e ammiro la pila di Cd di musica classica, tutte edizioni degli anni 1920-1940 dell’orchestra olandese del Concertgebouw che all’epoca raggiungeva il suo massimo splendore sotto la guida di un bugiardo e un collaborazionista, Willem Mengelberg, e ammiro anche una copia di un Topolino del 1971, sotto la quale, a pennarello, è scritto: “il mio primo incontro con Zio Paperone” firmato Seminalz, ed è a questo punto che Claudia mi pizzica un braccio e Claudia: “ho la sensazione che essere venuti fin qui sia stata una grande cazzata”.

[…] e io: “per favore dammi il mio taccuino intellettuale” e Claudia preleva dalla sua borsa, una Luis Vuitton a sacco, molto di moda nella metà degli anni ’80, un taccuino a quadretti che mi consegna insieme a una penna, e io comincio a scrivere, sempre a testa bassa, che gli unici uomini che attualmente mi sento di stimare sono: Joachim C. Fest (Germana) storico; Salomon Resnik (Argentina) psicoanalista; Ian Holm (Gran Bretagna) attore; e accanto ai loro nomi scrivo la parola E T I C A e la inscrivo in un boxino che procedo a sottolineare più volte, poi con un tratto lungo tre centimetri collego E T I C A a una figura insettoide dal pene gigantesco (Io), che mi nutro mediante il tratto di tre centimetri (che entra nel mio pene) di tutta l’E T I C A pompata da Joachim C. Fest e Salomon Resnik e Ian Holm, la roba esce dai loro cervelli e entra nel mio cazzo…