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Jihad rockstar

Ragazzo dell'Alabama arruolato nelle milizie somale, l'autobiografia di Omar Hammami, leader di Al-Shabab nato da madre wasp e padre arabo. E diventato uno dei jihadisti più (tristemente) celebri della nostra epoca.

di Anna Momigliano

La storia di Omar Hammami colpisce per due ragioni. La prima, e la più ovvia, è che è un Jihadi born in the Usa: nato in Alabama 28 anni fa da madre wasp e padre arabo, Omar si è convertito all’Islam alla fine del liceo, si è trasferito prima in Canada, dove ha vissuto tra la comunità di espatriati somali, poi in Egitto (“volevo vivere in un paese musulmano”), e infine ha preso un volo di sola andata per la Somalia (“volevo combattere il jihad”), dove ha preso il nome di Abu Mansoor al-Amriki, Abu Mansoor l’Americano.

Oggi è un comandante di Shabab, la milizia ispirata ad al-Qaida che un tempo è stato il braccio armato delle Corti Islamiche – il gruppo fondamentalista che ha governato il Paese per un discreto periodo – ma che da quando queste hanno accettato i negoziati ha un rapporto burrascoso pure con le Corti. Ricercato dalle autorità americane per terrorismo, Hammami era stato dato per morto in diverse occasioni, ma è sempre riuscito a smentire la notizia. La scorsa settimana è stata diffusa in rete la sua autobiografia, un ebook di 127 pagine, intitolato “The Story of An American Jihadi, Part I” che potete scaricare in formato Pdf a questo indirizzo.

Non è l’unico caso di jihadista nato negli Usa. Qualcuno si ricorderà di John Walker Lindh , il Talbano Americano catturato nel novembre del 2001 in Afghanistan, e che adesso sta scontando una condanna di vent’anni in un penitenziario di alta sicurezza in California. Poi c’è Nidal Malik Hasan, il medico militare che ha aperto il fuoco sui suoi stessi uomini a Fort Hood, Texas, nel 2009, e che pare abbia mantenuto contatti con gruppi radicali. Per non parlare di Daniel Maldonado, un altro americano che si è unito ai guerriglieri somali, e che per un periodo è stato compagno d’armi di Omar Hammami. Eppure la storia di quest’ultimo affascina più delle altre: a lui hanno dedicato un documentario Current TV, e una trasmissione la Bbc.

Il fatto è che Omar Hammami, nel suo mondo, è una rockstar. La sua milizia, Shabab, lo utilizza in molti video di auto-promozionepropaganda politica, il ragazzo ci sa fare, ha la bella presenza e la parlantina, oltre ad avere appena pubblicato un’ebook, compone inni a metà strada tra il rap e il nasheed (i canti devozionali islamici), di cui – per puro interesse antropologico – riportiamo un breve brano:

 

From Somalia and Shiishaan [la Cecenia]
From Iraq and Afghanistan
Gonna meet up in the Holy Lands
Establishing Allah’s Law on the land

We’re sending missiles in the sky and through the streets
Destroying tanks, copters, and navy fleets
Iraq and Afghanistan caused you to bleed
Touching Somalia [is] a regrettable deed
Now you’ve realized Islam can’t be beat
While in our land don’t even think about peace
We love to slaughter Crusader enemies

 

Resta da domandarsi quale sia il segreto del successo nel mondo della jihad. Leggendo l’ebook si scopre che Omar è sempre stato un tipo di successo: «I was the coolest kid in school», frase che piazzata in un’autobiografia sembra un tantino sborona, ma che è confermata anche dalle vecchie conoscenze intervistate nel documentario di Current.

Dimenticate, insomma, la vecchia storia del ragazzino insicuro e isolato facilmente preda di gruppi estremisti (chi ha visto The Wave – inteso come la docufiction degli anni Ottanta, non il film che ne è stato liberamente ispirato – conosce il tropo, chi non lo ha ancora visto può farlo qui). A ben vedere, nessuno ha “irretito” Omar, che si è convertito (e radicalizzato) da solo, in una sperduta cittadina dell’Alabama dove non c’era alcuna comunità musulmana.

Non è stato neppure l’Undici Settembre a spingerlo nella via del jihad: il processo di radicalizzazione, come racconta lo stesso Hammami, è cominciato qualche anno prima. Il contatto con comunità più o meno fondamentaliste – prima in Canada, poi in Egitto e infine in Somalia – ha svolto un ruolo, ma fino a un certo punto: uno degli elementi che ricorrenti nella sua autobiografia è proprio il disgusto nei confronti degli altri musulmani.

Ovunque vada, Omar Hammami trova i musulmani sempre troppo poco musulmani: i canadesi hanno la pecca di essere troppo “del tipo Fratelli Musulmani” (parole sue, lui usa il termine, “Ikhwani-types”) che dunque ammettono il successo personale come forma di servizio alla comunità musulmana (“alla fine è solo un altro modo di intendere il sogno americano, ma a noi non servono medici, serve il jihad”). I salafiti e neo-salafiti incontrati in Egitto non sono abbastanza belligeranti – il che è tutto dire, se pensate che in confronto a loro i Fratelli Musulmani sono “moderati.” Appena atterrato in Somalia, infine, Hammami racconta di essere rimasto deluso dalle Corti Islamiche quando ha visto uno dei loro… parlare con una donna. In più: “Pensavo di vedere più tipi sul genere al-Qaida.”

Ed è forse questo l’aspetto più interessante di questo ebook, scritto in tono adolescenziale, zeppo di “hahah” nei punti comici e di “yeah, right” sparpagliati ovunque. Probabilmente senza rendersene conto, Omar Hammami ha tracciato un autoritratto, prima ancora che di un professionista della jihad, di un uomo per cui nulla è mai abbastanza.