Attualità

È tornata di moda la crudeltà?

Se condanni il razzismo non capisci la gente, il monologo sugli immigrati è "divisivo". Altro che onestà, quel che manca è un'idea di comunità.

di Francesco Cundari

Breve riassunto delle polemiche precedenti. Uno fa notare che è piuttosto grave che una persona si metta a sparare a tutti i neri che incontra in mezzo alla strada, e gli dicono che è un ipocrita che non capisce l’esasperazione della gente. Uno recita un monologo in cui si parla delle sofferenze di un uomo che si sente discriminato, e gli dicono che è «penoso» e che il suo discorso è «divisivo». Uno fa una promozione per far pagare meno i visitatori di lingua araba in un museo (che espone peraltro reperti di un Paese arabo) e gli dicono che è lui il razzista, che discrimina e che dovrebbe essere licenziato. Sia chiaro, tutto questo non mi preoccupa tanto per quello che promette riguardo all’esito delle prossime elezioni (un po’ sì, d’accordo), quanto per quello che sta già mantenendo riguardo alla nostra convivenza civile: il prossimo che si fa beccare mentre aiuta una vecchietta ad attraversare finirà linciato per strada.

L’amara verità è che, invece dell’onestà, è tornata di moda la crudeltà. Intendiamoci, la polemica su bonifici, scontrini e note spese dei cinquestelle mi interessa poco. Anzi, se una cosa non mi interessa affatto è proprio sapere se e quanto il singolo parlamentare abbia versato o invece fatto finta di versare per il fondo a favore delle imprese o di qualunque altra causa, che sarà sempre un milionesimo del danno fatto all’intera collettività diffondendo l’idea che la politica è un costo, e che qualunque cifra a qualunque titolo sia destinata a partiti, politici e istituzioni sia per definizione uno spreco. Vedi ad esempio il danno che è stato fatto a tutti noi tagliando il finanziamento pubblico ai partiti, per poi gridare allo scandalo quando si scopre che sempre più spesso le campagne elettorali dei politici, ma guarda un po’, le pagano i privati. Ma la verità è che non volevo parlare nemmeno di questo, e se la smettete di interrompermi arrivo subito al punto.

In verità io volevo parlare di biciclette. Volevo parlare di questa azienda cinese di bike sharing che ha dichiarato che lascerà l’Italia perché il tasso di vandalismi e furti – ma soprattutto di vandalismi – rende l’investimento insostenibile. E mi viene da pensare che se non siamo capaci di condividere delle biciclette, figuriamoci una rete nazionale dei trasporti, o un sistema sanitario pubblico (e infatti in questa campagna elettorale va fortissimo l’idea della flat tax, chiaramente incompatibile con la sopravvivenza di entrambi). Ho letto da qualche parte che l’azienda cinese non si riferiva solo all’Italia ma a tutta l’Europa, e magari domani scopriremo che avrebbe chiuso comunque per altri motivi.

Però le foto delle biciclette buttate nel Naviglio, o appese agli alberi, o fatte a pezzi per strada, le ho viste. E mi hanno fatto venire in mente un’altra notizia di qualche anno fa: un comune del Lazio che a dicembre si lamentava per i continui furti delle luci con cui erano addobbati gli alberi di Natale che l’amministrazione aveva messo nelle strade della città. Il problema, a quanto ricordo, non era che le rubasse qualcuno per rivenderle – magari qualcuno venuto da fuori, magari i soliti immigrati – ma che a rubarle fossero gli stessi cittadini che in quelle strade passavano tutti i giorni, semplicemente per addobbarci gli alberi di casa loro. Quello che mi aveva colpito quando avevo sentito la notizia è la stessa cosa che mi colpì la prima volta che lessi delle biciclette sequestrate nei cortili delle case di Milano, e in quartieri tutt’altro che popolari. L’idea che un albero di Natale illuminato nel salotto di casa nostra, dove siamo i soli a vederlo, sia preferibile a un intero viale di alberi di Natale illuminati nella città in cui viviamo e in cui ci spostiamo tutti i giorni.

Se ci pensate, è lo stesso problema dei vaccini. Che secondo me al fondo non è tanto la questione delle superstizioni e delle false notizie sui presunti rischi. Quello che in molti tendono a rifiutare è il principio stesso di una politica vaccinale, vale a dire l’idea che se tutti siamo vaccinati, creiamo un ambiente più sicuro anche per quelli che vaccinati non sono o non possono essere. Si rifiuta l’idea che lo stato abbia il diritto di imporci foss’anche la più piccola delle seccature, allo scopo di garantire il benessere di tutti (cioè, sostanzialmente, di qualcun altro).

Il motivo per cui ogni giorno esce un dato dell’Istat che dice che la crescita o l’occupazione va meglio del previsto e ogni giorno si conferma che non gliene frega niente a nessuno, non è tanto o solo colpa dei meccanismi dell’informazione o dei pregiudizi dei giornalisti. È anche colpa del fatto che un po’ è proprio così. Nel senso che se io sto male, se mi sento davvero al limite, sapere che un sacco di altra gente intorno a me in compenso ha trovato lavoro o ha guadagnato di più, nella migliore delle ipotesi, non fa che deprimermi ulteriormente. E nella peggiore mi fa incazzare. Comunque non mi fa pensare con fiducia al fatto che forse domani un po’ di quel maggiore benessere toccherà anche a me. Piuttosto mi fa venire voglia di toglierlo agli altri. A cominciare, va da sé, dalle due categorie che prima di ogni altra sono abituato a individuare come parassiti e scrocconi: immigrati e politici.

È per questo che non mi importa niente del caso dei bonifici grillini, mentre mi preoccupa moltissimo l’idea di comunità e convivenza civile che politici, giornalisti e semplici commentatori del web continuano a diffondere e alimentare in questo Paese, come se niente fosse, persino dopo che qualcuno ha cominciato a sparare.

Questa è la terza puntata del Diario elettorale di Francesco Cundari, giornalista e scrittore (di cui è in uscita per il Saggiatore il libro “Déjà Vu”). La prima le seconda le trovate qui e qui