Attualità

La fine dell’epica del college

Cattivi vicini è una pellicola che riprende un tema caro alla comedy americana di ogni tempo: il rapporto col college, fatto di scontri nerd Vs jocks e anamnesi della Festa Epica. E ci dice che una volta che i party finiscono siamo obbligati a crescere.

di Nicola Bozzi

Tra poco in Italia esce Cattivi vicini (Neighbors in USA, Bad Neighbors nel resto del mondo). Si tratta di una nuova commedia in cui Seth Rogen fa la parte del solito adorabile fancazzista, quello che vorresti sempre nel tuo soggiorno a ricordarti che va tutto bene, un po’ come una versione più pelosa del Buddha. La grossa differenza rispetto agli innumerevoli film con lui che mangia i funghi e si sprimaccia l’abbondante petto villoso è che stavolta non solo è sposato con una molto più gnocca di lui (già succedeva in Knocked Up), ma si trova a fare la parte del guastafeste.
Succede che Rogen e consorte hanno appena sfornato una pargoletta, e la fiamma della passione inizia a tremolare. A questo si aggiunge l’arrivo nel quartiere di una confraternita, una di quelle associazioni di studenti universitari che affittano una casa solo per devastarla periodicamente con quei party che vedi i video su Internet e pensi che un altro paio di generazioni e il mondo sarà davvero in tasca ai cinesi.

All’inizio la coppia cerca di fare la parte di quelli cool, quelli che “sapeste noi ai nostri tempi”, sperando di arruffianarsi i nuovi arrivati e di poter quindi elemosinare un po’ di quiete. Per ragioni similmente utilitaristiche i due confratelli capo (Zac Efron e il fratellino di James Franco, legati da una bromance destinata a vacillare) reagiscono di buon grado, invitando i vetusti over-30 a una delle loro feste fuori controllo. Dopo un iniziale approccio amichevole, però, le cose cambiano nel momento in cui i vicini iniziano davvero a esagerare e i neo-genitori si trovano a fare l’infame chiamata anonima alla polizia. L’escalation che segue vale il biglietto del cinema, quindi non indulgo in descrizioni. Quello che mi interessa è il modo in cui, forse per la prima volta, il film rivisita uno dei temi più longevi della commedia americana: l’epica del college.

Quello che mi interessa è il modo in cui, forse per la prima volta, il film rivisita uno dei temi più longevi della commedia americana: l’epica del college.

I Beastie Boys dicevano che il diritto di festeggiare va conquistato (sto parafrasando), e pur non ricordandomi se la soundtrack di alcun college movie sia mai stata benedetta dalla loro leggendaria track, sono piuttosto convinto che il ritornello di “Fight For Your Right” potrebbe essere la tagline di qualsiasi classico del genere. Ai tempi di John Belushi e Animal House (1978, ma significativamente ambientato a inizio ’60), il fancazzismo aveva, se non proprio valenza politica, quantomeno toni di satira indiretta. Ci si sfasciava alla faccia dell’autorità, e – per citare una delle didascalie finali – i rampolli zelanti delle confraternite bene finivano in Vietnam a farsi sparare dai propri commilitoni. Anche in La rivincita dei Nerd (1984) le schermaglie tra i “jocks” (bellocci e sportivi) e gli occhialuti sfigati hanno sottofondi sociali piuttosto espliciti, con i primi tutti bianchi e i secondi supportati unicamente dalla confraternita nera. Alla fine del film, l’ispirato discorso dei nerd – finalmente orgogliosi di sé stessi – invita chiunque si senta oppresso e perseguitato a unirsi a loro, in un epico tripudio con sottofondo dei Queen (la canzone la potete immaginare).

La contrapposizione tra gracili ma volenterosi verginelli e testosteronici maschi alpha, però, non sembra inficiare più di tanto i rapporti tra i protagonisti di American Pie (1999). Il film (che tecnicamente riguarda studenti all’ultimo anno di high school, e non al college) vede il giocatore di lacrosse Stifler fare più o meno comunella con gente del calibro di Pausa Merda, un nerd che completa insieme all’impacciato Jason Biggs e al neutrale Kevin un’eterogeneo poker cementato dalla comune ricerca della Vagina (il premio definitivo che – come la risposta di Dio a una preghiera disperata – arriva sempre alla fine, di solito con gli interessi, a premiare lo sforzo di fede). Addirittura, per sfatare ulteriormente la mitologia tradizionale, American Pie: Beta House (2007) cita esplicitamente ROTN ribaltandone l’equazione: adesso sono i nerd gonfi di cash da dot com a ridicolizzare gli innocui jocks ignoranti, diventati vittime con cui empatizzare. In modo più sottile, un simile capovolgimento avviene anche in 21 Jump Street (2012), dove Jonah Hill il nerd (nel senso più contemporaneo di persona strana e con interessi, non più studente modello) viene preferito all’aggressivo e pompato Channing Tatum dal gruppetto di studenti cool nel quale i due poliziotti sotto copertura si devono infiltrare.

quello che collega film come American Pie (e poi Superbad, e poi Project X) con le college comedies di cui sopra è la legittimazione data dalla Festa Epica

Aldilà delle differenze di estrazione e del principio generale di “coito ergo sum”, quello che collega film come American Pie (e poi Superbad, e poi Project X) con le college comedies di cui sopra è la legittimazione data dalla Festa Epica. La FE è la dimensione definitiva del college: rito di iniziazione, conferma di esistenza, e in certi casi canto del cigno dopo il quale il futuro conta poco o niente (vedere la pirotecnica conclusione di Project X).

La FE è così indelebile nello spirito umano che riecheggerà come una vibrazione per decenni, rianimando le anime ormai sbiadite dei quarantenni raccontati da Judd Apatow e Todd Phillips. Di Apatow se n’è parlato largamente su Studio, quindi la faccio breve: il produttore di Superbad ha diretto quattro film, almeno due dei quali (Knocked Up e This is 40) hanno a che fare direttamente con gente che, causa l’arrivo più o meno inaspettato della famiglia, si trova a fare una vita diversa da quella che aveva immaginato. Todd Phillips, invece, dopo un inizio carriera decisamente hardcore (un documentario sul leggendario quanto autodistruttivo punk rocker GG Allin e uno, indovinate un po’, intitolato Frat House) si è fatto una reputazione con commedie anch’esse adulte, ma imbevute di quello spirito autodistruttivo da FE. Il suo Old School (2003) racconta di tre amici ultratrentenni che decidono di rivivere la spensieratezza del college creando una confraternita, mentre la trilogia di The Hangover è notoriamente incentrata su un trio di uomini ormai adulti che finiscono inevitabilmente per distruggersi come ragazzini (il soggetto è rubacchiato all’innocuo stoner movie Fatti, Strafatti e Strafighe, ma funziona meglio proprio per l’età dei suoi protagonisti).

Phillips è più cattivo di Apatow (nonché esteticamente più ambizioso), ma entrambi sembrano aver spostato il baricentro della commedia americana su una zona a metà tra la nostalgia per la giovinezza e una rivalutazione dell’esperienza acquisita. E non sono i soli: da Hot Tub Time Machine a The Internship, passando per il dimenticabile Grown-Ups, i 30-40enni che ci riprovano sembrano andare piuttosto forte negli ultimi anni.

Ma torniamo a Cattivi vicini. L’aspetto più interessante del film è che in questo caso la FE si manifesta nella sua veste più molteplice. Da un lato ci sono i membri della confraternita, sorprendentemente sfaccettati: Efron che ci crede davvero, al punto da illudersi che la sospensione della responsabilità tipica del college durerà per sempre; Franco che invece si diverte, ma sa di dover tenere un’occhio al futuro; e poi c’è quello più insicuro, tartassato di scherzi ma consapevole che i fratelli sono con lui nel momento del bisogno. Dall’altro lato ci sono gli adulti: Rogen e la moglie si trovano a dover fare la scomoda parte dei resposabilizzatori, mentre i loro due amici divorziati si buttano comicamente nel sesso casuale e nell’Internet dating selvaggio.

Il college ritorna, ma – nonostante il suo spirito non possa essere intaccato da una coppia di guastafeste rosiconi – la coscienza della sua temporaneità aleggia con relativamente poca malinconia, come fosse una distrazione dolorosa ma passeggera. Cattivi vicini affronta di petto il Fantasma del Party Passato, cristallizzandone i necessari conflitti e neutralizzandoli al tempo stesso. Non si sa bene se i “cattivi” del titolo siano i frat boys, per una volta relegati a non-protagonisti, oppure la coppia sposata, che cerca di farli chiudere e gioca anche più sporco di loro. Impietoso che sia il film nei confronti di entrambe le parti (o bonario, a seconda dei momenti), resta il fatto che i personaggi di Rogen e signora quantomeno sconfiggono la propria attrazione verso l’epica irresponsabilità del college, sporcandosi le mani con la banalità della propria vita adulta.

Non penso che i 30-40enni esilieranno mai gli studenti dall’immaginario comico collettivo, ma il conflitto tra nerd, jocks, rettori e genitori appare sempre meno univoco. Forse, smussando i termini di bene e male e traslandoli su fasi diverse della vita, invece che più responsabile il college è diventato semplicemente meno epico. Oppure è cambiare i pannolini che lo è diventato.
 

Nell’immagine: Zac Efron in una scena del film. (Universal).